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tolleranza

Auguri, Liliana Segre. Come sempre, saprai perdonare chi ti obbliga a festeggiare i 90 anni sotto scorta

La memoria è un bene e raro prezioso, sarà per questo che in Italia si tende a risparmiarla. E che oggi Liliana Segre compia novant’anni e li debba celebrare sotto scorta, lei che è uscita viva dall’orrore di Auschwitz e che ha perduto gli affetti nella furia nazista, è la fotografia più urgente di quello che siamo. Allora buon compleanno, carissima Liliana Segre, ed è un buon giorno anche per noi che abbiamo tanto bisogno di una memoria che sia viva, reale, tattile, che abbia voce, che esista, che si permetta di essere argine ogni giorno contro un revisionismo che si infila in tutti i pori della politica, della comunicazione, della società.

Buon compleanno e grazie. Grazie di essere la prova che una testimonianza sopravvissuta al periodo più buio del nostro ultimo tempo passa essere decisa e misurata, grazie delle parole che ancora vengono usate bene quando sono dense di significato, quando le parole servono ancora a rimettere le cose al loro posto, grazie della sua presenza in un Paese che ha un disperato bisogno, tutti i giorni, di ricordarsi di ricordare.

E poi ci sarebbe il regalo da fare, come ogni buon compleanno che si rispetti, a Liliana Segre: c’è quella Commissione straordinaria contro odio, razzismo e antisemitismo e istigazione all’odio e alla violenza, da lei proposta e approvata in Senato il 30 ottobre 2019 che giace lì in attesa di entrare in funzione e che si propone di “osservare, vigilare, studiare e proporre iniziative atte a contrastare eventi e manifestazioni di razzismo, antisemitismo, intolleranza, istigazione all’odio e alla violenza nei confronti di persone o gruppi sociali sulla base dell’etnia, la religione, la provenienza, l’orientamento sessuale, l’identità di genere o di altre particolari condizioni fisiche o psichiche”. Il regalo migliore che potremmo farle, e che potremmo farci, è quello di rendere funzionale una commissione di cui c’è assolutamente bisogno in questo momento e che renderebbe questo Paese un posto sicuramente migliore.

E grazie Liliana Segre per tutte le volte che non si è sottratta dal parteggiare di fronte ai brutti casi che si sono succeduti in questi mesi. Anche sulla morte di Willy le parole migliori le ha pronunciate lei: “La morte di Willy mi ha fatto molta paura. È stata come una sconfitta personale, mi ha fatto pensare che tutto ciò che ho provato a fare contro la violenza e l’odio, alla fine è servito a poco. Se ancora ci sono in giro persone che pensano di risolvere le proprie sconfitte personali picchiando il prossimo, siamo ancora in una società lontana dalla civiltà”. Auguri, a lei e a noi.

Leggi anche: 1. Il commovente discorso di Liliana Segre agli studenti de La Sapienza: “Sarò sempre la ragazzina espulsa da scuola perché ebrea” / 2. “Io che ho vissuto Auschwitz sulla mia pelle, vi avverto: attenti a questa campagna d’odio”, intervista a Liliana Segre

L’articolo proviene da TPI.it qui

La mafia a Brescia, la mafia in Lombardia: «Siamo tutti complici»

da BresciaToday

Parlare di mafia si fa sempre più complicato, i tentacoli della Piovra si fanno sempre più vasti, più di quanto si possa immaginare, “ce li abbiamo fin sotto casa“. Con la complicità di tanti, non solo la classe dirigente, con “i pentiti trattati come eroi”, e la Regione Lombardia che dentro di sé, quasi come una qualità oggettiva, possiede “il concime ideale per la proliferazione mafiosa”. A Castegnato il primo incontro del ciclo Mafie al Nord, con Giuseppe Giuffrida (direttore del Distretto Antimafia di Brescia e responsabile dei beni confiscati di Libera Brescia) e Giulio Cavalli (consigliere regionale di SEL), da sempre impegnati nel tenere alta l’attenzione, per non far chiudere gli occhi, per non “farti voltare dall’altra parte”.

In Lombardia e a Brescia, spiegano i relatori, “siamo stati bravi solo a nascondere tutto sotto la sabbia, a fare finta di niente”, giustificando “imprenditori e politici spericolati, giullari e prostitute” e, come detto, con responsabilità comuni. “Una Regione che ha già perso, la Regione dove si vende e si consuma un terzo della cocaina del Paese, dove le infiltrazioni mafiose cominciano dalle banche, si legano ai ricchi imprenditori ma anche ai poveri, con i ricatti, con l’usura”. Spuntano supermercati “come funghi”, strutture commerciali che “non hanno abbastanza clienti per mantenersi”, un fenomeno inarrestabile che allora “non è solo politico”, sale slot e videopoker “piazzati secondo zone d’interesse, fuori dalle leggi del mercato, come se ci fosse un suggeritore”, panettieri e panifici che “non hanno bisogno di vendere pane per guadagnare”, case e capannoni “prima costruite e poi invendute”.

E ancora le coincidenze che si ripetono, la storia di Daccò “con lo stesso odore di quelle di Fiorani e di Sindona”, i faccendieri “amici degli amici in grado di far valere quando serve il loro legame con quelli che contano”, quando la piccola Denise a soli 20 anni è già testimone di giustizia. Il riciclaggio, la memoria di comodo, problemi “culturali e morali”, il reato 416 in cui “tre o più persone cercano di accrescere il proprio bene privato a discapito del bene pubblico, giù al Nord quasi una costante”, o il 416/bis a cui si aggiungono “minacce e intimidazioni”.

Scelte suicide come “la spinta all’intolleranza verso i deboli e non verso i prepotenti”, frammenti di un puzzle davvero troppo grande di cui però bisogna sfatare i luoghi comuni, “perché sappiamo tutti che Provenzano e Riina erano solo ‘pezzi’, piccole parti di un apparato gigantesco, senza mai sapere chi fossero gli statisti quelli puri, abbiamo avuto paura delle loro ombre, di gente che neanche meritava considerazione”.

Una bruciante conclusione quella di Cavalli e Giuffrida: “La paura può essere lecita, l’indifferenza invece no. Chi non prende posizione è come se fosse un colluso, l’antimafia educata non esiste. La mafia non si combatte con l’impegno straordinario di pochi, si combatte con l’impegno quotidiano di tanti. Prima di tutto dobbiamo imparare a sconfiggere la mafia che c’è dentro di noi”.

La politica dopo Utoya

Direi: non mollate. So che l’Italia ha gravi problemi economici in questa fase ma la cattiva salute dell’economia non dev’essere un motivo per gettare la spugna. È la politica a creare le condizioni dello sviluppo economico, è la politica a stabilire le regole del gioco. In tutti i campi dobbiamo affrontare sfide sempre più complesse, basta fare una ricerca tra i forum online per vedere che il problema dell’estremismo esiste. Chi deve decidere come sarà il mondo che abiteremo? Se noi per primi rinunciamo a dire la nostra, cosa resta della democrazia? Il 22 luglio ha cambiato il mio Paese, i giovani hanno capito che ciò che davano per scontato – la libertà, la tolleranza, la pace – era in pericolo. E hanno deciso di agire, di partecipare

Il 22 luglio Stian era sull’isola di Utoya per il campo estivo del partito. Quando cominciò la carneficina, lui si mise a correre con altri compagni verso il bosco, rimase nascosto per oltre due ore, con un pensiero fisso: “Forse oggi morirò”. Non è morto e interrogato su politica e Italia fissa tre punti: la libertà, la tolleranza, la pace. 

Quanta libertà, quanta tolleranza e quanta pace ci sono nell’agenda della politica? Perché forse è una mia sensazione ma sembra che ci sia un pudore (per inadeguatezza e poca credibilità) nel pronunciarle queste tre parole, qui da noi, che mi fa chiedere se noi siamo sopravvissuti per davvero.

Salvo Vitale e la sincerità per niente smemorata

Tipologie dell’antimafia

di Salvo Vitale – 3 settembre 2009
Ci sono vari tipi di antimafia: mi soffermo su alcuni:

1) L’antimafia di facciata, è la più diffusa: manifestazioni formali, commemorazioni in occasione di ricorrenze (nascite, morti, partecipazione ad eventi, intestazioni di strade, convegni ecc.). E’ l’antimafia tutto fumo e niente arrosto, nel senso che basta impegnare pochi soldi (amplificazione, locale, spese di viaggio e di soggiorno per i relatori per promuovere l’immagine di un’amministrazione seriamente impegnata in questo campo, attraverso la diffusione della notizia sul giornale o in tv. Qualche presenza del politico di turno assicura più visibilità e più parole inutili. I risultati d queste attività sono pressocché nulli se non rafforzati da momenti di riflessione e da azioni d’intervento sul territorio. Da questa antimafia i mafiosi non si sentono disturbati, anzi condividono o promuovono la partecipazione di loro simpatizzanti alle iniziative, onde avere un alibi.

2) L’antimafia talebana: è quella di chi vede mafia e interessi mafiosi dappertutto, quella di chi su un saluto, su una parentela, su una frase avulsa dal suo contesto, scopre collusioni mafiose con i politici, loschi affari che nascondono chissà quali oscure trame. Si mettono assieme le più disparate notizie che possono avere una qualche connessione, per elaborare analisi indimostrabili, utili comunque a gettar fango sul proprio avversario politico o sul proprio nemico personale. Molti personaggi di primo piano, soprattutto a sinistra, hanno fatto parte di questa antimafia, finendo con il generalizzare in un unico calderone categorie sociali e persone che nulla avevano a che fare con la mafia. Personalmente ritengo di essere appartenuto anche io, in altri tempi, a questa categoria, quando, ai tempi di Peppino Impastato, ritenevo che “Scudo crociato- mafia di stato” o che ” D,C.+P.C.I= mafia”. C’erano allora certamente molti mafiosi nelle D.C. così come ora nell’UDC e nel PDL, alcuni anche nel PD, senza per questo dover concludere che tutti quelli che fanno politica sono mafiosi o collusi. “Se tutto è mafia niente è mafia”, diceva Sciascia. E questa sorta di smania di trovare “connessioni mafiose” dovunque, ricorda per certi aspetti l’integralismo dei talebani afghani. Quindi due tipi di “talebaneria”: quella sincera e radicale, chiusa in una completa intolleranza e nel rifiuto totale del sistema, quella che utilizza o strumentalizza presunte collusioni come mezzi utili a qualche strategia politica. E qua passiamo già alla successiva tipologia,

3) L’antimafia strumentale: l’uso dell’antimafia come strumento per far carriera. Sciascia, a suo tempo, bollò come “professionisti dell’antimafia” anche Falcone e Borsellino, accorgendosi, solo molto più tardi e dopo la loro morte, di avere sbagliato bersaglio. Per un magistrato che cura particolari inchieste, è facile costruire una cornice in cui l’impegno personale si media con la carriera professionale. Anche il politico può servirsi di quest’arma con intelligenza, favorendo le associazioni antimafia, assegnando loro beni confiscati, plaudendo alle operazioni delle forze dell’ordine quando smantellano organizzazioni malavitose presenti sul proprio territorio, o esprimendo solidarietà nel caso di attentati. Sull’esistenza di un autentica volontà antimafia si può avanzare qualche dubbio, anche se non mancano risultati eclatanti.

4) L’antimafia passiva, che comprende una “maggioranza silenziosa”, ostile alle prepotenze, desiderosa di vedere l’alba di una nuova Sicilia, ma che sopporta tutto e si adatta al sistema per mancanza di coraggio. “Pi amuri di la paci ognunu taci- e supporta la mafia in santa paci” , cantava Otello Profazio. Difficile catalogare come antimafia questa forma di accettazione passiva, specie quando è determinata dall’idea che nulla cambia o potrà cambiare l’attuale assetto di vita: non c’è miglior terreno di cultura della mafia che la conservazione dello stato di cose che ne costituisce il naturale brodo di coltura. Un passaggio più avanzato è l’accettazione determinata dalla paura: a nessuno piace subire la violenza, assoggettarsi al pagamenti del pizzo per evitare ritorsioni che possono arrivare alla rovina di un’attività. Lamentarsi non basta, ma c’è già qualche luce di ribellione, o comunque, di presa di distanza.

5)
Più consistenza ha l’antimafia militante, cioè quella di coloro che dedicano il proprio tempo e la propria vita a lavorare per l’eliminazione di questo triste fenomeno del sottosviluppo meridionale: quella di coloro che vanno nelle scuole, che scrivono inchieste coraggiose su alcuni giornali, che creano associazioni e promuovono iniziative di formazione e di lotta, anche spontanee, contro chi usa il potere per ricattare la gente impedendole di scegliere liberamente il proprio futuro. E l’antimafia di amministratori che si attivano per utilizzare i terreni confiscati ai mafiosi, quella dei docenti che elaborano progetti di educazione alla legalità ( non sempre efficaci), quella dei pochi giornalisti pronti a rendere note le collusioni con la politica e i giri d’affari illegali, mentre gran parte dei loro colleghi preferiscono scaldare le sedie con inutili servizi sulle vacanze, sui prezzi, sull’enalotto, sui meriti e i miracoli del loro padrone e dei suoi amici, ecc.

Tratto da: corleonedialogos.blogspot.com

Cronache da Bengodi – Profeti senza vangelo

Dall’apocrifo di P.P.Pasolini
•    Basta ai giovani contestatori staccarsi dalla cultura, ed eccoli optare per l’azione e l’utilitarismo, rassegnarsi alla situazione in cui il sistema si ingegna ad integrarli. Questa è la radice del problema: usano contro il neocapitalismo armi che in realtà portano il suo marchio di fabbrica, e sono quindi destinate soltanto a rafforzare il suo dominio. Essi credono di spezzare il cerchio, e invece non fanno altro che rinsaldarlo. (da Saggi sulla politica e sulla società, a cura di Walter Siti e Silvia De Laude, Mondadori)
•    Il coraggio intellettuale della verità e la pratica politica sono due cose inconciliabili in Italia. (da Cos’è questo golpe? Io so, Corriere della sera, 14 novembre 1974)
•    Ma io sono un uomo che preferisce perdere piuttosto che vincere con modi sleali e spietati. Grave colpa da parte mia, lo so! E il bello è che ho la sfacciataggine di difendere tale colpa, di considerarla quasi una virtù… (dai Dialoghi con Pasolini, settimanale Vie Nuove, n. 42, 28 ottobre 1961)
•    Non c’è dubbio (lo si vede dai risultati) che la televisione sia autoritaria e repressiva come mai nessun mezzo di informazione al mondo. Il giornale fascista e le scritte sui cascinali di slogan mussoliniani fanno ridere: come (con dolore) l’aratro rispetto a un trattore. Il fascismo, voglio ripeterlo, non è stato sostanzialmente in grado nemmeno di scalfire l’anima del popolo italiano; il nuovo fascismo, attraverso i nuovi mezzi di comunicazione e di informazione (specie, appunto, la televisione) non solo l’ha scalfita, ma l’ha lacerata, violata, bruttata per sempre. (dal Corriere della sera, 9 dicembre 1973)
•    Strano a dirsi: è vero che i potenti sono stati lasciati indietro dalla realtà con addosso, come una ridicola maschera, il loro potere clerico-fascista, ma anche gli uomini dell’opposizione sono stati lasciati indietro dalla realtà con addosso, come una ridicola maschera, il loro progressismo e la loro tolleranza.
Una nuova forma di potere economico (cioè la nuova, reale anima – se Moro permette – della democrazia cristiana, che non è più un partito clericale perché la Chiesa non c’è più) ha realizzato attraverso lo sviluppo una fittizia forma di progresso e tolleranza. I giovani che sono nati e si sono formati in questo periodo di falso progressismo e falsa tolleranza, stanno paganado questa falsità (il cinismo del nuovo potere che ha tutto distrutto) nel modo più atroce. (Fuori dal Palazzo: p. 96)
•    Chi si scandalizza è sempre banale: ma, aggiungo, è anche sempre male informato. (Processo anche a Donat Cattin: p. 139 LETTERE LUTERANE)
•    L’Italia – e non solo l’Italia del Palazzo e del potere – è un Paese ridicolo e sinistro: i suoi potenti sono delle maschere comiche, vagamente imbrattate di sangue: «contaminazioni» tra Molière e il Grand Guignol. Ma i cittadini italiani non sono da meno. Li ho visti, li ho visti in folla a Ferragosto. Erano l’immagine della frenesia più insolente. Ponevano un tale impegno nel divertirsi a tutti i costi, che parevano in uno stato di «raptus»: era difficile non considerarli spregevoli o comunque colpevolmente incoscienti.
•    Ho capito di colpo che cosa è oggi il Movimento Studentesco. Esso è un movimento politico la cui ascesi consiste nel fare. È qualcosa di più e di diverso dal pragmatismo talvolta ricattatorio sotto il cui segno il Movimento Studentesco è cominciato: pragmatismo che non trascendeva ancora se stesso in una specie di religione di se stesso: ma era un semplice dato, non privo, nei casi peggiori (il fanatismo per Che Guevara) di vecchia retorica piccolo borghese. Ora, per la prima volta, che io sappia, nella storia il Credere nasce dal Fare: mentre dal tempo della Bibbia, attraverso San Paolo fino ai giorni nostri, il Fare non era che l’altra faccia del Credere.
È da supporsi che un Credere (incondito, rimosso, non affrontato, spregiato) presieda a tutta questa operazione: e che non si tratti che di un ritorno adesso, attraverso la scoperta del Fare (dell’Organizzare). (6 dicembre 1969)
•    La serietà! Dio mio la serietà! Ma la serietà è la qualità di coloro che non ne hanno altre: è uno dei canoni di condotta, anzi, il primo canone, della piccola borghesia! Come ci si può vantare della propria serietà? Seri bisogna esserlo, non dirlo, e magari neanche sembrarlo! Seri si è o non si è: quando la serietà viene enunciata diventa ricatto e terrorismo! (20 dicembre 1969)