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L’eterno tafazzismo del centrosinistra: così l’alleanza Pd-M5S naufraga prima di nascere

Regola numero uno in politica: se decidi di parlare in pubblico di un accordo si presume che a quell’accordo intanto qualcuno ci stia lavorando, che ci siano presupposti che possano renderlo possibile e che ci sia volontà da entrambe le parti. E invece no, per la strana alleanza tra Partito Democratico e Movimento 5 Stelle, un’alleanza annunciata e addirittura votata sulla piattaforma dei grillini, abbiamo assistito e continuiamo ad assistere alle dichiarazioni addirittura di un presidente del Consiglio, del segretario del Partito Democratico Nicola Zingaretti, dell’ex capo politico del Movimento 5 Stelle Luigi Di Maio e intanto dai territori arrivano solo rifiuti se non addirittura calci.

La candidata del M5S in Puglia risponde contrattaccando: “Mi hanno offerto poltrone e prestigio assicurato. Ma la nostra scelta deve essere più importante dei miei vantaggi personali e di quelli del premier”, dice, lasciando perfino intendere che l’accordo tra i due partiti su scala locale sarebbe solo il tentativo di prendere ossigeno nel governo nazionale. Non una gran figura, per niente.

Gian Mario Mercorelli, candidato grillino nelle Marche coinvolge perfino il gran capo dei 5 Stelle Vito Crimi dicendo: “Ho sentito Crimi, e non è in corso nessuna trattativa, né a Roma né qui sul territorio. Capisco le ragioni di Conte, è una posizione dovuta, ma è fuori tempo massimo. Un’entrata così a gamba tesa a 36 ore dalla presentazione delle liste non favorisce di certo l’equilibrio generale”.

Un dato è certo: il matrimonio non si farà e risultano perfino risibili i tentativi di chi preannuncia la richiesta agli elettori di fare voto disgiunto per riuscire comunque a convergere sui candidati presidenti del PD. Il matrimonio giallorosso fallisce ancora prima di essere celebrato e il PD incassa perfino gli strattoni del capo politico pentastellato Crimi, che dice di occuparsi “prima dei contenuti che dei contenitori”, liberando, di fatto, tutte le decisioni dei territori e dichiarando addirittura, in un’intervista proprio ieri al Corriere della Sera, che l’alleanza di cui si discute da giorni non è “alleanza strutturale” e che il voto su Rosseau si riferiva a “quattro Comuni che hanno presentato un progetto”. Proprio così.

E con il senno del poi viene da chiedersi a cosa sia servita tutta questa solfa, a cosa sia servito aprire un dibattito su un progetto che non aveva nessuna possibilità di realizzazione e soprattutto perché logorare i due partiti che sostengono il governo, in questo delicato momento in cui c’è un intero Paese da fare ripartire tra qualche settimana, con un’alleanza sui territori che nei fatti era apparsa subito irrealizzabile. Anche perché ammucchiarsi contro la destra, sperando che i voti si sommino come se gli elettori fossero immobili e acritici, non ha mai portato risultato. Ma qualcuno sembra non avere imparato la lezione.

Leggi anche: 1. Vito Crimi gela Conte: “No all’alleanza M5S-Pd. Il voto su Rousseau riguardava solo 4 Comuni” / 2. Regionali, in Puglia l’alleanza col Pd non piace ai Grillini. La candidata M5S: “Piuttosto tagliatemi la testa”/ 3. Pd-M5S, scoppia la pace in tribunale: “Stop alle cause che ci vedevano contrapposti, cambiato clima politico”. Renzi: “Io non le ritiro”

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Sardegna, mentre i contagi aumentano Solinas fa lo scaricabarile col governo (in stile Fontana)

Ricomincia lo scaricabarile e sarà un storia che durerà ancora per molto: mentre in Italia destano preoccupazione i casi di importazione di Covid che stanno facendo alzare il numero dei contagi giornalieri, ora le Regioni partono all’attacco del governo lamentando ritardi e incomprensioni. Sembra di essere tornati ai tempi dello scontro tra governo e Lombardia, quando il presidente Fontana chiudeva qualcosa in meno rispetto ai decreti governativi o apriva qualcosa in più tanto per farsi notare, giusto per chiarire che esistono anche loro.

L’ultimo attacco arriva dalla Sardegna e diventa ancora più incomprensibile alla luce delle testimonianze che arrivano dall’isola, dove al di là delle discoteche ormai chiuse si nota una movida (come in quasi tutte le località vacanziere) assolutamente fuori controllo. Il governatore della Sardegna, Christian Solinas, in un’intervista al Corriere della Sera chiarisce che “la Sardegna non ha mai avuto una circolazione virale autoctona”. “Tutti i casi – dice – sono di importazione o di ritorno, persone già positive testate una volta giunte in Sardegna o sardi infettati durante le vacanze all’estero”.

Come se ancora una volta il punto centrale sia quello di trovare un untore piuttosto che governare una situazione con cui si dovrà convivere probabilmente ancora a lungo, almeno fino all’arrivo del vaccino. Solinas rimarca la sua ostilità al governo: “Se il governo – dice – avesse accolto il modello che avevo proposto già mesi fa per accompagnare l’ingresso sull’isola di ciascun passeggero con un certificato che attestasse l’esito negativo del tampone, oggi non ci sarebbe la recrudescenza del virus”.

E, quando gli si fa notare che i controlli sono partiti solo ad agosto inoltrato, il governatore risponde: “Questo deve chiederlo a Roma. Quando noi lo abbiamo proposto a maggio, tutti si sono stracciati le vesti, attaccandomi con una violenza inaudita da tutti i fronti: politico, mediatico e scientifico”. E siamo al punto di partenza, ancora una volta, dopo tutti questi mesi: nonostante il ministro Boccia insista nel dire che il grado di collaborazione tra governo e Regioni è alto, continuiamo ad assistere al sovranismo del contagio, alla rivendicazione dell’uno contro l’altro come in una brutta operetta con tutti gli attori in commedia, con strali lanciati sui giornali piuttosto che nelle sedi opportune. Con la politica che diventa solo polemica. E mentre la polemica infiamma le diverse fazioni il virus gira, continua a girare.

Leggi anche: 1. Dopo i runner e i migranti, tocca alla discoteche: perché siamo sempre a caccia dell’untore? (di G. Cavalli) / 2. Il Governo decida: conta più la salute o il lavoro? (di G. Cavalli)

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Il Governo decida: conta più la salute o il lavoro?

Coronavirus, il Governo decida: conta più la salute o il lavoro?

Proviamo a stare un po’ più alti, ad alzarci da questa discussione che si è accesa sulle discoteche che dovrebbero essere i nuovi avamposti della libertà. Siamo d’estate, d’estate le persone si sono mosse e per fortuna si è mossa l’economia, quell’economia che è rimasta stagnante durante il lockdown ed è terrorizzata dal ritorno della seconda ondata del Coronavirus.

Lasciate perdere i milionari che ci insegnano dai loro troni cosa sia il lavoro o dai patetici ballerini che vorrebbero costruire una nuova resistenza sulla libertà di ballare. Parliamo dei lavoratori, quelli veri, quelli che con il proprio mestiere mantengono la propria famiglia a fatica e che a fatica si stanno trascinando in questo anno di pandemia, sono loro che ci interessano, sono loro che spariscono da questo assurdo dibattito di questi giorni. I governi, mica solo quello italiano, hanno deciso che quest’estate dovesse essere apparentemente normale con tutta la normalità che si può pensare con un virus sopra la testa. È una scelta legittima ma si gioca su un equilibrio sensibile, un equilibrio che richiede un’ampia riflessione etica: salute contro lavoro, sostentamento economico contro nuovi contagi.

Il Covid impone con forza uno dei vecchi dissidi su cui la politica si deve misurare: ha più valore il lavoro o la salute, conta di più non morire di virus o non morire di fame, qual è l’equilibrio esatto? Perché in fondo l’estate italiana è tutta qui, in una stagione che non ci si poteva permettere di perdere e che comunque inevitabilmente avrebbe provocato un innalzamento dei contagi. Forse una politica più alta, più onesta, più capace discuterebbe di questo, a carte scoperte, decidendo da che parte stare e ponendo dei paletti etici su cosa è giusto e cosa no, su cosa possiamo tollerare e cosa no.

È una decisione squisitamente politica che andrebbe discussa mettendoci la faccia. Alzano Lombardo e Nembro, ne abbiamo le prove, non sono state chiuse per non fermare le fabbriche della zona e abbiamo visto come è andata a finire. Il tema si riproporrà per diverse attività produttive finché non sarà finalmente pronto un vaccino e l’argomento su cui ci spenderemo nei prossimi mesi sembra difficile da inquadrare nel suo complesso con una chiave di lettura collettiva, così ci si perde nei particolari e si perde il senso generale. Ed è una discussione chiave perché finché non si capisce che si sta parlando di questo i poteri economici potranno agire più facilmente sotto traccia. Parliamo di questo, parliamone chiaramente.

Leggi anche: 1. Coronavirus, le nuove decisioni del governo: discoteche chiuse in tutta Italia e mascherine anche all’aperto dalle 18 alle 6 / 2. Chiusura discoteche, Sileri a TPI: “Si è scelto il principio di massima precauzione” / 3. Santanché a TPI: “La mia discoteca resta aperta, l’unica cosa vietata è ballare” / 4. Il proprietario del Papeete a TPI: “La chiusura delle discoteche una mossa per sabotare la campagna elettorale” / 5. Dopo la denuncia di TPI sui mancati tamponi agli italiani positivi tornati da Mykonos, la replica di Ats Milano: “Raddoppieremo disponibilità” / 6. Covid, Crisanti a TPI: “Altro che discoteche, la vera mazzata dei nuovi casi arriverà con l’apertura delle scuole”

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Contrordine, sovranisti: ora la mascherina va messa. La ridicola retromarcia di Trump e Salvini

Dice Trump che chi usa la mascherina è un vero patriota. Dice Salvini che bisogna usare la testa (è credibile come un bradipo che ci insegna come correre lesti) e che bisogna mettere la mascherina nei posti chiusi. Contrordine camerati! La mascherina non è più la spada con cui il sovranismo combatte la sua sacra guerra contro l’ordine mondiale e ora di colpo si diventa tutti responsabili. Bellissimi i messaggi disorientati di quelli che hanno creduto al Covid come una messinscena e avevano trovato i loro falsi profeti. Non hanno mica capito che Trump, Salvini e compagnia cantante hanno come arma di propaganda quella di leccare i complotti ma poi non hanno nemmeno il coraggio di cavalcarli davvero, con la faccia tosta di chi ci mette almeno la faccia.

No, Salvini butta l’amo e poi lo ritira subito, giusto in tempo per pescare in superficie i pesci che abboccano. Non hanno idee: sono opinioni omeopatiche che durano il tempo di qualche mi piace su Facebook o di qualche retweet ma poi sono pronti a cambiare fronte se i sondaggi scendono. E così quando i collaboratori del Trump originale e del nostro Trump in versione discount gli hanno fatto notare che con questa storia della mascherina stavano perdendo voti (presumibilmente anche solo quelli dei malati, dei famigliari delle vittime e degli amici dei malati, che nel nord Italia e che negli USA sono numeri considerevoli) allora hanno inforcato la retromarcia. E così il loro bullismo suona ancora più goffo, più stonato, risibile e estremamente pericoloso.

Avere dei leader di partito che come giochetto non fanno nient’altro che dire il contrario di quello che dicono i loro avversari politici li costringerà presto a affermare che il nero è bianco, che gli alberi hanno le ruote e che i tram crescono sotto i cavoli. Un trucco di propaganda talmente banale che li mostra per quello che sono: banalissimi propagatori di bufale che devono far credere che un nemico invisibili giochi tutto il giorno per portarli alla sconfitta.

La retromarcia sulle mascherine è un manifesto politico: prima era tutto un “non usatele, non usatele, viva la libertà” e ora che si sono ammalati gli altri è tutto un correre ai ripari per salvarsi la pelle. Del resto il vero sovranista ha un’unica Patria: se stesso. E per la propria autopreservazione sono disposti a tutto, anche a apparire più ridicoli di quello che sono già stati. E continueranno così finché ci sarà una nuova bufala da cavalcare per fomentare un po’ di gratuita indignazione.

Leggi anche: Lauree in Albania, soldi scudati in Svizzera: quando “serve” la Lega diventa internazionale (di G. Cavalli)

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Orfini a TPI: “Lamorgese non fa la ministra. I flussi di migranti sono gestibili, ma preferiamo finanziare i torturatori libici”

Se c’è una figura nel Partito Democratico che invoca una svolta, quanto alla gestione dei flussi migratori, già dall’epoca di Minniti, si tratta sicuramente di Matteo Orfini. Il tema dei migranti è ormai tornato al centro del dibattito politico, con l’aumento degli sbarchi, Salvini che ha ripreso la sua propaganda a tamburo battente e la maggioranza in pieno stallo, incapace di cambiare rotta. TPI ha intervistato il deputato del Pd per capire quali sono gli scenari futuri e quali decisioni prenderà la maggioranza di governo su una questione non più differibile.

Tre migranti sono stati uccisi dalla Guardia Costiera libica, e non erano passate nemmeno 24 ore dalla manifestazione che si teneva per contestare il rifinanziamento da parte del governo italiano. La notizia tra l’altro non sembra avere nemmeno indignato più di tanto.

Questa purtroppo è la storia di questi mesi, di questi anni. Non è una notizia, succede quasi tutti i giorni e fuori da ogni forma di ipocrisia e di circostanza è la ragione per cui paghiamo la Guardia Costiera libica: trattenere i migranti con ogni strumento e con ogni mezzo mettendo in conto che possono essere chiusi in un lager, torturati, seviziati e anche uccisi. Se tu finanzi torturatori e assassini, quelli torturano e assassinano.

Ci siamo abituati all’orrore?

C’è un’amnesia collettiva di fronte a un qualcosa di enorme che è e sarà una delle pagine più vergognose del nostro Paese nei libri di storia. Tutto questo oggi, purtroppo, non solleva una discussione adeguata nell’opinione pubblica e nella politica.

Ma qual è il blocco che impedisce di cambiare rotta nel governo? L’alleanza con il Movimento 5 Stelle o vogliamo ammettere che c’è anche un serio problema all’interno del Partito Democratico?

È ovvio che c’è un problema anche dentro al Partito Democratico, che per altro è ancora più incomprensibile quando addirittura Minniti è oggi su una linea differente, tanto che nelle ultime interviste ha definito “inapplicabile” quella politica che ha disegnato e concepito nelle ultime interviste. Siamo di fronte a un accanimento incomprensibile da parte della maggioranza e quindi anche del Pd. Questo atteggiamento è figlio della difficoltà a misurarsi con con una strategia radicalmente alternativa e della paura di una battaglia difficile. Mettere in discussione radicalmente quell’impianto significa affrontare uno scontro culturale e politico molto duro nel Paese e in Parlamento. Evidentemente spaventa.

Il Movimento 5 Stelle da questo punto di vista è più coerente: quell’impianto lì l’hanno sempre avuto e sono i coestensori dei decreti sicurezza. Io ricordo sempre che il secondo decreto sicurezza fu peggiorato dagli emendamenti del M5S rivendicati da Di Maio. Loro sono in continuità. È mancata la volontà del PD.

Carmelo Miceli in un’intervista a Il Foglio dice: “Io non ci sto a dire che l’immigrazione non è un problema. E dico anche, con buona pace dei buonisti, che bisogna rimpatriare chi non ha diritto di rimanere in Italia”. Se lo aspettava di sentire la parola “buonisti” usata come roncola da un suo compagno di partito?

Ormai mi aspetto di tutto. Non mi sorprendo più di nulla. Che vada rimpatriato chi non ha diritto mi pare un’evidenza. Il problema è se l’Italia sia in grado di garantire salvataggio nel Mediterraneo, accoglienza dignitosa e un percorso di integrazione. Di questo stiamo parlando: rinunciamo a salvare, paghiamo la Libia per respingimenti che sono illegali, nel momento in cui qualcuno arriva non siamo in grado di gestire l’accoglienza. In queste ore la ministra degli Interni continua a fare dichiarazioni ma non fa la ministra degli Interni: noi siamo di fronte a flussi ampiamente gestibili che diventano un’emergenza perché non c’è un piano.

Che gli sbarchi aumentino d’estate è così da sempre e di solito si dispone un meccanismo adeguato, non si chiudono 600 persone in un tendone sotto al sole in un posto che ne dovrebbe ospitare solo cento. Non è questo il modo. Caricare la pressione solo su alcune comunità locali non è una soluzione. Noi dovremo essere in grado di organizzarci, vedere chi ha diritto di restare e chi no e mettere in campo un processo di integrazione e invece tutto questo è stato smontato in larga parte dai decreti sicurezza e non c’è stato nessun tentativo di ricostruire un meccanismo complessivo.

Ma come può cambiare la linea del PD? Con la vittoria di una corrente interna, visto che la pressione degli elettori non sembra funzionare?

Io penso che servano entrambe le cose: deve crescere una battaglia interna nel Pd che si deve incrociare con una mobilitazione nel Paese. È chiaro che noi abbiamo perso. Il voto sulla Guardia Costiera libica è una sconfitta. L’assemblea del PD aveva votato contro il rifinanziamento e questa decisione non è stata rispettata: abbiamo anche un serio problema di democrazia interna.

Se Orfini potesse cosa cambierebbe, subito?

Intanto abrogherei le norme che ci sono. Dobbiamo abrogare (e non modificare) i decreti sicurezza, abrogare la Bossi-Fini e ricostruire da un punto di vista complessivo le norme che gestiscono i flussi migratori e che aprono canali legali. Poi abbiamo bisogno di una politica differente dall’altra parte del Mediterraneo che smonti quel meccanismo di sostegno ai respingimenti illegali e che ripristini ciò che accadeva con Mare Nostrum: ricerca e salvataggio di concerto con le Ong e le navi della Marina e della Guardia Costiera.

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Chiedere semplicemente scusa

Pensate come sarebbe facile, chiaro, lineare:

«Scusatemi, no, non è vero che sono stato frainteso, ho detto così perché sono stato vigliacco, capita a tutti di essere vigliacchi e a volte di non volere riconoscere i propri errori, sarà che in fondo siamo tutti figli di quest’epoca in cui l’errore è un’onta da cui sembra impossibile riabilitarsi, sarà che ci vorrebbero convincere tutti che la vera vittoria sta nel non sbagliare mai quando invece sbagliare è nell’ordine naturale delle cose, sbagliare e rialzarsi e poi una volta in piedi sbagliare di nuovo e anche se ci mettiamo in testa di imparare dai nostri errori è talmente ampio il ventaglio degli sbagli possibili nella vita che alla fine non li impareremo mai tutti e ogni mattina ci sarà uno sbaglio nuovo che ci aspetta dietro la porta, che ci frega di nuovo e forse sarebbe il caso che la smettessimo di voler apparire invincibili e che dicessimo, che ce lo dicessimo, che sbagliamo e continueremo a sbagliare. Semplicemente sbaglieremo meglio, promesso».

Pensate che rivoluzione.

Pensate se Bocelli ci dicesse che è stata una tentazione irresistibile andare a fare la sua comparsa in Senato e poi è successo come succede a tutti di farsi trascinare un po’ troppo dalla compagnia dal bar ed è finito a fare il gradasso. «Ho sbagliato e occhio alle cattive compagnie», potrebbe dire. E chiusa lì.

Pensate se Salvini confessasse di dire semplicemente il contrario di quello che dicono gli altri perché gli conviene ed è per questo che dice tutto e il contrario di tutto: «Ogni tanto mi sbaglio perché anche quelli dicono tutto e il suo contrario e io per fare il contrario inevitabilmente mi contraddico». Bon, finita lì.

Pensate se i direttori di Libero e de Il Giornale avessero il coraggio di ammettere di cercare ogni giorno di vincere la gara a chi la spara più grossa e per questo spesso finiscono nell’incredibile. Bene, lo sappiamo, discorso chiuso.

Immaginate Zingaretti se avesse il coraggio di dire che i Decreti Sicurezza non li può cancellare perché il suo presidente del Consiglio li presentava in pompa magna con i clap clap del Movimento 5 Stelle e adesso non può rimangiarsi tutto. Lo sappiamo, bene, ok.

Immaginate se la Meloni dicesse che deve fare la fascista ma prova a farla in modo più furbo di Salvini senza esporsi troppo ma leccando i fascisti di nascosto. A posto così.

Chiedere semplicemente scusa.

Dico, sarebbe un mondo bellissimo, no?

Buon mercoledì.

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I buoni e i cattivi

A Piacenza per la prima volta in Italia è stata posta sotto sequestro una caserma dei carabinieri. Un fatto che rompe il giochetto della narrazione dei “buoni” e dei “cattivi” 

Immaginate che qualcuno compia un reato, che ne so, che rubi due mele da un fruttivendolo. Accade tutti i giorni, accade un po’ dappertutto. Quello che ruba le mele è un ragioniere e un minuto dopo il suo arresto l’associazione nazionale dei ragionieri finisce dappertutto per dire che i ragionieri non sono tutti dei ladri di mele, di non permettersi nemmeno di pensarlo e tantomeno scriverlo.

Oppure immaginatevi un idraulico che uccida una persona. Immaginate un ex ministro dell’Interno che come prima reazione rilascia una bella intervista augurandosi che l’idraulico possa dimostrare la propria innocenza ma soprattutto che ringrazi la categoria degli idraulici per tutte le volte che sono stati ingiustamente accusati.

A Piacenza per la prima volta in Italia è stata posta sotto sequestro una caserma dei carabinieri, la caserma “Levante” in centro città, e i magistrati hanno raccontato di 18 persone coinvolte nell’inchiesta con rapporti molto stretti nei confronti di alcuni spacciatori (una sorta di onorata società che vede guardie e ladri mettersi in affari) contestando una caterva di reati: traffico e spaccio di stupefacenti, ricettazione, estorsione, arresto illegale, tortura, lesioni personali, peculato, abuso d’ufficio e falso ideologico. Una roba enorme. E ogni volta che si parla di carabinieri esce questo corporativismo che risulta petulante e fastidioso: se si accusa un carabiniere sembra obbligatorio doversi quasi scusare con tutti gli altri. Non conta che una persona che debba garantire la legalità abbia molte più responsabilità sociali proprio per la divisa che porta, no: accusare un carabiniere per molti significa porsi immediatamente nella parte di quelli che odiano i carabinieri, con buona pace della complessità e della percezione della realtà.

Ma c’è una spiegazione semplice semplice: i fatti come quelli di Piacenza rompono il giochetto della narrazione dei buoni e dei cattivi con cui certi superficiali propagandisti dividono il mondo. Sono gli stessi che vorrebbero classificare le persone per l’etichetta che gli si appiccica addosso e non per quello che fanno e per quello che sono. Sono gli stessi che hanno bisogno di banalizzare la realtà perché si riconoscono incapaci di coglierne le sfumature e ancora di più governarle.

Così se uno dei sicuramente buoni improvvisamente diventa cattivo credono che anche gli altri, quelli che invece sono ben consapevoli della moltitudine di sfumature della realtà, ragionino come loro e categorizzino il resto del mondo.

Buoni o cattivi. Bianco o nero. Deve apparire ben facile governare un mondo così.

Buon venerdì.

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Abbas intanto è recluso, per niente

Abbas Mian Nadeem, un ragazzo pakistano con regolare permesso di soggiorno, è finito per errore nel Cara di Isola Capo Rizzuto insieme a migranti trovati positivi al Covid. Lui è sieropositivo, malato di epatite, immunodepresso e in quel luogo la sua salute è fortemente a rischio

È una storia che inizia con una pesca a strascico solo che si pescano uomini, mica pesci. L’hanno raccontata Alessia Candito e Floriana Bulfon per Repubblica e inizia a Amantea, in Calabria, dove i giorni scorsi molti cittadini sono scesi in piazza per protestare contro il trasferimento di alcuni migranti trovati positivi al Covid. Immaginate la scena: arrivano i mezzi per trasferire 11 persone da Amantea al Cara di Isola Capo Rizzuto. La struttura di Amantea è presidiata dai militari e molta gente esulta per essere riuscita a liberarsi dal peso di questi negri, sporchi e forse malati. Ma fin qui la storia non stupisce, è una storia che abbiamo già sentito in questi anni.

I militari arrivano a raccogliere le persone e a un certo punto una donna da una finestra si mette a urlare «Anche lui! Anche lui! Prendete anche lui!» e indica un altro ragazzo, lì nei pressi della struttura, anche lui nero per cui nella pesca a strascico il nero va con il nero. Prendono anche lui.

Lui è Abbas Mian Nadeem, un ragazzo pakistano con regolare permesso di soggiorno che vive da qualche anno a Amantea, si arrangia con qualche lavoretto e si trovava in quel momento in quel posto perché sa bene cosa significhi attraversare il mare e quindi aveva deciso di portare supporto e qualcosa di utile ai suoi compagni di sventura. Una persona legittimamente sul suolo italiano e legittimamente impegnata a portare solidarietà. Nel dubbio l’hanno caricato ed è finito anche lui al Cara di Isola Capo Rizzuto, una struttura in condizioni vergognose dove qualche materasso dovrebbe sembrare un letto. Il Cara di Isola Capo Rizzuto, tanto per capirsi, è lo stesso che stava nelle mani del clan di ‘ndrangheta Arena con un prete come prestanome.

All’arrivo al Cara qualcuno si accorge che le persone sono 12 rispetto alle 11 programmate, si prova a fare notare l’errore, Mian Nadeem prova a spiegarsi non accade niente. Niente. Il ragazzo, illegalmente recluso, contatta giornalisti e associazioni ma non si riesce a sbrogliare questa kafkiana situazione. Ma c’è di più: Mian Nadeem è sieropositivo e malato di epatite quindi immunodepresso e in questo momento sta con persone in quarantena per rischio coronavirus. Immaginate l’odore della paura.

Lui ha girato anche un video per mostrare le terribili condizioni in cui si ritrova ma ieri hanno tolto l’elettricità e non riesce nemmeno a caricare il suo telefono per comunicare con l’esterno. L’associazione La Guarimba Film Festival si è mossa per chiedere un intervento della Croce Rossa e della Questura. Per ora tutto tace. Abbas intanto è recluso, per niente.

Il Paese che siamo.

Buon martedì.

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19 anni dopo, i temi del G8 di Genova sono più attuali che mai

Chissà quando avremo gli occhi per rivederlo, quel G8 a Genova, quella manifestazione che certa retorica squadrista continua a raccontare come un’orrida sequela di tafferugli (dimenticandone chirurgicamente le responsabilità), raccontando di una città messa a ferro e a fuoco e proiettando un film che non rispetta la realtà. Andrebbe rivisto, quel G8, per raccontare come una grave sospensione della democrazia (parole usate dall’Onu e riprese da importanti organizzazioni internazionali) possa passare sotto traccia ed essere normalizzata negli anni successivi.

Ma, no, questo non vuole essere un pezzo sui picchiatori seriali ben ammaestrati in divisa e nemmeno sulle forze di pubblica sicurezza che fabbricano prove false per giustificare la propria violenza. Dico, ve li ricordate i temi di quel G8? C’erano qualcosa come 300mila persone (che non sono i like su Facebook) che avevano preso i mezzi da tutto il mondo per arrivare a Genova a evidenziare una serie di problemi che per loro sarebbero stati lo scacco matto del futuro del mondo.

A Genova si contestavano il neoliberismo furioso, la concessione di veri e propri paradisi fiscali, la vittoria della finanza sull’economia, l’aumento della disuguaglianza sociale e soprattutto dell’ingiustizia sociale, l’impoverimento irrefrenabile delle classi medie, la sbagliata e ingiusta distribuzione di ricchezze nel mondo, la visione privatistica del mondo al danno del pubblico, il consolidamento delle lobby di potere e delle grandi multinazionali come inquinamento delle decisioni politiche, la redditizia instabilità del mondo mediorientale. Si parlava dell’ambiente prostituito al profitto e delle enormi conseguenze che ci sarebbero state a livello planetario, si parlava dell’aumento della diffusione di xenofobia e di razzismo.

Avevamo ragione noi, a Genova. Aveva ragione quel documento finale del Social Forum di Porto Alegre (lo trovate qui) del 2002 che oggi risuona ancora come agenda assolutamente contemporanea del mondo in cui siamo. Sono passati quasi 20 anni e i mali del mondo sono ancora gli stessi.

Quei temi non sono stati sfondati dai manganelli (a differenza delle teste e dei denti) e dimostrano che, no, non era violenza sistematica per zittire qualche contestazione ma era un pugno di ferro contro un cambiamento di un mondo che non vuole cambiare e che continua a crollare ogni giorno dei medesimi mali. Avevamo ragione noi, a Genova, in piazza, e oggi i grandi del mondo parlano quella stessa lingua. Solo che qualcuno ci ha rimesso qualche osso.

Leggi anche: 1. In Italia 13mila infetti, ma gli “untori” sono i migranti: signori, gli sciacalli sono tornati (di G. Cavalli) / 2. Caro Conte, l’unica opera strategica per l’Italia è investire nella scuola. Che cade a pezzi (di G. Cavalli)

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Fare come i razzisti, ma al contrario

È una storia che va raccontata quella dell’aggressione a Beatrice Ion, atleta della nazionale italiana paralimpica di basket e di origine rumena. Bisogna raccontare il razzismo tutti i giorni così che diventi un’emergenza

«Vivo in Italia da 16 anni, ho la cittadinanza italiana e ho fatto qui tutte le scuole. Sto continuando gli studi all’Università, gioco a basket in carrozzina con la Nazionale italiana e mi considero in tutto e per tutto italiana. Eppure sono stata aggredita. Mio papà è in ospedale probabilmente con uno zigomo rotto perché a detta loro siamo stranieri del ca**o che devono tornare al loro paese. Tralascio le offese che mi sono presa perché sono disabile. Io e mamma eravamo dentro e un tipo ci urlava di uscire. Papà stava tornando dalla sua consueta passeggiata e non è riuscito quasi a parlare, colpito da una testata e altro. Urlava anche davanti ai carabinieri: ho un curriculum criminale, a tua figlia handicappata la becco per strada e mi faccio fare un lavoretto… Sono stati davvero brutti momenti. E non mi dite che il razzismo in Italia non esiste. L’ho vissuto oggi dopo 16 anni che vivo qui e fa molto male. A chi ci ha aggredito dico di vergognarsi, saremo anche stranieri ma abbiamo più dignità di loro e chi ha guardato tutto senza fare nulla si dovrebbe vergognare ancor di più».

A raccontare questa storia è Beatrice Ion, stella della nazionale italiana paralimpica di basket, italiana da ben 16 anni e di origine rumena. Beatrice ha incontrato il modello di razzista perfetto: quello che odia gli stranieri, odia i disabili e che riesce addirittura a vedere dei privilegi riservati ai deboli che lui non riesce a sopportare. È una storia significativa perché di fronte al razzismo e alla ferocia ci racconta che non basta nemmeno l’intervento di un genitore, della famiglia ma il razzismo è un liquido velenoso che ha bisogno che tutti si facciano argine per non permettergli di infilarsi dappertutto.

Ma è una storia che va raccontata. Ci ho pensato, mi sono detto che forse era una storia ormai vecchia di qualche giorno e che forse era un caso isolato e poco paradigmatico poi ho pensato che invece queste storie andrebbero raccontate tutte, una per una, tutti i giorni, tutte le volte, ripeterle sui giornali, per strada, al bar, con la stessa ostinazione con cui i razzisti giocano perfidi al sottile gioco di ripetere una bugia per farla diventare parvente verità.

Bisogna fare come loro, al contrario: raccontare il razzismo tutti i giorni così che diventi un’emergenza, qualcosa di cui ci stanchiamo di parlare e di sentire parlare, un atteggiamento troppo ripetuto per poter essere sostenibile. Una cosa così.

E allora, cara Beatrice, sappi che sono in molti a difenderti, moltissimi.

Buon mercoledì.

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