Teatrionline su “L’innocenza di Giulio”
Successo per l’intenso monologo di Giulio Cavalli
“L’innocenza di Giulio, Andreotti non è stato assolto”. Secco il titolo per quello che è uno spettacolo intenso, senza mezze misure, “maleducato e rissoso” come sottolinea lo stesso Giulio Cavalli, che da anni paga con la vita sotto scorta il suo teatro di impegno civile. Il Nuovo Teatro Sanità ha ospitato per due giorni l’attore milanese, tanti gli applausi e l’emozione della sala. Cavalli giunge a Napoli dopo un ottobre burrascoso, avrebbe dovuto allestire lo spettacolo il mese scorso, ma è slittato a causa di nuove minacce all’artista. A introdurre il monologo è un video di Giancarlo Caselli, il giudice che ha istruito il processo Andreotti, che ribadisce come l’informazione sia stata manipolata e quanto la “memoria” sia stata rimossa fino a volere Andreotti “assolto”. Ma il rapporto stato-mafia va oltre la figura del “divo Giulio”, affonda le radici nella storia d’Italia, parte da 100 anni fa. Nel 1893 veniva ucciso Notarbartolo, il primo delitto politico, il primo nome in una lunga lista di innocenti. Quei nomi e quei volti, i tanti morti ammazzati compaiono nei video che alternano i monologhi di Cavalli, accompagnati dalle bellissime musiche di Stefano “Cisco” Bellotti. L’attore in un’altalena di emozioni si fa testimone e accusato. Diventa Tommaso Buscetta, che nella sua deposizione ricostruisce i rapporti di Andreotti con Salvo Lima e con “gli amici degli amici”, o Balduccio di Maggio che interrogato durante il processo riporta l’incontro tra Belzebù e il boss dei boss Totò Riina, o ancora con quel tono irriverente ed ironico che lo contraddistingueva assume le sembianze oscure dello stesso “divo” intento a negare ogni rapporto con la mafia. Pochi oggetti lo aiutano nella messa in scena, due sedie di legno con leggìo, ognuna ai lati del palco, sul fondo un inginocchiatoio su cui è poggiato un impermeabile, l’angolo della non confessione. Uno spettacolo costruito come un mosaico, tanti pezzi che portano ad un’unica conclusione. Una vicenda quella del processo Andreotti in cui i “cattivi” sono sempre ritratti in foto con il divo e i “buoni” sono morti ammazzati, come Ambrosoli o il generale Dalla Chiesa. Le parole di Cavalli tracciano una lungo balletto tra stato e mafia fino ai giorni nostri, pesano come dei macigni e colpiscono la sensibilità dello spettatore che non può far altro che costatare la verità del finale: la storia del nostro paese dimostra che ci sarà sempre “un’innocenza di Giulio”.
Francesca Bianco per teatrionline.com