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E ancora sparisce la politica

Il governo che tenta di arginare il Covid con l’occhio fisso sul consenso. L’opposizione che si dice contro le chiusure e poi chiede “severità contro il virus”. Così la politica si sottrae alle proprie responsabilità

Torna il virus e sparisce la politica. I dati continuano a non essere buoni e il dibattito rimane sempre bassissimo come si conviene a un Paese che ha scambiato la propaganda come unico lievito della discussione pubblica. Fateci caso.

Da una parte c’è un governo preoccupato dal consenso. Giuseppe Conte sa benissimo che gli italiani, dopo l’esperienza di mesi fa, non crederanno più di essere i colpevoli di un nuovo eventuale disastro. Ci sarebbe da discutere di modifiche strutturali del sistema sanitario, ci sarebbe da discutere di dove prendere i soldi che mancano per rimettere in piedi un Paese che deve convivere con il virus e ancora siamo alle prediche in cui si consigliano le buone maniere contro il Covid. L’abbiamo capito che indossare la mascherina è utile ma abbiamo anche capito che non basta. Abbiamo capito che il distanziamento è utile ma abbiamo anche capito che non basta. Abbiamo capito che lavarsi le mani è utile ma non basta. E onestamente abbiamo anche capito che il Covid non lo spargevano i runners e i passeggiatori con cani prima e non sta solo nei bicchieri dell’aperitivo di oggi. Inseguire il virus e i sondaggi con l’occhio sempre fisso sul consenso non funziona, lo dimostrano gli indici di gradimento a picco dei governatori sceriffi che ora brancolano nel buio.

Dall’opposizione poi arrivano segnali ancora più sconfortanti: sono contro le chiusure ma chiedono “severità contro il virus” e poiché l’unico modo per fermare la curva è ridurre le frequentazioni sociali sarebbe curioso sapere esattamente da Salvini, Meloni e compagnia cantante cosa farebbero loro. Essere contro a qualsiasi decisione è una posizione comoda e facile, non è politica. Salvini è talmente contro a tutto che ieri probabilmente si è incagliato ed è riuscito a sbraitare anche contro la Lombardia, poi qualcuno deve avergli dato un colpo di gomito e l’ha fatto rinsavire. Parlare di “libertà” senza prendersi la responsabilità di spiegare anche come avere la libertà di non ammalarci è retorica, non è politica.

A febbraio giustamente ci dicevano di essere impreparati e tutti sono stati presi alla sprovvista. Oggi la politica (tutta) dovrebbe dirci: ecco come abbiamo intenzione di abbassare la curva dei contagi, ecco quanti sono i posti letto disponibili e quanti saranno disponibili a breve, ecco in che tempi agiremo per assumere anestesisti e infermieri, ecco come scaglioneremo per alleggerire i trasporti (visto che ormai il loro potenziamento è andato in fumo), ecco come proveremo a ripristinare un tracciamento decente, ecco dove troveremo i soldi per farlo. Il paternalismo non funziona più e non funziona più l’opposizione facile.

Programmi fattibili per tenere in piedi questo Paese in questo delicato momento: questa è politica. E sembra che la stiano facendo più i virologi dei politici.

Buon mercoledì.

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Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Rimozione collettiva fallita

In fondo è un atteggiamento psicologico che si conosce bene, in cui si cade spesso, convincersi che qualche pericolo sia passato senza che nessun fatto lo dimostri, solo per quella sensazione di passeggero benessere che incrociamo in un momento e che ci invita a deresponsabilizzarci per essere più leggeri. Così è accaduto quest’estate in cui il Covid era sparito mica solo nei numeri ma anche e soprattutto nei pensieri, negli affanni, negli interessi e, ancora peggio, nella programmazione di quello che sarebbe venuto.

La sensazione, a vederla oggi con i numeri che ricominciano a risalire, si direbbe che la rimozione collettiva della pandemia sia miseramente fallita e sia stata una vacanza che forse non ci si doveva concedere, soprattutto quelli che si ritrovano a essere classe dirigente e responsabile di un Paese che affronta la cosiddetta “seconda ondata” di cui tutti parlavano, già prima dell’estate, di cui molti scrivevano e che da alcune settimane era già negli accadimenti degli Stati vicini a noi.

Se davvero lo Stato decide di essere paternalista con i suoi cittadini, ancora una volta, allora risponda anche ai dubbi che sorgono di fronte alla situazione attuale, ci spieghi esattamente come può accadere che già ora sia rientrato in crisi il sistema dei tamponi, ci dica dov’è finito quel benedetto piano di Crisanti che è rimasto inascoltato (e che di tamponi ne prevedeva 300.000 al giorno), perché è accaduto (lo dice il consulente del ministro Speranza Walter Ricciardi) che molte regioni del sud si siano “addormentate” facendosi trovare impreparate di fronte al prevedibile, ci diano per favore i numeri esatti dell’aumento di terapie intensive che era stato promesso e che non si riesce a verificare, ci dicano come pensavano di risolvere il tema dei trasporti pubblici.

È vero che ci sono alcuni cittadini incauti ed è vero che ora da parte di tutti serve una maggiore attenzione ma questi mesi estivi dovevano essere il tempo utile per essere pronti a quello che accade in queste ore ed è troppo facile, troppo banale e perfino offensivo raccontarci che il problema siano gli alcolici dopo le 24. La rimozione collettiva (fallita) non è solo opera dei dubbiosi e dei negazionisti ma è stata anche una superficialità di pezzi di governo e di regioni e la sensazione di essere arrivati impreparati scotta terribilmente. Sentire il presidente della Lombardia Fontana che parla di “movida” mentre non è riuscito a procurarsi il vaccino antinfluenzale che serve per tutti i fragili della sua regione rilancia un vecchio adagio che sarebbe il caso di non ripetere: se ci ammaliamo è colpa nostra e se non ci ammaliamo è merito loro. Basta, dai, un po’ di serietà, su.

Buon giovedì.

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Scoppia il bubbone del trasporto pubblico. Ma potevamo pensarci prima

Eccolo finalmente il dibattito che si è aperto dopo mesi di muro contro muro. Dopo settimane passate a scorgere dappertutto le testimonianze fotografiche allarmate della situazione nelle fermate dei trasporti pubblici locali e all’interno dei convogli, quegli stessi che trasportano le persone che, sai com’è, devono spostarsi per vivere, lavorare, mangiare, studiare ora scoppia il bubbone del trasporto pubblico.

L’allarme, corroborato dai numeri, lo lancia l’Asstra, associazione delle società di trasporto pubblico, che mette nero su bianco il “rischio di fenomeni di assembramento alle fermate e alle stazioni”. Ma va? Eccoci, quindi: mentre il Comitato Tecnico Scientifico pensa di ridurre al 50% la capienza dei mezzi pubblici rispetto all’80% attualmente consentito (e quasi mai rispettato, perché poi ci sarebbe da discutere anche dei controlli che mancano) Asstra comunica che in quel caso “risulterebbe difficile per gli operatori del Tpl continuare a conciliare il rispetto dei protocolli anti Covid-19 e garantire allo stesso tempo il diritto alla mobilità per diverse centinaia di migliaia di utenti ogni giorno, con il conseguente rischio di fenomeni di assembramento alle fermate e alle stazioni”.

I numeri sono chiari: “si rischierebbe – scrive Asstra – di non poter soddisfare da oltre 91mila (ipotesi capienza massima consentita al 75%) a circa 550mila spostamenti ogni giorno (scenario al 50%), arrecando un notevole disservizio quotidiano all’utenza. Andando nello specifico, ipotizzando una riduzione al 50% della capienza massima, si impedirebbe a circa 275mila persone al giorno di beneficiare del servizio di trasporto sia per motivi di studio che di lavoro”.

275mila persone che resterebbero a piedi. L’opzione rimane sempre la stessa: togliere utenza come soluzione più semplice e economica piuttosto che investire in capienza. E a nessuno è venuto in mente che il rafforzamento del trasporto pubblico fosse una delle priorità da mettere in agenda il prima possibile, ben prima della pluriprevista seconda ondata che tutti sapevano che sarebbe arrivata.

Eppure in questi mesi sono state molte le proposte per ripensare in tempo la mobilità (quella di BikeItalia, solo per fare un esempio) e di tempo a disposizione per governare l’inizio delle attività produttive e scolastiche ce n’è stato abbastanza. Forse sarebbe stato meglio accanirsi un po’ meno contro la ministra Azzolina e chiedere più risposte alla ministra De Micheli, che ora ha convocato finalmente le Regioni per un confronto sul tema. Tardi.

Leggi anche: Scontro sui trasporti, le Regioni chiedono orari scaglionati per le scuole: oggi il tavolo con De Micheli

L’articolo proviene da TPI.it qui

Sicilia, Fava a TPI: “Musumeci fa lo scaricabarile. Ma sui migranti il governo ha paura di decidere”

Nello Musumeci insiste. Il governatore della Sicilia non ha intenzione di fermarsi sulla sua ordinanza che chiede lo sgombero degli hotspot dell’isola e risponde al no del governo parlando di responsabilità sanitarie. Si finirà probabilmente con un ricorso al tribunale amministrativo ma intanto la provocazione ha preso piede tra i sostenitori di destra e corre sul web. TPI ha intervistato Claudio Fava, deputato dell’Assemblea Regionale Siciliana.
Fava, il governatore Musumeci insiste. Come legge questa ultima uscita sullo svuotamento degli hotspot e la chiusura ai nuovi arrivi?
È già un pezzo di campagna elettorale, perché ha riannodato i fili di una coalizione piuttosto frammentata e lasca e naturalmente ha ottenuto le benedizioni della destra alla quale Musumeci continua a rivolgersi. Manifesta la sua indole, la sua cultura politica: è un autoritario, convinto che la migliore forma di governo sia quella di affidare al podestà le chiavi della vita dei cittadini. Anche se si affida ai poteri di tutela della salute lui sa perfettamente che intervenire sui porti, sulle prefetture, sugli hotspot è competenza esclusiva del governo nazionale, segnatamente del Ministero dell’Interno. Ma è un modo per rimettere al centro una parola che sia una calamita e che ha bisogno di nemici facili, l’immigrato portatore di contagi.

Quindi è tutta campagna elettorale…
L’altra ragione è che c’è un fallimento complessivo su tutta la politica di investimento del post-Covid, le risorse promesse per il settore del turismo non sono mai arrivate, nemmeno un centesimo, le condizioni dell’isola sono abbastanza allo sfascio quindi un giorno ci si inventa il ponte, un giorno il tunnel, un giorno chiudiamo gli hotspot. Tutto pur di non parlare di quello che accade a casa nostra: c’è un’ordinanza di controlli per chi arriva dai Paesi considerati focolai poi però in aeroporto, nei porti e nelle stazioni i controlli sono minimi e anche in questo Musumeci dice che la responsabilità non è sua ma del Ministero dei Trasporti.
Una responsabilità che palleggia…
Su alcune cose dice “la responsabilità non è nostra”, su altre dice “la responsabilità non è nostra ma me ne occupo direttamente io”. In questo un po’ ci è un po’ ci fa.

Sembra seguire un po’ il copione di certe Regioni di centrodestra che giocano sul Covid per scontrarsi con il governo e fare parlare di sé. Non è simile all’atteggiamento della Lombardia con Fontana?
Sì. In più nel suo caso c’è una sfumatura di carattere politico, di identità politica. Gli piace fare il podestà. Dopo il Covid ha preteso e ottenuto dalla sua maggioranza il voto su un emendamento infilato in una legge che gli dà, in caso di emergenza sanitaria, pieni poteri e la possibilità di emanare delibere di giunta anche in contrasto con la legislazione vigente. Ed è una cosa abbastanza bizzarra, decidono loro a quale normativa possano derogare senza passare dal Parlamento regionale. È la sua idea di ventennio e ha utilizzato il Covid per ritrovare quei toni, quel cipiglio. Un tempo era un atteggiamento inoffensivo e invece oggi interviene su un tema vero, reale.

Esiste comunque un problema immigrazione in Sicilia?
Esistono problemi concreti nelle città che sono il punto di approdo naturale per i profughi. Non lo risolvi chiudendo, lo risolvi cercando di avere un livello di partecipazione da parte di tutte le Regioni. Anche perché non possiamo lamentarci dell’Europa che non fa la propria parte e poi in Italia lasciare che siano le Regioni di frontiera a occuparsene perché le altre non vogliono rotture di coglioni. Abbiamo un sistema geopolitico basato sul principio dell’egoismo: non a casa mia. È una questione che va affrontata da un governo che non riesce e non è riuscito a ottenere una linea di condivisione e di consapevolezza e di disciplina partecipata da tutti i presidenti di Regione. Qui tutti, in nome della salute, hanno deciso a casa loro.

Però la propaganda di Musumeci sembra funzionare: cosa dire a quelli che lo applaudono, come riuscire a parlar con loro?
Non è semplice perché se dall’altra parte hai un governo pavido che non è capace di fare un passo e di prendere una direzione risolutiva è chiaro che poi è difficile parlare solo sul piano di principio e della linea della condotta morale. Il cittadino alla fine si trova confortato da un decisionista che può anche essere incostituzionale ma che è una risposta alla preoccupazione. Come per le discoteche si registra una certa inerzia da parte di figure chiave del governo nazionale di affrontare con coraggio i problemi che si presentavano. Ora il tema sono gli immigrati e il tema ha bisogno di un tavolo di soluzione che non può essere affidato a ciascun presidente di Regione. Avere un nemico, un untore, qualcuno su cui scaricare le proprie frustrazioni in tempo di crisi conforta molti, anche chi non ha nulla a che fare con quella cultura politica. Poi magari un giorno ti svegli e ti accorgi che gli untori sono i tuoi figli che sono andati a fare un party e sono tornati asintomatici e carichi di virus.

Leggi anche: 1. Sicilia, ordinanza di Musumeci: “Entro le 24 di domani migranti fuori dall’isola”. Ma il Viminale lo blocca: “Non può farlo” / 2. Sicilia, Musumeci non molla: “Il governo vuole un campo di concentramento per migranti, vado dalla magistratura”

L’articolo proviene da TPI.it qui

A proposito delle “eccellenze” di Trenord (e della narrazione leghista)

Un gran lavoro di Andrea Spaciari per Business Insider. Eccolo qui:

Da una parte perde 40.127.470 euro in 12 mesi a causa delle migliaia di treni soppressi; dall’altro elargisce centinaia bonus ad personam, ma solo ad alcuni dipendenti “indicati” dai vertici dell’azienda. È la surreale realtà di Trenord, la società ferroviaria posseduta al 50% da Regione Lombardia tramite la holding Ferrovie Nord Milano e Ferrovie dello Stato, alla quale il Pirellone il 10 gennaio 2015 ha prolungato senza gara – tramite una “scrittura privata” – il contratto di servizio fino al 31 dicembre 2020 per complessivi 2,55 miliardi di euro.

Un affidamento fortemente criticato dall’Anac di Cantone che nella delibera del 20 dicembre 2017 non ha ravvisato alcuna chiara motivazione di “economicità” a giustificazione della scelta di conferire quel ricco contratto senza gara.

Oggi i vertici della società sono indagati, insieme a quelli di Rete Ferroviaria Italiana, per il deragliamento del regionale 10452 a Pioltello del 25 gennaio scorso, costato la vita a tre passeggere e il ferimento di altre 46 persone.

Sulle cause dell’incidente – e sulle relative responsabilità – sta indagando la magistratura e non si può puntare il dito né su Trenord (proprietaria del treno e responsabile della sua manutenzione), né su Rfi (alla quale spetta l’onere della manutenzione dei binari).

Tuttavia, una cosa è certa: dopo l’incedente di Pioltello, l’attenzione mediatica ha reso evidente a tutti ciò che i pendolari urlano da anni: l’inefficienza del servizio offerto dall’azienda pubblica. La difesa d’ufficio sostenuta per anni dai politici regionali – i quali hanno sempre definito quello lombardo un sistema di trasporti d’eccellenza se paragonato quello offerto ai pendolari di Lazio o Campania – oggi non regge più. Dopo Pioltello, la tesi “comparativa” è miseramente crollata. È bastato sentire le storie di quanti percorrevano la tratta Cremona-Milano. L’ultimo lampante esempio di inaffidabilità, risale a mercoledì 8 febbraio 2018, quando il Milano-Bergamo delle 19:05 si è fermato per un guasto dopo cinque minuti dalla partenza da Centrale, e per tre ore ha tenuto “imprigionati” i passeggeri nelle carrozze senza elettricità né riscaldamento. Meno di un mese prima, invece, sempre alla stazione Centrale, un regionale diretto a Tirano fermo al binario 8 aveva preso fuoco per un cortocircuito al sistema di riscaldamento.

Ora però a corroborare il giudizio “empirico” dei pendolari, ci sono i numeri. Sono quelli contenuti in un documento interno dell’azienda che Business Insider Italia ha potuto visionare in esclusiva.

Un report segreto che elenca mese per mese il numero delle soppressioni di convogli; gli indici di puntualità dei treni; le condizioni di viaggio dei vagoni; le ricadute economiche sui conti di Trenord per i “posti non offerti” (calcolate dalla stessa azienda).

Dati e cifre che certificano performance inefficienti, lontane anni luce dagli standard previsti dal Contratto di servizio.

Ma vediamo cosa svela il documento: nel mese di gennaio 2018 (quello dell’incidente di Pioltello) su 1694 treni effettuati in media da Trenord ogni giorno, si sono verificate 59 soppressioni totali; 86 soppressioni parziali e 27 locomotori sono stati sostitutiti perché guasti.

E ancora: il 92,46% dei convogli è arrivato a destinazione con oltre sette minuti di ritardo, mentre quelli che hanno viaggiato con oltre 5 minuti di ritardo sono stati l’89,65%. Ben 29 treni hanno accumulato un ritardo maggiore ai 30 minuti, mentre 46 sono arrivati oltre i 15 minuti. Il tutto, calcola Trenord, ha causato la decurtazione di 5.731 posti ogni giorno (da qui i mancati guadagni). Tutto ciò è accaduto ogni singolo giorno di gennaio 2018.

Prendendo in esame l’intero mese, si scopre che sui 52.514 treni effettuati, ne sono stati soppressi totalmente 2.164, parzialmente 3.001, mentre i locomotori sostituiti sono stati 366, per una decurtazione totale di 177.655 posti, per un mancato guadagno – calcola l’azienda – di 2.086.947 euro. Tutti soldi (pubblici) andati in fumo per l’inefficienza del servizio.

Se guardiamo gli stessi dati riferiti a tutto il 2017, si scopre così che l’azienda pubblica non ha incassato la bellezza di 40.127.470 euro, a causa della soppressione di 2.539.713 posti a sedere. Solo a dicembre 2017, ha perso per strada 4,5 milioni; altri 4,5 li ha polverizzati a giugno, quando i treni (anche quelli nuovi) si fermavano a causa del caldo; ma l’amara ciliegina per i pendolari – e per tutti i contribuenti lombardi – è stato agosto 2017, quando l’azienda ha totalizzato “mancati guadagni” per ben 5.327.529 euro.

Il danno economico per le casse pubbliche è doppio, visto che a norma di Contratto di servizio, qualora su una determinata linea il 5% dei convogli non rispetti nell’arco di un mese l’indice di affidabilità previsto per ritardi e soppressioni, scatta il bonus per i pendolari, ai quali viene riconosciuto uno sconto sugli abbonamenti. Così Trenord, non solo non incassa non vendendo i biglietti dei treni soppressi, ma deve anche pagare le penali ai viaggiatori. Una continua emorragia di denaro pubblico.

Ma non è finita. Anche quei convogli che sono riusciti a partire e ad arrivare, non se la sono passata affatto bene (e di conseguenza anche i pendolari che trasportavano): su quei 52.514 treni di gennaio 2018, 18.476 hanno viaggiato con un guasto definito “medio” e ben 12.865 con un guasto “grave”.  Il 44% dei convogli ha effettuato servizio con una o più toilette guaste; 36 su 100 avevano una o più porte rotte; il 39% delle carrozze non è stata pulitaprima di entrare in servizio, mentre 31 treni su 100 hanno effettuato servizio con le “ruote sfaccettate”, cioè ovalizzate.

Quest’ultimo dato merita una parentesi anche in riferimento all’incidente di Pioltello: essendo Rfi controllata da Fs ed essendo Fs co-proprietaria di Trenord, è più che probabile che Rfi conosca i numeri del report che vi stiamo raccontando. Quindi parrebbe non essere una coincidenza che Ennio Amodio, il legale di Rfi nell’indagine sulla strage, abbia richiamato l’attenzione degli inquirenti proprio su una “possibile ovalizzazione delle ruote con la conseguente loro usura” tra le cause del deragliamento. Tradotto: Rfi sapendo che 31 treni su 100 di Trenord a gennaio hanno viaggiato con le ruote non in perfette condizioni, ha indirettamente invitato i magistrati a verificare se questa non possa essere una delle cause del disastro. Quando si dice l’amore tra partner industriali.

In generale, nel 2017 Trenord ha registrato 745.440 guasti, di questi 460.883 sono risultati “aggredibili” – e quindi risolti -, mentre gli altri 284.557 – tra guasti gravi e medi – sono risultati “non risolti”. Morale, i treni non hanno potuto circolare oppure hanno continuato a viaggiare in condizioni pessime.

Business Insider Italia ha chiesto a Trenord informazioni sui dati contenuti nel report. La risposta è stata che le cifre ufficiali dell’azienda sono quelle pubblicate sul sito di Regione Lombardia. Il problema è che i dati riportati dal Pirellone, sono quelli riferiti dalla stessa Trenord, visto che nel sistema dei controlli non è prevista un’entità terza che verifichi le performance del fornitore pubblico. Di fatto Trenord deve controllarsi da sola, comunicare poi a Regione Lombardia (sua proprietaria) se ha rispettato o meno gli obblighi previsti dal contratto di servizio, e infine il Pirellone, in base alle informazioni ricevute da Trenord, multa la società per eventuali inadempienze. Il tripudio del conflitto di interesse.

Dal report esce l’istantanea di una società inefficiente, con enormi problemi di gestione per i quali non riesce ad assicurare gli standard previsti di quel Contratto di servizio che aveva ottenuto senza gara. Una débacle frutto dell’insufficiente manutenzione su una flotta con età media assai alta, nonostante i 100 milioni di euro che ogni anno Trenord versa a Trenitalia e alla sua controllante Ferrovie Nord Milano per il noleggio di materiale rotabile. Una situazione che non migliorerà, nonostante la giunta di Roberto Maroni abbia proclamato che il Pirellone investirà 1,6 miliardi per acquistare 160 treni nei prossimi anni. La realtà è che a oggi Regione lombardia per l’acquisto di nuovi convogli ha messo a bilancio solo 26,5 milioni di euro per il triennio 2018-2020, gli altri soldi sono un annuncio.

Ci si aspetterebbe quindi che il management guidato dall’ad Cinzia Farisè sia quantomeno preoccupato della china della società e, soprattutto, che abbia in mente di tutto, tranne distribuire premi a destra e a manca. Invece non è così.

Cinzia Farisè amministratore delegato di Trenord. AGF

A dicembre 2017, un mese prima di Pioltello, «la società ha elargito tra i 100 e i 150 bonus “ad personam”, compresi tra gli 800 e i 2.500 euro, al di fuori di ogni accordo sindacale», denuncia Adriano Coscia, segretario regionale del sindacato Orsa. «E non è il primo anno che avviene questa elargizione ad esclusiva discrezionalità dell’azienda. Nello stesso ufficio c’è stato chi ha preso una cifra e chi un’altra, a parità di inquadramento e mansioni. Come sindacato non siamo mai stati coinvolti, tanto che ancora oggi ignoriamo quali siano stati i criteri di scelta dei beneficiari», conclude Coscia.

Non si tratta di una sorpresa, visto che già a inizio 2017 la consigliera regionale M5s Iolanda Nanni aveva sollevato la faccenda in Consiglio regionale con l’interrogazione 2870 del 2 gennaio 2017 dal titolo “Erogazione di premialità individuali effettuate da Trenord”. Anche allora si chiedeva conto dei soldi elargiti solo ad alcuni dei 4.100 dipendenti dell’azienda, secondo le libere volontà dei vertici di piazzale Cadorna, al di fuori di ogni accordo sindacale. Nanni aveva chiesto informazioni anche su 107 promozioni decise unilateralmente da Trenord. Nello stesso documento, la consigliera proponeva anche che i fondi utilizzati per i bonus andassero «non per la premialità ad personam o una tantum, ma per la manutenzione dei treni e per gli acquisti di materiali urgenti», e a titolo esemplificativo, ricordava come «i treni viaggiassero con i finestrini “pellicolati” poiché mancavano i vetri per riparali».

L’assessore regionale ai Trasporti, Alessandro Sorte, aveva risposto piccato qualche mese dopo: «L’attribuzione di assegni personali mensili ad personam è uno strumento, pur rientrante nel pieno del diritto dell’azienda, che mira a riconoscere e premiare prestazioni eccellenti e comportamenti virtuosi dei propri dipendenti». Aggiungeva inoltre che «le risorse economiche destinate a premi, promozioni e valorizzazione di dipendenti rientrano nel budget annuale destinato al costo del lavoro e che tali risorse non sono in alcun modo in contrasto con quelle destinate ad altri processi aziendali, quali ad esempio il processo manutentivo». Dodici mesi e un incidente ferroviario dopo, i bonus sono rimasti, così come i finestrini pellicolati.

Pedoni, pedali e pendolari per una mobilità nuova

mobilita-nuovaProgettare la mobilità significa avere in mente già l’Italia del futuro. Mica quella che ci capita ma quella che vogliamo: la differenza sembra piccola ma è sostanziale. Per questo il manifesto di #mobilitànuova è sostanzialmente un manifesto politico su un tema che dal Parlamento viene troppo spesso comodamente relegato alle Regioni che a loro volta con una certa inedia scaricano agli amministratori locali che (guarda il caso) hanno pochissimo margine di manovra. E alla fine succede che sia “normale” associare il pendolare ai disservizi, il ciclista al rischio su strada e il pedone ad un infiltrato indesiderato in una mobilità in cui non ha un suo posto. E per questo aderisco e rilancio:

L’Italia ha ipotecato il futuro delle opere pubbliche e della mobilità approvando progetti per nuove autostrade e nuove linee ad alta velocità ferroviaria che costeranno complessivamente oltre 130 miliardi di euro, offriranno ulteriori occasioni di business alla malapolitica e alla criminalità organizzata, sottrarranno al Paese territorio e bellezza spesso senza offrire un servizio migliore alla collettività.

Per soddisfare la domanda di mobilità del 2,8% delle persone e delle merci (è questa la quota di spostamenti quotidiani superiori ai 50 chilometri) si impegna il 75% dei fondi pubblici destinati alle infrastrutture del settore, mentre all’insieme degli interventi per le aree urbane e per il pendolarismo (dove si muove il 97,2% della popolazione) lo Stato destina solo il 25% delle risorse, puntando spesso e ancora una volta su nuove strade, tangenziali e circonvallazioni piuttosto che sul trasporto collettivo o su quello non motorizzato.

C’è un’urgente necessità di riorientare le risorse pubbliche concentrando la spesa laddove si concentra la domanda di mobilità e nello stesso tempo va avviato un radicale ripensamento del settore dei trasporti, sostenendo attraverso scelte strategiche le persone che quotidianamente si muovono usando i treni locali, i bus, i tram e le metropolitane, la bici e le proprie gambe e dando l’opportunità a chi usa l’automobile di scegliere un’alternativa più efficiente, più sicura, più economica.

La #MobilitàNuova si propone di avviare una trasformazione e una rigenerazione della società che va molto al di là della semplice trasformazione degli stili di mobilità individuale e punta a un deciso ridimensionamento del binomio auto+altavelocità. Una scelta, quest’ultima, egoista, dispendiosa, vecchia e inefficiente, che produce inquinamento, incidentalità stradale, danni sanitari, congestione, consumo di suolo e sprawling, aggressione al patrimonio storico, artistico e paesaggistico, iniquità sociale, alienazione e inaridimento delle relazioni sociali.

Al contrario una #MobilitàNuova che ruota attorno a quattro perni – l’uso delle gambe; l’uso delle bici; l’uso del trasporto pubblico locale e della rete ferroviaria; l’uso occasionale dell’auto privata (sostituita in tutti i casi in cui è possibile da car sharing, car pooling, taxi) – modifica lo spazio pubblico e la sua destinazione d’uso, rafforza i legami comunitari tra le persone e tra le persone e il luogo dove vivono, studiano e lavorano, stimola un’economia agroalimentare basata sul km0, crea lavoro stabile, contribuisce a far crescere la percezione di sicurezza attraverso strade e piazze più vissute e frequentate. In altre parole rende le città e il territorio più bello e migliora la qualità della vita.

E’ per questo che ti chiediamo di entrare nella Rete per la #MobilitàNuova, illustrando come questa nuova mobilità può incidere positivamente sui temi che ti stanno a cuore e indicando le tue priorità programmatiche sul tema da indirizzare ai decisori politici.

Insieme daremo vita a questa campagna collettiva e individuale, orizzontale e partecipata, che si articola in due momenti diversi.

Sabato 4 maggio a Milano manifestiamo per imporre ai decisori politici una rivoluzione della mobilità che parta proprio da un riequilibrio delle scelte politiche e delle risorse pubbliche destinate al settore dei trasporti, dando insieme visibilità e sostegno alle vertenze nazionali e locali contro quelle opere pubbliche stradali, autostradali e ferroviarie inutili e dannose per il Paese.

Mentre a partire dal 4 maggio lanceremo insieme una raccolta di firme per una legge di iniziativa popolare (obiettivo un milione di adesioni) che vincoli almeno i tre quarti delle risorse statali e locali disponibili per il settore trasporti a opere pubbliche che favoriscono lo sviluppo del trasporto collettivo e di quello individuale non motorizzato.

 

Portiamo la torre e il binario 21 in Consiglio

La nostra mozione per i lavoratori ex Wagon Lits che manifestano ormai da tempo sulla torre al binario 21 della Stazione Centrale di Milano. La mozione è in discussione per il prossimo Consiglio di martedì. Per seguirli questa è la pagina. Se volete passare la presenza fisica  ha un senso umano, prima che politico. Io domenica mattina sono lì. Se ci passate fateci qualcosa pi

MOZIONE

IL CONSIGLIO REGIONALE DELLA LOMBARDIA PREMESSO CHE

il servizio ferroviario è un elemento imprescindibile per garantire la percorribilità del Paese che garantisce il diritto di spostarsi con prezzi accessibili, servizi sicuri e collegamenti minimi garantiti;

PREMESSO INOLTRE CHE

l’attuale crisi dell’economia e del lavoro che viviamo in Italia rende l’accessibilità economica del servizio ferroviario elemento dirimente per molti viaggiatori;

CONSIDERATO CHE

a Milano, presso il binario 21, ormai dal 9 dicembre alcuni lavoratori della ex Wagon Lits ora New West Servirail Italia manifestano contro il licenziamento di circa 800 lavoratori a   seguito della decisione di Trenitalia di sopprimere i collegamenti da Milano verso il sud del paese e, quindi, rendere incerto il futuro dei lavoratori impegnati nei servizi notturni di accompagnamento, manutenzione, pulizia e logistica;

CONSIDERATO INOLTRE CHE

Regione Lombardia già a Dicembre scorso ha attivato un tavolo per trovare un accordo che garantisse una rapida soluzione;

PRESO ATTO CHE

in altre città d’Italia come Roma sono in corso manifestazioni analoghe per il ripristino del lavoro dei licenziati a causa dell’abolizione dei treni notte;

PRESO INOLTRE ATTO CHE

la soppressione dei collegamenti notturni rischia di creare divisione nel paese e produrre il monopolio dell’alta velocità con prezzi maggiori non sempre accessibili;

RITENUTO CHE

è evidente l’esigenza di ricondurre rapidamente questa vertenza ad un quadro unico nazionale partendo da una revisione dei servizi notturni nazionali con il ripristino delle tratte nazionali servite su Torino, Milano e Nord-Est;

IMPEGNA IL PRESIDENTE E LA GIUNTA REGIONALE

  • ad attivarsi presso il Ministero dei Trasporti per la revisione dei servizi notturni nazionali che garantiscano servizi certi e prezzi accessibili per la mobilità dei cittadini in tutto il paese;
  • ad attivarsi presso il Ministero del lavoro per un tavolo nazionale che porti un concreto, certo, stabile e tempestivo piano rioccupazionale, che coinvolga anche il nuovo gestore dell’accompagnamento dei servizi notturni Italia-Francia con tutti gli strumenti disponibili di sostegno al reddito e all’occupazione.

 Milano, 12 Gennaio 2012

Giulio Cavalli (SEL)

Chiara Cremonesi (SEL)

Risarcite il pendolare

L’ha deciso un giudice. Ed è una buona notizia perché apre una strada percorribile: se la politica non risponde al citofono si bussa alla Giustizia. Poi voi scegliete dove sta l’incapace. Ha viaggiato male, alla fine l’ha fatto gratis, non è una consolazione ma intanto è una sentenza. Con la probabilità che altri viaggiatori organizzino una class action, un sistema di azioni per una tutela collettiva di rimborso. L’esempio (il modello) c’è. Una pendolare ha fatto causa per soppressioni, sporcizia e sovraffollamento dei convogli. Il giudice di pace le ha dato ragione. Trenitalia dovrà restituire i soldi degli abbonamenti per il periodo incriminato (un anno, 500 euro) e risarcirla dei danni morali: le condizioni di viaggio erano «gravemente umilianti».

La metro verde (o più al verde)

Oltre  600  milioni  di  euro  per realizzare  tutta  l’opera  e quasi 60  milioni  di  euro  per  dar  corso solo alle  varianti. Eh,  si,  le famosissime  varianti in  corso  d’opera – di  craxiana  memoria – che  valgono milioni di euri fruscianti  (tanto  care ai  tangentisti  delle  mazzette per la  Metropolitana Milanese  ai  tempi  di “Mani Pulite”).  E  non  si  sa bene chi caccerà  fuori tutti  sti  quattrini.  Il  dossier  sul  tavolo  di Dexia  Crediop.

Metro5 S.p.A. è la società concessionaria per la progettazione, costruzione e gestione della nuova linea 5 della Metropolitana di Milano. Metro 5 S.p.A., è una società privata costituita da Astaldi S.p.A. (23,30%), Ansaldo STS S.p.A.(24,60%), Torno Global Contracting S.p.A. (15,40% – società già dichiarata fallita), Ansaldo Breda S.p.A. (7,30%), Alstom Ferroviaria S.p.A.ATM S.p.A. (9,40%). Per  capire  appieno la  serietà della compagine  societaria che  abbiamo innanzi  basta ricordare il  motto del  Presidente di quest’ultima  azienda (ATM),  il  valentissimo   Elio  Catania (quand’era  al  vertice  di  Ferrovie  dello  Stato Spa ha  quasi  gettato sul  lastrico tutto  il  gruppo): “vogliamo improntare la nostra attività interna ed esterna al rispetto dei principi di etica, legalità, trasparenza, correttezza e lealtà”.

lavori della nuova linea metropolitana M5 Bignami – San Siro, la cd.Linea Lilla” sono stati  un  pochino  travagliati. Sulla  carta han  preso  il  via nel novembre 2010 e la fine della prima tratta è prevista nel 2012. Tutti  i lavori dovrebbero teminare entro il 2015 (in  coincidenza  con l’Expò) con la creazione di due tratte della nuova M5. La seconda tratta collegherà lo Stadio di San Siro, Piazzale Lotto, il nuovo quartiere Fiera Milano City, il Monumentale e Porta Garibaldi, connettendosi alla prima tratta già in costruzione, da Garibaldi a Zara.

Il sistema di mobilità che  si  andrà  a concretizzare è  così all’avanguardia che  collegherà rapidamente/comodamente le diverse zone di Milano.  12,6 Km di nuovo tracciato con 19 fermate in grado di trasportare circa 60 milioni di passeggeri l’anno ed  attraversando Milano da nord-est a sud-ovest in meno di 26 minuti. Una grande infrastruttura che dovrebbe garantire un servizio di trasporto pubblico efficiente, sostenibile ed  economico.  La nuova linea metropolitana M5 è sicura, ecologica ed integrata. Votata alla   riqualificazione  di tutto l’ambiente urbano.

Con  la  nuova  Linea  Lilla Milano  sarà più  ecologica e più  verde.

O  più  “al  verde”. Dipende dai  punti  di  vista.

(doc. pdf.: ” Finanziamento_Metro_5_Milano

http://piemonte.indymedia.org/attachments/may2011/finanziamento_metro_5_milano.pdf)