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“Sono trafficanti”, così la Libia giustifica le torture contro i ragazzini

Continua incessante in Libia la grave repressione che si srotola nel Paese da venerdì sotto lo sguardo inerme della comunità internazionale che finge di non vedere, di non sapere e di non capire. Ora escono anche i primi numeri ufficiali: l’agenzia delle Nazioni Unite ha contato 5.152 migranti che sono stati detenuti, ma i numeri sono in aumento visto che l’orrido rastrellamento continua nella città occidentale di Gargaresh, da sempre importante hub per i migranti della nazione nordafricana.

Hussein Baoumi, attivista per la Libia e l’Egitto presso Amnesty International, ha raccontato ad Al Jazeera che gli arrestati sono stati portati nei centri di detenzione tra cui Al-Mabani e Shara’ al-Zawiya, a Tripoli, e che si lamentano delle condizioni disumane e dell’estremo sovraffollamento. «Le persone con cui abbiamo parlato devono dormire con un sistema di rotazione, in cui alcune persone stanno in piedi e altre dormono», ha detto Baoumi. Continuano ad arrivare video che testimoniano pestaggi delle guardie con bastoni e tubi dell’acqua mentre il cibo continua a scarseggiare. Sono almeno due le donne che hanno denunciato molestie sessuali a volontari di Amnesty International: una di loro ha raccontato di essere stata costretta a spogliarsi nuda in un centro di detenzione. Proprio secondo Amnesty International la repressione sarebbe dalla milizia della “Sicurezza pubblica”, guidata dall’ex vice capo dell’intelligence libica Emad al-Trabulsi, nonché dalla “Forza di supporto della direzione della sicurezza”. Entrambi i gruppi sono legati al ministero dell’Interno libico, quel ministero che l’Italia (e l’Europa) continua a sovvenzionare profumatamente.

Le autorità libiche, per nulla imbarazzate di ciò che sta accadendo, confidando sempre nell’impunità che gli viene garantita da un’Europa interessatamente distratta, continua a descrivere la campagna come una misura “di sicurezza contro l’immigrazione clandestina e il traffico di droga” ma il ministero dell’Interno, che guida la repressione, non è stato in grado di menzionare un solo arresto di un solo narcotrafficante o contrabbandiere. Il fatto che tra i migranti e rifugiati detenuti ci siano 215 bambini e più di 540 donne, di cui almeno 30 incinte (come ha detto lunedì all’Associated Press l’Organizzazione internazionale per le migrazioni OIM delle Nazioni Unite) lascia intuire che la narrazione del governo libico sia una bugia recitata anche piuttosto male. Anche perché tra i rifugiati ci sono molti che si sono regolarmente registrati presso l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, il che significa che sono stati riconosciuti come rifugiati o richiedenti asilo. «Queste persone stanno scappando dalla persecuzione dai loro paesi di origine e dovrebbero essere protette, non imprigionate», ha detto Baoumi di Amnesty International. Georgette Gagnon, coordinatrice umanitaria delle Nazioni Unite per la Libia, ha dichiarato che «i migranti disarmati sono stati molestati nelle loro case, picchiati e fucilati».

«La maggior parte delle persone arrestate sono ora detenute arbitrariamente, anche in strutture di detenzione gestite dalla Direzione per la lotta alla migrazione illegale, sotto il ministero degli Interni», ha affermato Gagnon. Vale la pena ricordare che nel 2020, le autorità libiche hanno legittimato i luoghi di prigionia informali integrandoli nell’infrastruttura ufficiale di detenzione per migranti sotto il controllo della Direzione per la lotta alla migrazione illegale (DCIM) del Ministero dell’Interno. Secondo la testimonianza di un eritreo detenuto ci sarebbero almeno 17 morti per colpi di arma da fuoco da parte della polizia libica nel centro di detenzione di Ghoat Shaal, mentre altri due sarebbero morti all’interno della struttura di detenzione per asfissia, soffocati dai corpi dei loro stessi compagni ammassati, come dimostrano anche le inequivocabili immagini che ci arrivano. I media locali hanno diffuso immagini di rastrellamenti avvenuti anche nella zona di Janzur, a 12 chilometri da Tripoli. Mentre rimbalzano le foto anche delle oltre 1.000 persone che dormono per strada nei pressi della sede UNHCR (l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati) a Tripoli per cercare protezione e scappare dalle retate.

Se non bastasse ora c’è anche il rapporto pubblicato dalla missione di inchiesta indipendente sulla Libia delle Nazioni Unite che denuncia crimini di guerra e crimini contro l’umanità, commessi nel Paese nordafricano a partire dal 2016. Il Consiglio per i diritti umani dell’Onu racconta che le indagini «hanno evidenziato che tutte le parti in conflitto, inclusi Paesi terzi, combattenti stranieri e mercenari, hanno violato il diritto internazionale umanitario, in particolare i principi di proporzionalità e ragionevolezza, e alcune hanno commesso crimini di guerra». «Migranti, richiedenti asilo e rifugiati sono sottoposti a una sequela di abusi in mare, nei centri di detenzione e per mano dei trafficanti», ha spiegato Chaloka Beyani, membro della Missione. «Le nostre indagini indicano che le violazioni contro i migranti sono commesse su vasta scala da attori statali e non statali, con un alto livello di organizzazione e con l’incoraggiamento dello Stato – il che è indicativo di crimini contro l’umanità».

«La detenzione arbitraria in prigioni segrete e le condizioni insopportabili di detenzione sono ampiamente utilizzate dallo Stato e dalle milizie contro chiunque sia percepito come una minaccia ai loro interessi o opinioni», ha accusato Tracy Robinson. «La violenza nelle carceri libiche è commessa su una tale scala e con un tale livello di organizzazione che può anche potenzialmente equivalere a crimini contro l’umanità». Il rapporto della missione d’inchiesta documenta anche il reclutamento e la partecipazione diretta di bambini alle ostilità, le sparizioni forzate e le uccisioni extragiudiziali di donne di spicco e le continue forme di violenza sessuale e di altro tipo contro le popolazioni vulnerabili, comprese le persone LGBTQI. La Missione ha inoltre prestato particolare attenzione alle accuse di crimini atroci commessi nella città di Tarhuna (sud-est di Tripoli) tra il 2016 e il 2020. Anche oggi dalla Libia “porto sicuro” (come dicono i nostri rinomati ministri) è tutto. Ma le cronache dall’inferno continuano, c’è da scommetterci.

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Strage in mare: 130 naufragi in difficoltà da giorni, ma con le Ong lontane gli Stati hanno fatto finta di niente…

Il fatto è che ormai questi morti non pesano più, sono battute, qualche centinaio di battute che finiscono sulle pagine dei giornali, quando va bene in una notizia che è poco di più una semplice “breve”, oppure farciscono un lancio di agenzia. Perfino quelli che (giustamente) ogni giorno provano a sottolineare i quintali di carne morta per Covid non riescono ad avere la stessa attenzione per i morti nel Canale di Sicilia. Lì abbiamo deciso che “devono” morire, che “possono” morire, come se davvero nel 2021 potesse esistere una parte di mondo che preveda ineluttabile l’annegamento, va così, ci si dà di gomito, ci si intristisce di quel lutto passeggero che si dedica alle notizie di cronaca nera e quelli non esistono più, non erano nemmeno vivi prima di essere morti, quelli che attraversano il Mediterraneo esistono perfino di più quando sono cadaveri che galleggiano nel mare.

130 migranti morti, 3 barconi messi in mare dai trafficanti libici e tre navi commerciali (lì dove ci dovrebbero essere le autorità coordinate dall’Europa) a deviare dalle loro rotte per provare ad evitare il disastro che non è stato evitabile. “Gli Stati si sono opposti e si sono rifiutati di agire per salvare la vita di oltre 100 persone. Hanno supplicato e inviato richieste di soccorso per due giorni prima di annegare nel cimitero del Mediterraneo. È questa l’eredità dell’Europa?”, dice la portavoce dell’iim, l’organizzazione dell’Onu per i migranti, Safa Mshli ma anche le parole dell’Onu ormai pesano niente, sono una litania che si ripete regolarmente e che non scalfisce quest’Europa che riesce a passarla sempre liscia. Anche dal punto di vista giudiziario sorge qualche dubbio, pensateci bene: le Procure che rinviano a giudizio Salvini non si accorgono (o non si vogliono accorgere?) Delle responsabilità dell’Europa?

Perché questi non rimangono nemmeno sequestrati, questi muoiono, annegano, galleggiano sul mare e vengono recuperati senza nemmeno uno straccio di qualche fotografia di cronaca. Sopra a quei tre gommoni di gente viva che poi è morta sono perfino transitati perfino velivoli di Frontex eppure non è scappato nemmeno un messaggio di allerta alla cosiddetta Guardia costiera libica che ha pensato bene di non inviare nemmeno una delle motovedette (che le abbiamo regalato noi). Troppa fatica. Quando i morti cominciano a non valere più niente allora ci si può permettere di lasciare morire e forse un giorno ci interrogheremo sulla differenza tra lasciare morire e uccidere, forse un giorno decideremo, avremo il coraggio di riconoscere, che questa strage ha dei precisi mandanti e dei precisi esecutori.

“Quando sarà abbastanza? Povere persone. Quante speranze, quante paure. Destinate a schiantarsi contro tanta indifferenza”, dice Carlotta Sami, portavoce dell’alto commissariato per i rifugiati e il dubbio è che ormai non sarà più abbastanza perché quando si diventa impermeabili ai morti allora quelli aumenteranno, continueranno a morire ancora di più, continueranno a cadere e intorno non se ne accorgerà nessuno. Centotrenta persone annegate. Le autorità dell’Ue e Frontex sapevano della situazione di emergenza, ma hanno negato il soccorso. La Ocean Viking è arrivata sul posto solo per trovare dieci cadaveri: è un’epigrafe che fa spavento ma che non smuove niente.

Sono passate due settimane da quando il presidente del Consiglio Mario Draghi ha ringraziato la guardia costiera per i “salvataggi” e quando qualcuno si è permesso di ricordare che in Libia e in quel tratto di mare mancano completamente tutti i diritti fondamentali i sostenitori del governo si sono perfino risentiti. E la storia di questo annegamento, badate bene, non è nemmeno un incidente: comincia mercoledì alle ore 14.11 con il primo allarme e si è conclusa il giorno successivo alle 17.08 con una mail di Ocean Viking che comunicava di avere trovato “i resti di un naufragio e diversi corsi, senza alcun segno di sopravvissuti”. Nessuna motovedetta libica all’orizzonte. Lì sono annegati loro ma in fondo continuiamo ad annegare anche noi e la cosa mostruosa è che ci siamo abituati.

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Fallisce la crociata di Zuccaro contro le Ong (appoggiata da Travaglio e Di Maio): ora il PM andrà a processo?

“Non lasciamo solo Zuccaro” intitolava il Blog Delle Stelle, sì, proprio lui, il magazine politico del Movimento 5 Stelle che si era schierato a testa bassa al fianco del procuratore di Catania Carmelo Zuccaro nella sua ennesima battaglia contro le Ong. Furono i grillini e furono i salviniani a cadere nel solito giochetto infimo della politica quando si appoggia alla magistratura per annaspare e trovare conferma delle proprie tesi. Il pensiero politico breve e debole ha sempre bisogno di un’indagine, di un rinvio a giudizio, di qualche carta processuale per certificare la propria visione del mondo.

Nel 2017 fu Zuccaro a denunciare il tentativo delle Ong di «destabilizzare l’economia italiana» attraverso il massiccio sbarco di migranti sulle nostre coste al fine di «trarne vantaggi». Zuccaro aveva anche aggiunto che, a suo avviso, «alcune Ong potrebbero essere finanziate dai trafficanti» perché, disse, «so di contatti» e inoltre si tratta di un «traffico che oggi sta fruttando quanto quello della droga». Si alzò un gran polverone e le parole del procuratore vennero agitate come una sciabola per affettare la discussione su diritti e immigrazione, le parole di Zuccaro vennero sventolate ai quattro venti, lui ebbe anche l’onore di essere audito dal Parlamento, i Zuccaro boys infestavano i social tutti fieri di avere scoperto che i “buoni erano cattivi” e quindi, per la proprietà inversa, i presunti “razzisti” sarebbero stati quelli che ci avrebbero salvato. Peccato che di quelle pesantissime affermazioni non rimase niente, non ci fu una controprova, non ci fu niente e tutto finì nel dimenticatoio per un anno, anche se ormai il rumore di fondo era stato generosamente sparpagliato e il governo Conte (il primo Conte, quello che non si era ancora travestito da “buono”) quando salì in carica nel 2018 con la sua formazione gialloverde poté ripetere le tesi di Zuccaro come condimento delle proprie decisioni politiche.

Arriviamo quindi al 2018, marzo, quando Carmelo Zuccaro torna a occuparsi dell’emergenza migranti nel Mediterraneo e lo fa a modo suo: mette sotto indagine il comandante della nave Open Arms, Marc Reig Creus, il capo della missione della Ong, Ana Isabel Montes Mier, e il coordinatore Oscar Camps. L’accusa ovviamente è di associazione a delinquere finalizzata all’immigrazione clandestina. La Ong Proactiva Open Arms, secondo il teorema Zuccaro, opera nel disprezzo più totale degli accordi internazionali e del codice di comportamento firmato con il governo italiano, cercando in tutti i modi di far sbarcare migranti sulle nostre coste. Open Arms aveva soccorso 218 migranti al largo delle coste della Libia rifiutandosi di consegnarli alla cosiddetta “Guardia costiera libica” per via delle violenze e dei maltrattamenti che avrebbero potuto subire in quello che tutta la comunità internazionale ritiene un porto “non sicuro”. I migranti vennero poi fatti sbarcare nel porto di Pozzallo, in provincia di Ragusa, dopo l’autorizzazione da parte del governo italiano.

Cosa accadde poi? Il teorema di Zuccaro venne smontato dal Gip di Catania che nel confermare il sequestro aveva fatto cadere l’accusa di associazione a delinquere tenendo in piedi l’accusa di immigrazione clandestina e di violenza privata. Il fascicolo passa al Gip di Ragusa per competenza territoriale e viene disposto il dissequestro immediato della nave perché, scrive il Gip, l’Ong aveva agito «in uno stato di necessità» regolato dall’articolo 54 del codice penale (in cui si scrive di chi è «costretto dalla necessità di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave»).

Ben due anni dopo quei fatti ora arriva la decisione del Tribunale di Ragusa che ha deciso il non luogo a procedere perché il fatto non sussiste per il reato di violenza privata e perché non punibile per stato di necessità per il reato di favoreggiamento. L’ha deciso il Gup al termine dell’udienza preliminare. Open Arms, in una sua nota, scrive che «ancora una volta è stato dimostrato che il nostro agire è sempre stato dettato dal rispetto delle Convenzioni internazionali e dal Diritto del Mare, quello che ci muove è la difesa dei diritti umani e della vita, principi fondativi delle nostre Costituzioni democratiche».

E quindi? Quindi per l’ennesima volta molto rumore per nulla. Per l’ennesima volta sulla pelle dei migranti (e degli elettori e della dignità della politica) si è consumata una battaglia che non aveva basi giuridiche eppure ha dato l’occasione di sentenziare giudizi che si sono rivelati infondati. Ancora una volta è andata male a chi cercava un appiglio per poter essere feroce con il supporto della legge fingendo di non sapere che il gancio non c’è, fingendo di non sapere (come accade tutt’ora) che la “Guardia costiera libica” è il viatico di sofferenze che non hanno nulla a che vedere con i diritti e fingendo di non sapere di avere appaltato proprio a loro quel pezzo di Mediterraneo. La polvere si è posata e non è rimasto niente, niente di più del vociare sconsiderato di cui nessuno pagherà pegno.

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“A Beirut, come a Damasco, è morta la speranza”: parla lo scrittore siriano Shady Hamadi

Shady Hamadi è uno scrittore di origine siriana e da sempre è un attento osservatore del Medio Oriente. Esilio dalla Siria. Una lotta contro lindifferenza”, edito da Add Editore è il suo ultimo libro.

Lesplosione a Beirut ha acceso le voci di solidarietà falsi cortesi degli esponenti politici con strafalcioni come quello di Manlio Di Stefano. Che sensazione ti provoca la superficialità della politica italiana sul Medio Oriente?
Mi provoca delusione perché l’Italia ha, geograficamente e storicamente, un ruolo di primo piano nei rapporti con il Medio Oriente. Geograficamente perché siamo la porta verso l’Europa; storicamente a causa della presenza araba, durata secoli, nel sud Italia. Gli sbagli eclatanti, come quello di Di Stefano, stanno diventando una prassi (a destra e a sinistra) che non solleva neanche più l’indignazione. Ricordo gli elogi di Renzi al suo “amico”Al Sisi, poco prima della morte di Regeni. O, ancora prima, nel 2011 Franco Frattini che elogiava la Siria per la sua stabilità durante l’ondata delle primavere arabe. Il risultato è davanti a tutti noi.

Come valuti la politica estera del governo italiano?
Sclerotica perché c’è incoerenza nelle azioni della Farnesina a causa della nostra instabilità politica. Prendiamo l’Egitto. Con Renzi, prima dell’uccisione di Regeni, i rapporti erano idilliaci. Ucciso il ricercatore, abbiamo virato completamente. Salvo poi rimandare l’ambasciatore al Cairo. Oggi che cosa rimane del nostro approccio verso l’Egitto, la questione della tutela dei diritti umani? Nulla, a parte la vicenda di Patrick Zaki che non cade nel dimenticatoio grazie all’attenzione di alcuni movimenti di sinistra e Amnesty.

Come valuti lattenzione della politica occidentale sul Medio Oriente?
Dovevamo accompagnare i paesi arabi verso una transizione, sostenendo quel corpo sociale che si chiama società civile ma non lo abbiamo fatto. Preferiamo ancora oggi sostenere militari che con la forza riportano lo status quo antecedente. Guardiamo alla Libia. Parte della comunità internazionale sostiene Haftar; altri Sarraj. All’interno dell’Unione Europea ci sono Stati che, seguendo il proprio interesse nazionale, sostengono gruppi differenti.

Cosa bisognerebbe avere il coraggio di dire/fare?
Abbiamo sbagliato. L’ammissione di colpa dovrebbe arrivare da chi si è seduto in parlamento in Italia come nella Ue. Hanno sbagliato nel guardare al Medio Oriente con i soliti preconcetti: se non c’è un dittatore c’è il fondamentalismo. Come se questi arabi non fossero capaci di emanciparsi da questi due mali, creando una terza via che li conduca verso la democrazia. Il male assoluto, secondo questa vulgata alla Magdi Allam, sarebbe l’Islam. Semplicisticamente sarebbe la religione a bloccare ogni trasformazione.

Da scrittore, con la tua storia, come valuti questo momento internazionale?
É una restaurazione. A Beirut come a Damasco manca la speranza. Sto parlando proprio del sentimento. Sperare di cambiare, di migliorare vita… la gioventù vive nel pessimismo. Questo stato di cose ha prodotto un aumento vertiginoso dei suicidi. Decine di giovani si tolgono la vita esausti non solo di vivere nella miseria ma di non vedere mai un cambiamento. Di chi è la responsabilità di queste morti?

Che ne pensi del rifinanziamento italiano alla Libia?
Abbiamo Salvini che grida contro gli sbarchi. Vuole che si fermino ma lui ed altri hanno firmato per il rifinanziamento della guardia costiera libica da più parti accusata di gestire il traffico di migranti con le mafie locali. Diamo soldi ai trafficanti. Ho idea che chi grida alla chiusura dei porti voglia il contrario. I migranti servono come merce di scambio elettorale, in barba alla sofferenza di quei nei lager.

In Italia haisentito” razzismo?
Personalmente no. Mi definisco da sempre sirio-brianzolo anche se ultimamente mi sento solo brianzolo. Penso che gli italiani non siano razzisti. Credo esista molta ignoranza. Molti politici la sfruttano perché viviamo in una epoca di slogan e non di discorsi culturali. Vede, oggi non vogliamo prenderci la briga di capire perché un nigeriano scappa da Lagos o un siriano da Aleppo. Vogliamo tutto subito, anche le spiegazioni. Il politico improvvisato che ormai dilaga nei talk show e nelle aule un tempo frequentate da Berlinguer, regala slogan. È un ignorante, che non sa che i libici abitano in Libia e che Pinochet non era il dittatore del Venezuela. Non è umile. Infatti non chiede scusa. Dobbiamo ripartire dalla cultura.

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