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trasporti pubblici

Fermate Fontana che vuole revocare la zona rossa alla Lombardia

Niente, non ce la fa il presidente della Lombardia Attilio Fontana a occuparsi dell’amministrazione della sua regione e alla risoluzione dei moltissimi problemi che affliggono la Lombardia. Non riesce ad occuparsi dei tamponi che continuano a essere pochi, non riesce a garantire sicurezza alla popolazione degli ospedali e delle RSA, non riesce a snellire i trasporti pubblici ma continua imperterrito nella sua personale guerra contro il governo in nome della propaganda per fare felice il suo padrone Salvini.

Così ora Fontana preme sull’uscita dalla zona rossa, come primo atto politico, lì dove ieri sono stati accertati 8.448 casi con solo 38.283 tamponi, con i decessi arrivati a 202 in un solo giorno. Con dei numeri così, la preoccupazione di Fontana è solo quella di fare sapere ai suoi cittadini che se fosse per lui aprirebbe un po’, diventerebbe almeno arancione, tanto per potere dare contro al governo nazionale.

“Diciamo che siamo arrivati in cima al plateau, a questa sorta di montagna, adesso siamo in una fase in cui camminiamo in pianura e presto inizierà la discesa”, ha dichiarato Fontana ospite di Mattino 5, ostentando un felicità un po’ fuori luogo di fronte ai numeri che continuano a salire. Ma lui ha insistito: “Il nostro Rt è sceso in maniera sostanziale, tanto che in base ai numeri noi rientreremmo oggi in una zona arancione”, ha detto con la sua faccia da sorniona.

Fa niente che da molte provincie lombarde continuino ad arrivare numeri spaventosi e che il tracciamento ormai sia completamente saltato. No, per Fontana, che sa bene che proprio anche a causa del tracciamento la sua regione si ritrova in zona rossa, “nel momento in cui si superano certi numeri è praticamente impossibile”. Capito? Se qualcosa è impossibile perché non sono stati assunti i tracciatori e perché i numeri ormai sono esplosi secondo il presidente di Regione Lombardia allora di quel dato non bisogna tenere conto.

Sembra di riascoltare le parole di Salvini quando urlava in diretta Facebook “aprite, riaprite tutto!”, solo che questa volta Attilio Fontana ha sulle spalle (e politicamente ha tutta la responsabilità) delle migliaia di contagiati e di morti. Ma la chicca è un’altra: “l’altro aspetto che noi riteniamo fondamentale – ha aggiunto Fontana – è che non si debba guardare ai dati di 15 giorni fa ma si deve fare una previsione di quelli che verranno in futuro”. In sostanza il presidente di Regione Lombardia ci dice che tutto in futuro potrebbe migliorare e quindi sarebbe il caso, ovviamente adesso subito, di aprire. Sbagliare è umano, perseverare è diabolico.

Leggi anche: 1. Nonostante le figuracce, Zangrillo dà voti agli altri medici. Ma è lui che andrebbe giudicato (di G. Cavalli) /2. La vergogna del San Raffaele di Milano: con centinaia di morti al giorno sminuisce la pandemia /3. Sanità in Lombardia, minacce di morte all’ex dg Luigi Cajazzo. Pizzul (Pd) esprime solidarietà

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È che noi non siamo più gli stessi

Arriva il nuovo Dpcm. E arriva la nuova conferenza stampa del presidente Conte. E arrivano le nuove misure. Torna tutto, come uno schiaffo. E, sia chiaro, è uno schiaffo evidentemente necessario perché i numeri ci dicono che la crescita è ormai fuori controllo, perché le testimonianze dei medici e degli infermieri raccontano di ospedali che stanno tornando a straripare e perché no, non funziona che negare un problema lo elimini dal tavolo. Non funziona.

Però c’è un dato su tutto, che è un dato politico ma anche affettivo, economico, professionale e inevitabilmente politico che va registrato: noi non siamo più gli stessi di inizio pandemia. E di questo si deve tenere conto se si vuole provare a analizzare le difficoltà del momento e le inevitabili difficoltà di questa nuova decisione.

Non siamo più gli stessi perché nel Paese c’è gente, tantissima gente, che ha seguito le regole e che si è comportata responsabilmente in tutti questi mesi. C’è gente che, anche tra i professionisti e i piccoli imprenditori, che hanno adattato la propria quotidianità ai nuovi protocolli e sono stati molto attenti a tutti i gesti e a tutti i loro clienti. Il governo ha dato delle disposizioni, le regioni hanno dato le loro disposizioni e quelle regole sono state applicate per filo e per segno. E se all’inizio della pandemia tutti erano più disposti a sacrificare e a sacrificarsi ora i cittadini sono inevitabilmente intrisi di un risentimento contro chi le regole le ha evase o le ha scritte male: i trasporti pubblici ogni mattina sono un esempio paradigmatico di come sia difficile accettare il lockdown del proprio tempo libero mentre si registra una mostruosa pericolosità negli spostamenti lavorativi.

Non siamo più gli stessi perché abbiamo registrato, e qui su Left ne abbiamo scritto più volte, tutte le irresponsabili voci di chi quest’estate in nome dello spirito ludico ci ha voluto ripetere di non preoccuparci, di stare tranquilli, che era tutto finito, che era tutto passato e che non sarebbe tornato.

Non siamo più gli stessi perché abbiamo visto con i nostri occhi cosa significhi un sistema sanitario senza controllo, quello che lascia morire la gente in casa e che ti lascia per giorni in attesa perfino di una diagnosi, figurarsi una cura. E se prima c’era la giustificazione della pandemia improvvisa ora ci viene naturale chiederci perché farsi trovare impreparati a qualcosa di prevedibile e previsto.

Non siamo più gli stessi perché abbiamo provato sulla nostra pelle le cicatrici di un’amputazione sociale e affettiva, sappiamo cosa significhi avere paura del futuro, sappiamo che il welfare è quella cosa che deve permetterci di rimanere in piedi, anche ciondolando, garantendo la sopravvivenza economica oltre che sanitaria.

No, non siamo più gli stessi perché probabilmente ci siamo anche incattiviti e non siamo più disposti a sopportare errori ripetuti come se non ci fosse già stata un’esplosione epidemica. Non siamo disposti a non sentirci protetti.

I sacrifici ora devono essere accompagnati dai fatti. Conte l’ha capito benissimo e infatti ieri ha parlato dei sussidi economici come punto centrale del proprio discorso. La retorica non funziona più e nemmeno il paternalismo: se salvarsi “costa” sacrifici ora serve un Governo (e le politiche regionali) che sia disposto a pagarli.

Ma c’è un punto sostanziale: noi non siamo più gli stessi e qualcuno sotto traccia, in modo subdolo, cercherà di usare questa stanchezza per trasformarla in rabbia. Ci sarà qualcuno che proverà a usare diritti che sono messi sotto stress per usarli come innesco di odio e di violenza. È sempre lo stesso copione, funziona sempre così. È un momento delicato e importante, al di là del virus: bisogna pretendere il rispetto delle difficoltà di tutti senza cadere nel ventre molle di chi usa la disperazione come arma. Non è un momento facile. Non sarà facile.

Buon lunedì.

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Rimozione collettiva fallita

In fondo è un atteggiamento psicologico che si conosce bene, in cui si cade spesso, convincersi che qualche pericolo sia passato senza che nessun fatto lo dimostri, solo per quella sensazione di passeggero benessere che incrociamo in un momento e che ci invita a deresponsabilizzarci per essere più leggeri. Così è accaduto quest’estate in cui il Covid era sparito mica solo nei numeri ma anche e soprattutto nei pensieri, negli affanni, negli interessi e, ancora peggio, nella programmazione di quello che sarebbe venuto.

La sensazione, a vederla oggi con i numeri che ricominciano a risalire, si direbbe che la rimozione collettiva della pandemia sia miseramente fallita e sia stata una vacanza che forse non ci si doveva concedere, soprattutto quelli che si ritrovano a essere classe dirigente e responsabile di un Paese che affronta la cosiddetta “seconda ondata” di cui tutti parlavano, già prima dell’estate, di cui molti scrivevano e che da alcune settimane era già negli accadimenti degli Stati vicini a noi.

Se davvero lo Stato decide di essere paternalista con i suoi cittadini, ancora una volta, allora risponda anche ai dubbi che sorgono di fronte alla situazione attuale, ci spieghi esattamente come può accadere che già ora sia rientrato in crisi il sistema dei tamponi, ci dica dov’è finito quel benedetto piano di Crisanti che è rimasto inascoltato (e che di tamponi ne prevedeva 300.000 al giorno), perché è accaduto (lo dice il consulente del ministro Speranza Walter Ricciardi) che molte regioni del sud si siano “addormentate” facendosi trovare impreparate di fronte al prevedibile, ci diano per favore i numeri esatti dell’aumento di terapie intensive che era stato promesso e che non si riesce a verificare, ci dicano come pensavano di risolvere il tema dei trasporti pubblici.

È vero che ci sono alcuni cittadini incauti ed è vero che ora da parte di tutti serve una maggiore attenzione ma questi mesi estivi dovevano essere il tempo utile per essere pronti a quello che accade in queste ore ed è troppo facile, troppo banale e perfino offensivo raccontarci che il problema siano gli alcolici dopo le 24. La rimozione collettiva (fallita) non è solo opera dei dubbiosi e dei negazionisti ma è stata anche una superficialità di pezzi di governo e di regioni e la sensazione di essere arrivati impreparati scotta terribilmente. Sentire il presidente della Lombardia Fontana che parla di “movida” mentre non è riuscito a procurarsi il vaccino antinfluenzale che serve per tutti i fragili della sua regione rilancia un vecchio adagio che sarebbe il caso di non ripetere: se ci ammaliamo è colpa nostra e se non ci ammaliamo è merito loro. Basta, dai, un po’ di serietà, su.

Buon giovedì.

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Scoppia il bubbone del trasporto pubblico. Ma potevamo pensarci prima

Eccolo finalmente il dibattito che si è aperto dopo mesi di muro contro muro. Dopo settimane passate a scorgere dappertutto le testimonianze fotografiche allarmate della situazione nelle fermate dei trasporti pubblici locali e all’interno dei convogli, quegli stessi che trasportano le persone che, sai com’è, devono spostarsi per vivere, lavorare, mangiare, studiare ora scoppia il bubbone del trasporto pubblico.

L’allarme, corroborato dai numeri, lo lancia l’Asstra, associazione delle società di trasporto pubblico, che mette nero su bianco il “rischio di fenomeni di assembramento alle fermate e alle stazioni”. Ma va? Eccoci, quindi: mentre il Comitato Tecnico Scientifico pensa di ridurre al 50% la capienza dei mezzi pubblici rispetto all’80% attualmente consentito (e quasi mai rispettato, perché poi ci sarebbe da discutere anche dei controlli che mancano) Asstra comunica che in quel caso “risulterebbe difficile per gli operatori del Tpl continuare a conciliare il rispetto dei protocolli anti Covid-19 e garantire allo stesso tempo il diritto alla mobilità per diverse centinaia di migliaia di utenti ogni giorno, con il conseguente rischio di fenomeni di assembramento alle fermate e alle stazioni”.

I numeri sono chiari: “si rischierebbe – scrive Asstra – di non poter soddisfare da oltre 91mila (ipotesi capienza massima consentita al 75%) a circa 550mila spostamenti ogni giorno (scenario al 50%), arrecando un notevole disservizio quotidiano all’utenza. Andando nello specifico, ipotizzando una riduzione al 50% della capienza massima, si impedirebbe a circa 275mila persone al giorno di beneficiare del servizio di trasporto sia per motivi di studio che di lavoro”.

275mila persone che resterebbero a piedi. L’opzione rimane sempre la stessa: togliere utenza come soluzione più semplice e economica piuttosto che investire in capienza. E a nessuno è venuto in mente che il rafforzamento del trasporto pubblico fosse una delle priorità da mettere in agenda il prima possibile, ben prima della pluriprevista seconda ondata che tutti sapevano che sarebbe arrivata.

Eppure in questi mesi sono state molte le proposte per ripensare in tempo la mobilità (quella di BikeItalia, solo per fare un esempio) e di tempo a disposizione per governare l’inizio delle attività produttive e scolastiche ce n’è stato abbastanza. Forse sarebbe stato meglio accanirsi un po’ meno contro la ministra Azzolina e chiedere più risposte alla ministra De Micheli, che ora ha convocato finalmente le Regioni per un confronto sul tema. Tardi.

Leggi anche: Scontro sui trasporti, le Regioni chiedono orari scaglionati per le scuole: oggi il tavolo con De Micheli

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10 cose da fare

Per essere chiari:

Vogliamo contrastare tutte le mafie, reprimendone sia l’azione criminale che l’immensa forza economica. La presenza dei capitali mafiosi, a maggior ragione in un momento di crisi, è un elemento devastante per ogni prospettiva di rilancio del paese. Vanno sostenute le attività delle procure e degli amministratori locali, ma va soprattutto reciso ogni legame o sospetto di complicità di alcuni rappresentanti politici. L’adozione di un codice etico e il contrasto delle attività criminali mafiose è un’urgenza inderogabile.

Vogliamo proporre una legislazione che contrasti lo strapotere della finanza speculativa a partire dalla tassa sulle transazioni finanziarie, rendendo permanente il divieto di vendita allo scoperto e attaccando vigorosamente i paradisi fiscali.

Vogliamo richiedere una rinegoziazione dei trattati che non stanno salvando né l’euro né il modello di vita dei cittadini europei. In questo contesto vanno date nuove funzioni alla Bce, a partire dalla possibilità di intervenire senza condizioni in caso di attacco alla nostra moneta. La lealtà istituzionale e la necessità di trovare un consenso oltre i nostri confini non può impedirci di indicare quale sia la nostra direzione di marcia. Dobbiamo essere noi i primi protagonisti del cambiamento.

La sinistra combatte senza esitazione gli sprechi e la spesa pubblica improduttiva. Ma è una manipolazione della verità storica considerare la spesa sociale come sinonimo di dissipazione e di spreco. Il Welfare non è stato un cedimento ad un non meglio precisato “buonismo sociale” ma la più rilevante conquista del Novecento. Sappiamo che molto va cambiato nel modo di allocare le risorse e nel peso che ha la politica fiscale. Nel ridefinire priorità e gli strumenti di riforma del welfare va riconosciuto il valore economico e sociale del lavoro di cura svolto dalle donne. Dobbiamo dire con chiarezza da dove si prendono le risorse e dove invece vanno restituite. La politica fiscale deve ritornare ad essere, in linea con la Costituzione, basata sulla “capacità contributiva”. Le tasse sono troppo onerose per chi le paga, sia che sia un lavoratore dipendente che autonomo, ma è incredibile non rilevare che più dell’80% del gettito venga da lavoratori dipendenti e pensionati.

Proponiamo una lotta prioritaria all’evasione fiscale per ridurre l’imposizione fiscale in primo luogo ai lavoratori a basso reddito e proponiamo una tassazione sui grandi patrimoni che sostituisca l’ingiusta tassa sulla prima casa per i cittadini meno abbienti.

La riduzione del debito pubblico deve avvenire senza dogmi rigoristi, poiché sappiamo che dalla crescita della ricchezza possono venire benefici assai più fruttuosi che dalla mera riduzione dello stock del debito. Se cresce la disoccupazione e diminuisce il tenore di vita e il potere d’acquisto dei salari e degli stipendi, l’aumento delle tasse e taglio dei servizi produrrà soltanto effetti recessivi.

Vogliamo investire le risorse recuperate dalla lotta all’evasione fiscale, dal contrasto alla corruzione e dal taglio alle spese militari, in un piano per il lavoro, pubblico e privato, basato sugli investimenti per la messa in sicurezza del nostro territorio e delle città, nella erogazione di un reddito minimo garantito come c’è nel resto d’Europa e il recupero del potere d’acquisto perso dai salari negli ultimi vent’anni.

Ci sono alcuni punti che, simbolicamente e concretamente, possono segnare una svolta rispetto al passato: ridurre da 45 a 4 le tipologie contrattuali oggi previste, che hanno alimentato la spirale della precarietà; restituire ai lavoratori, anche quelli di aziende sotto i 15 dipendenti, la tutela del reintegro sul posto di lavoro a seguito di un licenziamento ingiustificato; differenziare, a seconda dell’effettiva vita lavorativa e dal diverso carico lavorativo che pesa sulle donne per le attività di cura, l’età pensionabile, poiché non possono essere trattati nello stesso modo una infermiera o una puericultrice o un operaio alla catena di montaggio e un professore universitario o un alto funzionario pubblico; introdurre dell’equo compenso per le lavoratrici e i lavoratori autonomi; estendere gli ammortizzatori sociali e i diritti per tutte le forme contrattuali, per un welfare universale, come per esempio nel caso del diritto alla maternità/paternità universale.

Abbiamo bisogno di rafforzare il welfare e la spesa pubblica in settori strategici. La salute, le pensioni, l’assistenza per i non autosufficienti, l’istruzione pubblica, i trasporti pubblici, il diritto ad una giustizia certa e celere, sono diritti inalienabili ma anche fattori di sviluppo essenziali per la tenuta della coesione economica e sociale del paese. La spesa per la formazione e la ricerca va aumentata e riqualificata. Oggi assistiamo ad una ingiusta penalizzazione, in particolare per i giovani che vogliono insegnare o fare ricerca e che spesso sono costretti ad emigrare, che sta impoverendo brutalmente il nostro paese. Non si tratta di “costi” ma di “risorse”.

È necessario ripensare all’intervento pubblico in economia, a partire dal valore strategico delle aziende partecipate come Eni, Enel, Rai, Finmeccanica e quelle relative al trasporto pubblico per affrontare le sfide che la crisi ci propone. Va fatta un’azione che agisca tanto sul versante dell’offerta di nuovi investimenti pubblici, tanto sullo stimolo alla domanda, per esempio nei settori della produzione di energia rinnovabile o nella infrastrutturazione digitale del paese.

Vogliamo la riconversione ecologica dell’economia e della società, che abbia al centro la sostenibilità ambientale, la piena valorizzazione dei beni comuni, la qualità e l’innovazione. Per noi sono beni comuni, sottratti al dominio del mercato, tanto i beni materiali come l’acqua e la terra, quanto quelli immateriali come la conoscenza e la cultura. Siamo consapevoli di quanto le grandi questioni globali, come i cambiamenti climatici, siano connessi con le scelte quotidiane, a partire da una nuova politica energetica basata sul risparmio energetico e le fonti rinnovabili, riducendo le emissioni e penalizzando chi inquina.

C’è urgente necessità di una nuova politica industriale basata sull’innovazione tecnologica ed ecologica, che possa mettere a valore non solo prodotti da vendere, ma vere e proprie produzioni complesse: dal “prodotto” mobilità sostenibile alla riconversione delle manifatture inquinanti o belliche, si può costruire un rilancio della produzione industriale in un paese che conserva grandi risorse sul versante manifatturiero.

È necessario dare centralità ad una politica agricola basata su qualità, istintività territoriale e sostenibilità ambientale e sociale. La buona politica si deve occupare di fare scelte che sappiano immaginare il mondo che dovremo lasciare alle future generazioni.

Per noi i diritti non sono un terreno di formule astruse ma un campo in cui far vivere il principio della laicità. Sappiamo che la società è più avanti nella richiesta di nuovi diritti di quanto lo sia spesso la politica.

Siamo sempre per il rispetto della libertà di scelta per il fine vita, per la regolamentazione della fecondazione assistita, per la rigorosa applicazione della legge 194. Siamo per i matrimoni omosessuali e per la piena cittadinanza delle unioni civili. Siamo per il diritto di cittadinanza ai migranti nati in Italia, per il riconoscimento del diritto di voto alle amministrative, per l’abolizione della legge Bossi-Fini a partire dal superamento dei CIE. Siamo per il recepimento delle convenzioni internazionali sull’introduzione del reato di tortura e per una legge che regoli il diritto d’asilo. Siamo per il rispetto della vita umana e quindi vogliamo che la condizione dei detenuti sia rispettosa della Costituzione. Siamo per una politica antiproibizionista a cominciare dalla abrogazione della legge Fini-Giovanardi per un nuovo approccio responsabile e socialmente inclusivo.

Il populismo non si sconfigge per decreto, né tentando di esorcizzarne la forza devastante. Il populismo si contrasta lì dove esso attecchisce, tra il popolo che ha perso fiducia nella politica e nella democrazia. Abbiamo ancora importanti risorse, di idee e di uomini e di donne, ma abbiamo poco tempo. Chiediamo a tutti un contributo e dobbiamo saper trovare le strade affinché ciascuno sia messo nelle condizioni di poterlo dare. È in gioco la sopravvivenza a lungo termine dell’integrazione europea.

Solamente la solidarietà, la riconversione ecologica e sociale della società e la vitalità della democrazia ci faranno uscire dalla crisi’.

Il documento è qui.

Ingresso degli animali nei luoghi pubblici: un nostro progetto di legge

Una sera avevamo una riunione come tante. Un’amica mi chiama e mi dice che è in ritardo, che è rimasta “a terra” con il suo cane e deve trovare una soluzione per arrivare. Una vergogna, mi dice, non ci pensi? Non ci avevo mai pensato. Per quanto riguarda cani o gatti nei parchi, nei mezzi pubblici, negli ospedali, nei luoghi pubblici, una legge regionale che stabilisca diritti e doveri non esiste. E ci siamo messi a scriverla:

PROGETTO DI LEGGE

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“Modifiche alla legge regionale 30 dicembre 2009 n. 33

“Testo unico delle leggi regionali in materia di sanità””.

______

RELAZIONE

La legge regionale n. 16/2006 confluita nel 2009 nel Testo Unico delle leggi regionali in materia di sanità, ha costituito un ottimo punto di partenza per favorire una corretta convivenza tra l’uomo e gli animali, in particolare quelli d’affezione ma anche una validissima risposta normativa all’emanazione della legge nazionale n. 281/1991 “Legge quadro in materia di animali di affezione e prevenzione del randagismo”.

E’ tuttavia inevitabile che lodevoli intenzioni, atte a regolamentare a livello normativo seppur lungimirantemente settori che disciplinano ambiti più o meno importanti della vita quotidiana di ciascun essere vivente (vuoi per la complessità e per l’eccessiva ampiezza degli stessi, vuoi per la mutevolezza dei cambiamenti cui la realtà o il contesto sociale in cui si vive siano sottoposti, vuoi per una percezione dei comportamenti, degli atteggiamenti, delle abitudini che con l’andare del tempo, in un clima di continuo divenire evolvono, cambiano, si trasformano), non riescano di fatto a comprendere, ad integrare, a contemplare le numerose sfaccettature che il comune sentire sociale ha nel frattempo recepito e fatto proprie.

Un esempio può essere costituito dal settore della tutela degli animali e dei loro diritti.

In Italia, infatti, quasi una famiglia su due vive con un animale domestico. È quindi chiaro quanto alta sia la sensibilità che la popolazione del nostro Paese, ma anche lombarda, riversi nei confronti di tale categoria.

Tra gli aspetti non presi in considerazione dal suddetto Testo Unico v’e ne uno riguardante l’accessibilità degli animali d’affezione: in quali luoghi questa sia o meno consentita e con quali modalità.

Di regola disposizioni relative alla possibilità di accesso per gli animali da compagnia nei luoghi pubblici si trovano molto spesso in numerosi regolamenti comunali per la tutela degli animali, anche perché la materia salvo in qualche caso (Regione Lazio e Regione Toscana) non è ancora stata normata in maniera specifica a livello regionale.

La finalità di tale PDL, composto da   articoli da inserirsi nell’attuale titolo VIII, capo II, del Testo Unico, è quella di disciplinare l’accessibilità da parte degli animali d’affezione in:

  • esercizi pubblici e commerciali e in locali e uffici aperti al pubblico (art. 120 bis);
  • tutti i luoghi pubblici compresi parchi, giardini, aree pubbliche, cimiteri, aree naturali protette (art. 120 ter);
  • ospedali, case-famiglia case di cura e di riposo per anziani (art. 120 quater);
  • accesso degli animali sui servizi di trasporto pubblico (art. 120 quinquies)

Tra questi particolare importanza è rivestita dall’ art. 120 quater. Infatti, previa decisione del direttore sanitario in merito alle modalità di accesso, la menzione nella legge serve a legittimare questa importante opportunità nei confronti di persone che, sofferenti e lontane dal proprio ambiente familiare, grazie alla presenza di quegli animali con cui dividono la vita, vedrebbero alleviata  e migliorata una situazione affettiva ed emotiva, altrimenti assai pesante da sopportare.

Da ultimo di pari passo con l’introduzione dei suddetti articoli si ritiene inoltre altresì necessario introdurre la previsione una apposita norma sanzionatoria nel caso di una violazione delle disposizioni negli stessi contenute.

Le modifiche proposte non richiedono l’impiego né lo stanziamento di apposite risorse finanziarie.

PROGETTO DI LEGGE

“Modifiche alla legge regionale 30 dicembre 2009 n. 33

“Testo unico delle leggi regionali in materia di sanità””.

Articolo 1

Alla legge regionale n. 33/2009, sono aggiunte le seguenti modifiche:

 

  1. dopo l’art. 120 sono aggiunti i seguenti articoli:

 

Art. 120 bis

Accessibilità degli animali da compagnia in esercizi

pubblici e commerciali e in locali e uffici aperti al pubblico

 

  1. I cani, accompagnati dal proprietario o dal detentore hanno libero accesso a tutti gli esercizi pubblici e commerciali e nei locali e uffici aperti al pubblico.
  2. I proprietari o i detentori che conducono gli animali nei suddetti esercizi, locali e uffici dovranno farlo usando il guinzaglio e, in caso di necessità, anche la museruola e avendo cura che non creino disturbo o danno ad alcuno e che non sporchino, in tale caso la rimozione delle deiezioni e il ripristino della pulizia e dell’igiene del locale è a cura del proprietario o detentore dell’animale.
  3. Negli alberghi e nei complessi ricettivi in genere, gli animali domestici sono accolti nelle stanze o nei luoghi occupati dal proprietario o detentore; nei luoghi comuni di transito i cani devono essere muniti di guinzaglio o museruola.
  4. Può essere concessa la facoltà di non ammettere animali all’interno degli esercizi commerciali che, presentata idonea e motivata documentazione all’amministrazione comunale interessata, predispongano adeguati strumenti e spazi di accoglienza che assicurino la custodia degli animali nel rispetto delle proprie esigenze etologiche e ne impediscano la fuga, durante la permanenza dei proprietari all’interno dell’esercizio stesso.
  5. I titolari degli esercizi commerciali di cui al comma 4 divengono detentori degli animali ospitati presso la loro struttura durante la permanenza dei proprietari all’interno dell’esercizio stesso, e sono quindi responsabili della corretta gestione degli animali.

 

Art. 120 ter

Accessibilità degli animali d’affezione in tutti i luoghi pubblici compresi

i parchi, i giardini, le aree pubbliche, i cimiteri, le aree naturali protette

  1. E’ consentito l’accesso agli animali d’affezione in tutti i luoghi pubblici compresi i giardini, i parchi, le aree pubbliche, i cimiteri utilizzando il guinzaglio e, in caso di necessità, anche la museruola.
  1. Nelle aree naturali protette, qualora sia espressamente vietato dall’ente gestore l’accesso agli animali d’affezione, devono essere predisposti adeguati strumenti e spazi di accoglienza che assicurino la custodia degli animali nel rispetto delle proprie esigenze etologiche e ne impediscano la fuga, durante la permanenza dei proprietari all’interno dell’area naturale protetta.
  2. Il titolare dell’ente gestore delle aree di cui al comma 2 diviene detentore degli animali ospitati presso la struttura durante la permanenza dei proprietari all’interno dell’area stessa, ed è quindi responsabile della corretta gestione degli animali.
  3. I proprietari e detentori debbono sempre essere muniti di guinzaglio e, in caso di necessità, di museruola da utilizzare contemporaneamente o su richiesta delle autorità competenti. Gli animali iscritti nel registro dei cani pericolosi, devono sempre essere condotti con guinzaglio e museruola. Sono esonerati da tali obblighi i cani appartenenti alle Forze dell’Ordine, alle Forze Armate o utilizzati per il salvataggio in acqua, per calamità naturali e per programmi di zooantropologia assistenziale ed i cani di persone non vedenti e di particolari categorie di handicap. Esoneri possono essere concessi all’obbligo della museruola, sotto la responsabilità del detentore, per i cani con particolari condizioni anatomiche, fisiologiche o patologiche, su certificazione veterinaria, da esibire a richiesta degli organi di controllo.
  4. Nell’ambito di giardini, parchi e altre aree a verde di uso pubblico sono individuati dal Comune, mediante appositi cartelli e delimitazioni, spazi destinati ai cani dotati di opportune attrezzature.
  5. Nelle aree appositamente attrezzate o nelle aree di proprietà privata, i cani possono essere condotti senza guinzaglio e senza museruola sotto la responsabilità del detentore.
  6. Nei luoghi pubblici, i detentori devono raccogliere le deiezioni solide dei loro animali ed essere muniti di palette ecologiche o altra attrezzatura idonea all’asportazione delle deiezioni. Sono esentati i non vedenti accompagnati da cani guida e particolari categorie di portatori di handicap.
  7. E’ vietato far defecare i cani nel raggio di metri venti dalle aree attrezzate per il gioco dei bambini.

Art. 120 quater

Accessibilità degli animali in ospedali,

case-famiglia, case di cura e di riposo per anziani

  1. È consentito l’accesso di animali al seguito del proprietario o detentore in ospedali, e case-famiglia secondo le modalità stabilite dalla Direzione Sanitaria.
  2. Nelle case di cura e di riposo per anziani, in caso di ricovero del proprietario o detentore, è sempre permesso l’accesso dei propri cani e, in accordo con la Direzione Sanitaria, la detenzione di cani, gatti, piccoli roditori o volatili qualora il paziente sia in grado di assicurarne la corretta gestione.

Art. 120 quinques

Accesso degli animali sui servizi di trasporto pubblico

  1. E’ consentito l’accesso degli animali su tutti i mezzi di trasporto pubblico operanti nel territorio comunale.
  2. I gatti debbono viaggiare all’interno del trasportino, i cani devono avere il guinzaglio e la museruola ad eccezione di quelli destinati all’assistenza delle persone disabili e per i cani con particolari condizioni anatomiche, fisiologiche o patologiche, su certificazione veterinaria, da esibire a richiesta degli organi di controllo.
  3. Il proprietario, o detentore a qualsiasi titolo, che conduce animali sui mezzi di trasporto pubblico dovrà aver cura che gli stessi non sporchino o creino disturbo o danno alcuno agli altri passeggeri o alla vettura.
  1. all’art. 122 dopo la lettera j) sono aggiunte i seguenti lettere:

k) da € 25 a € 150 per chi viola le disposizioni di cui all’art. 120 bis, commi 2, 3, 4, 5,  all’art. 120 ter commi 2, 3, 4, 7, 8 e all’art. 120 quinquies;

l)  da € 50 a € 300 per chi viola le disposizioni di cui all’articolo 120 quater comma 2.