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No, il virus non ci rende tutti uguali

Mi si perdoni se esco per qualche minuto dalla retorica dello #stateacasa (a proposito, se potete restate in casa) e dal volemose bene che viene proferito da tutte le parti: non è vero che siamo tutti uguali e non è vero che il coronavirus sia una livella che rende i ricchi poveri e i poveri un po’ meno poveri. Anzi, stanno uscendo tutte le disuguaglianze con forza e questa smodata moderazione forse ci impedisce di vederle.

Ogni giorno mi arrivano decine di segnalazioni di persone che lavorano negli ospedali e non hanno presidi di sicurezza. Sono quei medici e quegli infermieri (ma ci sono anche i metalmeccanici, per dire, avete presente chi cura la manutenzione in un ospedale perché tutti funzioni?) che ogni piè sospinto vengono dipinti come eroi e che mi raccontano di lavorare in condizioni di sicurezza assolutamente precari. Ma se sono veramente i salvatori allora non sarebbero i primi da salvare? Si può aprire un dibattito su questo?

E poi ci sono i lavoratori, tanti, tantissimi, che mi scrivono continuamente testimonianze di situazione a dir poco feroci: persone che lavorano gomito a gomito e che vengono tutelati con qualche salvietta igienizzante, fabbriche che continuano a produrre come prima con la differenza di avere affisso qualche raccomandazione in bacheca. E poi ci sono le vessazioni. Vere e proprie vessazioni: fabbriche che offrono un bonus per chi non prende ferie e non prende malattia e soprattutto non rompe troppo le scatole con le norme di sicurezza; persone che hanno a che fare con decine di persone tutto il giorno, vis à vis, e che possono solo affidarsi alla buona sorte. Tutta gente ovviamente che se sta a casa perde il lavoro oppure semplicemente non viene pagata, non sopravvive. E i riders? Quelli che vi portano il cibo a casa? Quelli che vi consegnano i pacchi che avete ordinato su internet? Citofono, saluti, consegna, mancia. Tutto a stretto contatto, ovviamente. Per non parlare dei cantieri: nell’edilizia la sicurezza in molti casi era un miraggio già prima del coronavirus. A proposito: questo vale per i lavoratori regolari, chi lavora in nero non esiste e figurati se esistono i diritti.

Avete bisogno di una rappresentazione plastica delle disuguaglianze in questi giorni? Ci sono i senzatetto multati perché non stanno a casa: non hanno una casa, mangiano per strada, gli hanno chiuso le mense. E anche questa novità molto smart della scuola digitale si è persa un piccolo pezzo: c’è gente che non ha un computer, non ha una connessione internet, devono scontare questa loro colpa?

Insomma sarebbe il caso di parlare anche di diritti, oltre che di doveri, non trovate? Serenamente, responsabilmente ma non fingendo che tutto vada ben, no.

Buon lunedì.

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Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

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Un bambino, prima dell’inizio della partita della partita di Coppa d’Inghilterra tra il Tottenham e il Middlesbrough decide di andare a prendersi il pallone e corre fino a segnare nella porta dall’altra parte del campo, facendo esplodere il tifo sugli spalti. Una qualità che è preziosa e rara: ci sono momenti nella vita, vale per gli adulti e per i bambini, in cui per mettere in pratica i propri desideri tocca spezzare la composta abitudine del cerimoniale e decidere di fare qualcosa che non andrebbe fatto per essere quello che si è e per provare a diventare ciò che si vuole diventare.

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