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A proposito di priorità

Ogni tanto converrebbe prendersi la briga di leggere gli atti parlamentari perché in fondo è proprio il Parlamento che dovrebbe essere la sede per l’azione politica più importante, quella più sostanziosa e evidente.

Le parole, si sa, sono importanti e in politica le parole disegnano l’azione che si ha in mente per il futuro. Ogni tanto si crede che i leader politici esagerino durante le loro comparsate televisive per semplificare il loro messaggio e per fomentare un po’ la propaganda.

Ecco, proviamo a metterci le mani, tanto per capire di cosa stiamo parlando. Per Fratelli d’Italia il deputato De Toma è intervenuto alla Camera per presentare una mozione (la 1/00469) di cui è primo firmatario il suo compagno di partito Lollobrigida, dal titolo impegnativo: Mozione concernente iniziative per il rilancio produttivo e economico della nazione. Uno si immagina finalmente di vedere una proposta di soluzione da parte dell’unico partito di opposizione, sono quelli che dicono che i diritti non siano una priorità e che bisogna occuparsi del bene del Paese, non perdersi in chiacchiere. Benissimo. Nel suo discorso alla Camera ha usato parole altissime: «Più volte è stato annunciato l’avvento di tempi nuovi. Oggi ci staremmo preparando ad affrontare un’altra svolta, con il Governo dei migliori alla guida del Paese, eppure è evidente a tutti che così non è. L’Italia ha bisogno di gente che sappia fare le cose e che abbia il contatto con la vita reale».

E uno pensa: oh, finalmente si esce dalle barriere ideologiche e si lavora per il bene del Paese. Perfetto, cosa si dice nella mozione? Ecco qui uno stralcio, del “visto che”:

si assiste alla perdurante furia «gender» portata avanti dalla sinistra, a cominciare dalla sostituzione della mamma e del papà con la triste dizione «genitore uno» e «genitore due», mentre per alcune forze di Governo tematiche quali lo «ius soli» sembrano avere maggiore importanza della ripresa economica, che è la vera sfida di oggi, con la crisi che morde milioni di famiglie e di imprese italiane;

la cosiddetta «cancel culture» e l’iconoclastia, cioè la vandalizzazione o addirittura l’abbattimento di parte del patrimonio culturale considerato «politicamente scorretto», è un fenomeno che dagli Usa e da alcune nazioni europee sta arrivando, grazie ad alcuni presunti intellettuali, in Italia; il dibattito sul passato, totalmente decontestualizzato, rischia d’inasprire il confronto e di cancellare, dai libri e dal nostro patrimonio, la nostra cultura;

è insensato pensare di invertire il trend della caduta della curva demografica e della natalità zero nel nostro Paese, attraverso l’agevolazione di un ingresso incontrastato di immigrati e clandestini, anche attraverso la semplificazione contenuta nell’ultimo «decreto sicurezza» delle pratiche necessarie per ottenere accoglienza e residenza, non solo per chi provenga da zone teatro di guerra ma anche per motivi di lavoro, ove ne ricorrano i requisiti;

sul fronte della sicurezza e della lotta all’immigrazione clandestina Fratelli d’Italia ha proposto fin da subito la soluzione del blocco navale: per evitare che il Mediterraneo continui ad essere un mare di morte, regno degli scafisti e delle organizzazioni non governative che, dietro presunte operazioni umanitarie, sono state spesso complici anche involontarie ma non per questo meno colpevoli del traffico di esseri umani.

Fa bene leggere gli atti parlamentari. Perché di questo stiamo parlando: della propaganda che addirittura non viene più usata per rendere vendibili i contenuti ma che diventa essa stessa contenuto. Il rilancio del Paese, per Giorgia Meloni, è anche questa cosa qui. Segnatevelo.

Buon martedì.

(nella foto Francesco Lollobrigida e Giorgia Meloni, Fratelli d’Italia)

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Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Le botte in piazza

Schermata 2015-09-27 alle 08.42.20Gli amici di Nazione Indiana pubblicano uno stralcio di ‘Mio padre in una scatola da scarpe‘.

La mattina presto. Per Michele può esserci il caldo più unto, il freddo più buio o la pioggia più fitta, ma il mattino va rispettato: l’alba è l’inizio. Cose semplici. Sono due anni che la scuola è finita e tutto il giorno ha già la forma del callo sulle mani, che ti sfregano ruvide la faccia quando ti lavi.

Lavorare rende liberi.

Michele era stato studente diligente e poco curioso, ma questa cosa del lavoro e della libertà non gli era mai andata giù. I vecchi dicono: “Tocca per farsi una famiglia ed essere una persona per bene”, ma la libertà proprio non c’entra. Ci sono città del mondo in cui il lavoro è un canale che bisogna navigare per stare a galla e sopravvivere, mentre qui a Mondragone si lavora per non dovere niente a nessuno e perché nessuno ti debba niente, per questo Michele ama la fatica: la fatica infatti ha una faccia sola, è meccanica senza viti, acido lattico senza sentimento. La fatica non ha bisogno di merletti. Sono le sei e Michele si alza come si alza il mattino: sale in fretta per scaldarsi.

«Si fatica principalmente per non sentire tutto il resto» dice sempre quello scemo di Massimiliano.

Caffè amaro. Le scarpe che si scollano. Una camicia spessa come pelo di topo, a quadrettoni, con i gomiti quasi trasparenti. Guardandosi allo specchio si osserva. Non è un bel vedere, no, ma tutta questa stoffa è l’armatura per la fatica al magazzino. La porticina del cortile di casa cigola come il portone di un castello abbandonato. Fuori, Mondragone è odore di caglio e case che si sbriciolano.

«Buongiorno e ben alzato, Michè!» La signora di fronte sta già bollendo la salsa. È cieca e sorda come la salsa ma saluta da orologio svizzero tutte le mattine alla stessa ora.

Lui risponde, anzi ci prova. Meglio, alza la mano e scatta con la testa, gli viene male: cade come da un lato, inciampa, sorride, rialza la mano, ride, no forse non se ne è nemmeno accorta e allora stinge il sorriso e niente, come se non fosse successo niente. «’Ngiorno.» Che fatica.

Mentre la strada scende vuota verso lo stop Michele prova a ripensare alla serata appena passata e a quelle voci che lo rivolevano in piedi: non è facile portare addosso le botte a mezza faccia facendo finta di essere elegante, tu che elegante poi non lo sei stato nemmeno al battesimo o alla comunione.

Erano in tre e Michele li aveva notati già da giorni per quelle smorfie da guappi che qui vengono ammaestrati in serie, seduti arrampicati sul muretto in piazza. Ieri sera erano nella solita posa, di quelli che vorrebbero essere falchi ma sono solo una nidiata di avvoltoi. Ieri aveva anche deciso di bersi una bottiglia in compagnia e festeggiare l’assunzione che era diventata ufficiale per tutti, al magazzino. Adulti a tempo indeterminato con il libretto di lavoro in tasca. Ci avevano promesso anche un po’ di malattia e ferie, non proprio tutte quelle che c’erano scritte nel contratto – che per sicurezza avevano fatto leggere a Giulio, che si era trasferito su a Milano e aveva imparato l’italiano meglio di come si impara un po’ sgarruppato nella scuola di Mondragone, e anche Giulio aveva esultato per un contratto che in fondo anche a parole era simile a quello che c’era scritto. Per questo avevano deciso di prendersi il vino, mica quello più buono, ma la qualità subito sotto, ben distante dal vino schifoso e lunghissimo che si bevevano di solito a pranzo. La locanda li conosceva per nome e cognome e si era fidata anche a dargli quattro bicchieri di vetro da portare fino in mezzo alla piazza con la bottiglia impolverata, perché c’è da fidarsi di Michele e quegli altri colleghi suoi, che non creano mai problemi.

Stavano appena stappando il tappo a vite come quello della spuma e ridevano pensando che poi magari un giorno qualcuno sarebbe diventato capoturno, poi magari un giorno, ridevano, avrebbe comprato un vino con il tappo quello vero.

Era stato un attimo e gli altri tre guappi erano già in mezzo. Dammi. No. Forza, dài qua. Ma che vuoi. Festeggiamo anche noi. Facciamo da soli grazie. Lo decidiamo noi chi festeggia qui in piazza. Non ci penso nemmeno…

Ed è stata subito una paranza di botte che facevano più rumore dei bicchieri che rotolavano sui sassi. Tonfi secchi sulle parti molli e il fruscio dei rami secchi quando si pestano con le scarpe, solo che questi erano in faccia, sulla mandibola e sotto gli occhi. Roba forte.

(continua qui)

Cava Cantello: sì allo stralcio

[comunicato stampa]

Troppo spesso, in questa legislatura, abbiamo visto la Giunta usare l’ambiente per interessi privati nei collegi elettorali. Anche per la Cava Cantello si è rischiato il disastro e ci si è fermati solo sul ciglio del burrone” Giulio Cavalli commenta così  a margine del Consiglio Regionale il voto sul ripristino ambientale per la cava di Cantello.

“Il vero bene comune è il senso di responsabilità che la  maggioranza anche in questa occasione ha dimostrato di avere con molta fatica” conclude il consigliere regionale di Sinistra Ecologia Libertà “perché l’unica lobby cui è necessario rispondere è la salute dei cittadini”