Beati i primi se li difendono persino gli ultimi
Ci deve essere nascosto in qualche parte un manuale con i segreti per diventare ricchi con un capitolo interamente dedicato al dovere di “sentirsi ricchi come primo passo per diventarlo” oppure devo essermi perso, per un’assenza, quella lezione a scuola in cui ci hanno insegnato che “leccare i ricchi” sia una forma di “riccanza omeopatica” che procura un misterioso piacere. È l’unica spiegazione possibile al riflesso pavloviano che si innesca ogni volta che qualcuno (sempre con quella faccia contrita come se stesse pronunciando una bestemmia) si permette di avanzare l’ipotesi di tassare l’1% ricco della popolazione e viene attaccato alla giugulare da quell’altro 99% che pure avrebbe solo da guadagnarci, che potrebbe perfino essere gratificato da una misura del genere eppure non riesce a trattenersi dalla difesa corporativa di un ceto che non è il suo.
Se i poveri difendono le ragioni dei ricchi invece di non essere più poveri allora la lotta di classe è finita
«Finché c’è in giro un solo ricco che rischia di essere tassato non mi sentirò mai completamente libero» è il nuovo comandamento morale che si è infilato nella narrazione imperante; è l’evoluzione successiva al fingersi ricco per bullarsi al bar del paesello (una roba che fa tanto Anni 80) che poi si è evoluto nel professarsi in qualche esotica vacanza inventata sul proprio profilo Facebook, che poi si è evoluto nelle foto da sboroni su Instagram e che ora è sfociato nel diventare sindacalisti dei ricchi per lasciare intendere di avere un appartamentino da un milione di euro che la nonna si prepara a lasciare in eredità. Non c’è che dire: se l’egemonia culturale è la propagazione artefatta di una chiave unica di lettura allora i poveri che ragionano come i ricchi (senza nemmeno pretendere furiosamente di non essere più poveri) è la chiara, definitiva vittoria della lotta di classe. Hanno vinto loro.
Gli aiuti economici per i poveri sono volgari ‘sussidi’, quelli riservati ai ricchi scintillanti ‘incentivi’
Per carità, che i ricchi si ingegnino per difendersi è un atteggiamento naturale e comprensibile, partiti e associazioni nascono per salvaguardare gli interessi di una precisa parte di persone dalla notte dei tempi, e che si ingegnino per proporre espedienti culturali è una componente delle strategia generale: non è un caso che qui dalle nostre parti da anni gli aiuti economici dati ai poveri vengano volgarmente chiamati sussidi (da pronunciare con con uno schifato sputacchiamento incorporato) mentre i soldi ai ricchi si siano meritati lo scintillante appellativo di “incentivi”. Anche la reazione dell’arco parlamentare era prevedibile: diventa sempre più attuale l’analisi che Noam Chomsky fece degli Usa e che vale anche qui, di un parlamento in cui c’è solamente un partito, il business party, diviso in varie fazioni per garantire il pluralismo formale, che sempre più spesso tutela gli interessi di una minoranza con politiche che vengono rivendute come soluzioni ai problemi di tutta la società.
L’indignazione per una normale tassa di successione fotografa un Paese che non ha concordanza con i numeri reali
Ma la levata di scudi contro il Reddito di cittadinanza affiancata alla popolosa indignazione per una normale tassa di successione fotografa un Paese che non ha nessuna concordanza con i numeri reali: o siamo un popolo di ricchi a nostra insaputa oppure si è incastrato qualche meccanismo di percezione della realtà. Oppure, più semplicemente, siamo ingolfati da una masnada di editorialisti che al pari di Marcello Sorgi possono andare in scioltezza in televisione e dire piacioni: «Chi di noi non ha vissuto in una casa da un milione di euro?». Senza nemmeno temere uno scapellotto dal Paese reale che viene evocato in ogni editoriale di imbiancati opinionisti rinchiusi nella torre d’avorio.
Le barricate della politica alla proposta vagamente di sinistra scappata a Enrico Letta
Così si chiude questa settimana in cui ogni utente Twitter ha avuto la sua occasione di quindici minuti di fama accolto nell’esercito di quelli che ha sempre sognato di riuscire a frequentare. Enrico Letta, a cui è scappata per distrazione una proposta vagamente di sinistra, si è ritrovato a difendersi anche dal fuoco amico (deve essere nel karma di Letta, è evidente).
Mi si chiede perché non finanziare la #dote18 coi tanti soldi che abbiamo ora. Perché ora finanziamo soprattutto a debito e quel debito, domani, lo pagheranno gli stessi giovani di oggi. Assurdo. Meglio la tassa di successione sui patrimoni alti, di ora. Domani da Fazio. #CTCF.
— Enrico Letta (@EnricoLetta) May 22, 2021
Il resto è il solito gioco di tutte le settimane: Salvini ha risposto con una bella foto in cui beve una spremuta condita da un intenso ragionamento politico («Per me spremuta d’arancia, per Letta spremuta di tasse … Buon venerdì Amici»), nel Pd qualcuno ha puntualizzato che l’imposta di successione è solo un’idea per il governo successivo (dimenticandosi di buttare un occhio ai sondaggi), Draghi ha fatto il Draghi. Ma il capolavoro deve essere avvenuto nella testa del presidente di Regione Lombardia Attilio Fontana che avrà sicuramente dormito malissimo all’idea di dover pagare un’imposta di successione a sua insaputa. Buon fine settimana.
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