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Dal Vaticano a Orban, passando per Salvini e Meloni: in Europa è in atto un’offensiva contro i diritti Lgbt

Punto primo: quando qualche giorni fa si scriveva della legge liberticida voluta da Orban in Ungheria i soliti noti tra i commentatori di casa nostra di sono sperticati per dirci che i difensori dei gay strepitavano per niente. Si abilitavano, ancora, un’altra volta, se è vero che i rappresentanti di 14 Paesi della Ue hanno sottoscritto martedì un documento di condanna della legge. Anche l’Italia, seppur in ritardo, ha aderito dopo avere aspettato “delucidazioni dal governo di Budapest”. La legge vieta la rappresentazione di qualunque orientamento sessuale che non sia quello etero per chiunque abbia un’eta inferiore ai 18 anni. Il divieto riguarda l’insegnamento nelle scuole ma investe anche la programmazione televisiva, la pubblicità, il cinema. È l’ennesimo attacco di Orban contro i diritti Lgbtq+ ma soprattutto è l’ennesimo indizio di un vento che tira in Europa: l’attacco proviene da più fronti e il tema ormai è terreno di scontro politico, come sempre sulla pelle dei diritti di qualcuno.

In Italia gli amichetti di Orban, Salvini e Meloni e molti berlusconiani, insistono sulla stessa linea, pur contenendosi per fingere un certo equilibrio, spremendosi nella diffusione di vere e proprie fake news che passano dalle “favole rubate ai bambini” (come ha detto ieri Salvini) fino alla nota congiunta in cui si chiede lo stop del ddl Zan sull’onda delle parole del Vaticano. “Che peccato, pensavo davvero che le parole del Presidente #Draghi sulla laicità dello Stato e la sovranità del Parlamento fossero condivise da tutte le forze politiche. E niente la destra non ce la fa proprio, ma non è la destra europea, non è la mia…”, scriveva ieri il deputato di FI Elio Vito.

A proposito di Vaticano, la strategia è sempre la stessa: lanciare la bomba e poi calmare le acque buttandola sulla “richiesta di un confronto”. L’obiettivo di fondo intanto è raggiunto e l’assist ai sovranisti è stato servito. Ieri il presidente Draghi ha ribadito la piena autonomia del Parlamento (e ci mancherebbe pure) ma l’incaglio della legge è dietro l’angolo. Anche tra i progressisti si registrano imbarazzo e balbettamenti: il Vaticano, si sa, è più trasversale perfino della difesa dei diritti. Ma questo tempo ci dice chiaramente che sui diritti Lgbtq+ non ci si può permettere di rimanere indifferenti: alla luce di questi attacchi diventa obbligatorio decidere da che parte stare. Sul tavolo c’è molto di più di un semplice disegno di legge, c’è un modo di vedere i diritti e il mondo.

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Anziché intromettersi sul ddl Zan il Vaticano pensi ai reati sessuali dei preti

Qualcuno rassicuri il Vaticano, vada a suonare al loro citofono spiegando che il ddl Zan – che loro vedono come fumo negli occhi – non aggrava le pene per il reato di atti sessuali con minorenni, che continuerà a essere punito dal Codice penale, come loro sanno bene.

Qualcuno dica al Vaticano anche che ci vuole un bel coraggio nel ritenersi degni di giudicare la libertà sessuale degli altri provenendo da un club che ha una sessualità taciuta e castrata per dogma, tra l’altro con evidenti mancanze di rispetto delle regole.

Qualcuno dica al Vaticano che ogni volta che si sentono voci provenire da lì che dicono qualcosa sui bambini, sulla pedofilia e sull’omosessualità non si riesce proprio a prenderli sul serio, senza pensare per un momento a questi ultimi 20 anni in cui i casi (e stiamo parlando solo di quelli che sono venuti a galla) si sono moltiplicati e hanno disegnato perfettamente la poca etica e la poca credibilità di chi oggi vorrebbe fare la parte del moralizzatore.

Gli si ricordi della condanna a dieci anni di carcere comminata a John J. Geoghan, un prete che aveva violentato un bimbo di dieci anni nel 2002, degli 89 sacerdoti nella sola Boston messi sotto accusa dall’inchiesta del The Boston Globe, dei 55 preti che sono stati poi rimossi dall’incarico. Gli si ricordi che l’allora arcivescovo di Boston Bernard Francis Law permise a molti presti, già accusati, di continuare a esercitare semplicemente spostandoli di parrocchia, come se un trasloco valesse come un perdono, e ricordiamoci di quando dovette consegnare le proprie dimissioni nelle mani di Giovanni Paolo II il 13 dicembre del 2002.

Si ricordi la bancarotta delle arcidiocesi di Portland, di Tucson e di Spokane dovuta alle richieste di risarcimenti. Ricordategli il vescovo John Magee e monsignor James Moriarty, vescovo di Kildare e Leighlin, che si dimisero dopo i numeri spaventosi di abusi in Irlanda.

E poi la Germania, con gli abusi nel coro delle voci bianche del duomo di Ratisbona. Oppure le stime dell’arcivescovo Silvano Tommasi, osservatore permanente della Santa Sede all’ONU di Ginevra, che in una dichiarazione al Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite a Ginevra, dichiarò che, stando alle ricerche interne, nel clero cattolico tra l’1,5% e il 5% era coinvolto in abusi sessuali su minori. Solo per citare alcuni episodi.

Ci vuole credibilità per affrontare certi temi e il Vaticano, peggio per loro, proprio non ne ha. Se domani davvero volessero fare sul serio “contro l’omosessualità” da quelle parti ci sarebbero parecchi posti vacanti. Altro che Concordato.

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In piena crisi da Covid, Toti aumenta di 883mila euro i fondi per gli staff degli assessori

Tempo di pandemia, tempo di difficoltà economiche, tempo di feste che molti non hanno voglia di festeggiare per il cupo futuro che si ritrovano davanti. È normale che in tempi come questi la gestione dei soldi pubblici diventi ancora più responsabilizzante, del resto è la stessa discussione che continua dalle parti del Governo. Per il presidente della Regione Liguria, Giovanni Toti, invece, evidentemente questo è il tempo di elargire denaro alla politica. E la sua scelta, legittima, non può non porre domande e dubbi.

Lo scorso 13 novembre la giunta ligure ha approvato all’unanimità una delibera che triplica i finanziamenti erogati ai membri della giunta (presidente e assessori) per stipendiare il proprio staff. Si passa da 523mila euro all’anno per il personale a 1.356.181,20 euro, con un incremento di 883mila euro.

Sia chiaro, sono soldi che ogni assessore potrà utilizzare su base fiduciaria, nominando funzionari che dagli 8 che erano ora diventano addirittura 22, per un esborso complessivo nel corso di una legislatura di quasi 7 milioni di euro.

“I fondi non ci sono mai quando servono per realizzare opere importanti come i parchi naturali, la pulizia dei torrenti e la messa in sicurezza dei fiumi”, fa notare Ferruccio Sansa, che ha sfidato alle ultime elezioni regionali proprio Toti. “Non ci sono per comprare tamponi, mascherine e per pagare il personale sanitario. Ma poi i soldi si trovano sempre quando fa comodo a chi governa”.

Toti si difende parlando di “competenze dell’Amministrazione regionale che sono state ulteriormente ampliate nella legislatura appena conclusa, e quindi ciascun componente della Giunta regionale ha maggiori materie di pertinenza rispetto ai componenti delle Giunte regionali delle legislature precedenti, in particolare derivanti dal trasferimento di funzioni dalle Amministrazioni provinciali”. Peccato che quel trasferimento di competenze di cui Toti parla risalga addirittura al 2015.

Non si capisce quindi l’urgenza, peraltro in piena pandemia. Rimane anche il dubbio sul riversare quei soldi agli staff degli assessori piuttosto che ai funzionari della macchina regionale. Tutto questo mentre il presidente Toti spinge per riaprire tutto, riaprire il prima possibile, per dare il via libera a tutti fingendo di non sapere che una macchina per la radioterapia (di cui la Liguria avrebbe bisogno) costa esattamente la cifra annuale assorbita dallo staff del presidente.

Ora il gruppo consiliare della maggioranza ci tiene a precisare che si tratta di “capitoli di spesa diversi” e di cifre che “non tolgono finanziamenti a altre voci”. È il gioco delle tre carte, il solito vecchio gioco. Ma in un tempo nerissimo.

Leggi anche:
1. Caro Toti, è veramente così difficile dire: “Ho sbagliato”? (di Giulio Cavalli)
2. Vaticano, il successore di Becciu? Si fa l’abito da cardinale da 6mila euro pagato coi soldi pubblici

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“Troppe resistenze nella Curia per scoprire la verità sulla pedofilia”. Anche Maria Collins si dimette dalla Commissione sui minori

Le sue dimissioni dalla Pontificia commissione per la protezione dei minori le ha annunciate su Twitter, oggi 1 marzo, Mercoledì delle Ceneri, giorno d’inizio della Quaresima, un avvio amaro per Papa Francesco. Maria Collins, irlandese e vittima da bambina di ripetuti abusi di un prete, ha lasciato il suo incarico dopo aver scritto una lettera il 9 febbraio al Presidente dell’organismo istituito dal Pontefice nel 2014 e della quale faceva parte dalla fondazione, il cardinale di Boston Sean O’ Malley.

Visto che il 6 febbraio del 2016 (quindi esattamente un anno fa, nel pieno dello scandalo australiano della pedofilia ) si era dimesso l’altro ex abusato inglese Peter Saunders, la Commissione pontificia non ha più tra i suoi componenti nessun survivor.

Come Saunders , in occasione della sua uscita, aveva attaccato a testa bassa il cardinale George Pell (prefetto della Segreteria dell’economia) , la Collins ha motivato le sue dimissioni con una esplicita critica all’opera della Congregazione per la dottrina della fede, titolare dei procedimenti canonici contro i preti pedofili. La CDF non è mai apertamente nominata, ma si fa riferimento ai freni e ai passi indietro messi in atto da parte di alcuni settori della Curia a partire da quello che deve occuparsi istituzionalmente di questi problemi.

La Collins dà atto dell’impegno “dei miei colleghi e del desiderio genuino desiderio di Papa Francesco per l’aiuto nell’affrontare il caso degli abusi sessuali del clero”. Tuttavia aggiunge nella sua lettera postata su Twitter: “Nonostante il Santo Padre abbia approvato tutte le raccomandazioni che gli erano state inviate dalla Commissione, si sono verificati dei costanti contrattempi.Dovuti direttamente alla resistenza di alcuni membri della Curia Romana. La mancata cooperazione, in particolare del dicastero più direttamente coinvolto nella gestione dei casi di abuso, è stata vergognosa”.

La Collins ha scritto di due casi particolari . Il primo riguarda un piccolo cambiamento della procedura per la cura delle vittime. “In gennaio (2017, ndr) , “ho saputo che è stato rifiutato nonostante fosse stato approvato da Papa Francesco” . “Allo stesso tempo una richiesta di cooperazione su un tema fondamentale per la salvaguardia dei minori è stato anch’esso rifiutato. Per me è stata la goccia che ha fatto travasare il vaso”.

Anche il comunicato della Commissione vaticana dà conto del fatto che la Collins accusa “frustrazione, e mancanza di cooperazione da parte di altri uffici della curia romana”.

MULLER NEL MIRINO MA LE CRITICHE COLPISCONO ANCHE FRANCESCO. Il cardinale “conservatore” Muller , dunque nel mirino, e per difendersi, lunedì scorso , 26 febbraio in un’ intervista a Repubblica , Muller aveva ribadito la tolleranza zero contro i preti-orco e l’invito ai vescovi ad imporre loro l’obbligo dell’autodenuncia. Nei giorni scorsi il sito conservatore “1Peter5” aveva prospettato possibili dimissioni del guardiano dell’ortodossia, cioè del prefetto della CDF.

I casi di pedofilia comunque continuano a creare problemi alla Chiesa. In Australia le audizioni della Royal Commission sulla Chiesa cattolica hanno registrato , nelle scorse settimane , la testimonianza di tutti i vescovi, che hanno ammesso la debolezza della risposta per la protezione delle vittime, a cominciare dall’arcivescovo di Sidney , successore del cardinale Pell, Fisher. Sabato scorso (25 febbraio ) il Vaticano è stato denunciato dalle vittime del capo del Sodalitium Christianae Vitae, Luis Figari, in Perù e lo stesso giorno l’Associated Press ha lanciato dal Vaticano un servizio dal titolo: “Il Papa in silenzio, taglia le sanzioni agli abusatori sessuali che chiedono misericordia”.

Oggi, le dimissioni della Collins. Sui social c’è chi invita esplicitamente Papa Francesco a concentrarsi su cose più importanti dell’Ordine di Malta.

Dopo il lancio dell’AP , la giornalista argentina Alicia Barrios, vicina a Francesco e in dialogo permanente con lui, ha scritto sul periodico “Cronica” che fonti vaticane “smentiscono categoricamente che il Papa Francesco abbia allegerito le pene per i preti pedofili” e che il servizio dell’AP contiene affermazioni generalizzate, senza dati e numeri. E non risponde alle domande giornalistiche da manuale, su chi, come , dove e quando e perché “, ma piuttosto fa parte di una campagna di impronta americana “ per togliere prestigio a Sua Santità , visto da tutto il mondo come referente morale”.

GINEVRA INCOMBE. Entro il primo settembre 2017, in ogni caso il Vaticano dovrà rispondere ai punti critici evidenziati dai due Comitati Onu di Ginevra sulla protezione dei bambini e contro la tortura . Davanti al CAT , in particolare dovranno essere resi noti i reali poteri della Commissione presieduta dal cardinale O’ Malley . Commissione che era stata piuttosto fredda di fronte all’abbandono di Saunders, e che sembra invece molto rammaricata per quella di Collins, e non intende perdere il patrimonio di «expertise» da lei maturato in questi anni di lavoro comune. Le ha proposto di continuare a collaborare nella educazione e in progetti di formazione della Curia, e lei ha accettato.

(fonte)

Non ce la fanno proprio. Radio Maria scomunica il Vaticano: “Confermiamo tutto. E dopo il terremoto arriveranno altri castighi”

Il balletto continua. Ed è un balletto sulle macerie e sugli sfollati ballato da chi vorrebbe essere santo mentre invece continua a rimestare nel fango. Dopo l’intervento del Vaticano che aveva sconfessato Radio Maria e le sue teorie sul terremoto come punizione divina ora Radio Maria sconfessa il vaticano. Che squallore.

“Tutte le sventure sono castighi divini”. Padre Giovanni Cavalcoli, in un’intervista a Radio Capital, non si scusa per le frasi shock sul terremoto pronunciate a Radio Maria il 30 ottobre. Anzi, ribadisce: “Confermo tutto, i terremoti sono provocati dai peccati dell’uomo, come le unioni civili”.

Belzebù, il Vaticano, Vatileaks

Il processo del secolo si è sgonfiato come una palloncino bucato e ora Gianluigi Nuzzi e Emiliano Fittipaldi (i giornalisti processati per avere scritto dei libri, giuro) sono stati assolti. Nel testo dell’assoluzione il tribunale rileva

«la sussistenza radicata e garantita dal Diritto divino della libertà di manifestazione del pensiero e della libertà di stampa nell’Ordinamento giuridico vaticano».

Quindi la libertà di stampa è garantita dal Diritto divino.

E allora chi ha istruito un processo senza senso, Belzebù?

“Il Vaticano calpesta i diritti umani”: parla l’avvocato di Monsignor Balda

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Non ci sta, l’avvocato Antonia Zaccaria, difensore di Monsignor Lucio Angel Vallejo Balda, che deciso di rompere il silenzio finora “anche in rispetto della Santa Sede” e a Fanpage parla di “violazione dei diritti fondamentali dell’uomo e del diritto di difesa” di fronte a cui “non si può rimanere inermi”. Oggi in Vaticano inizia il processo nei confronti di Angel Lucio Vallejo Balda, Francesca Immacolata Chaouqui, Nicola Maio, Emiliano Fittipaldi e Gianluigi Nuzzi. I primi tre sono chiamati a rispondere del reato di cui all’art. 248 cod. pen. (quest’ultimo come sostituito ad opera dell’art. 25 della Legge n. IX dell’11 luglio 2013) «perché all’interno della Prefettura per gli affari economici e di COSEA si associavano tra loro formando un sodalizio criminale organizzato, dotato di una sua composizione e struttura autonoma, i cui promotori sono da individuarsi in Angel Lucio Vallejo Balda e Francesca Immacolata Chaouqui, allo scopo di commettere più delitti di divulgazione di notizie e documenti concernenti gli interessi fondamentali della Santa Sede e dello Stato».

Come ci spiega l’avvocato Zaccaria “A poche ore dalla prima udienza, importante per dichiarare  l’innocenza o la colpevolezza, Monsignor Vallejo Balda non ha un difensore, visto che quello di fiducia non viene ammesso, nonostante la producente collaborazione con gli inquirenti” nonostante non siano mai stati evidenziati problemi durante tutta la fase istruttoria. “La Santa Sede – dice l’avvocato – emblema del rispetto dell’uomo e dell’Amore di Dio, nella prima fase ha permesso la presenza del difensore di fiducia, raggiunta la fase di collaborazione per fare emergere la verità sulla vicenda, ha poi negato a Monsignore di essere assistito e difeso dal proprio difensore. Ha preteso di applicare una norma, che prevede la facoltà di ammettere in coodifesa, anche un difensore non abilitato presso lo Stato Vaticano, adducendo una motivazione vacua. A poche ore dal processo si dovrà nominare un difensore abilitato ed iscritto nell’apposito elenco della Santa Sede, che nulla conosce della vicenda giudiziaria, al quale verrà consegnata della documentazione probatoria a scelta degli inquirenti, in disprezzo delle norme del codice di procedura, che prevede la messa a disposizione del difensore di tutto il fascicolo di indagine. Premettendo che il legale nominato il 18 novembre 2015, con i requisiti richiesti dalla Santa Sede, ha rinunciato al mandato a poche ore dall’inizio del processo.”

(continua qui)

Scandalo Vaticano: quell’amore per la finanza di Monsignor Balda

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Alla fine sono 5 le richieste di rinvio a giudizio che il Tribunale della Stato della Città del Vaticano ha notificato nei confronti di Angel Lucio Vallejo Balda, Francesca Immacolata Chaouqui, Nicola Maio, Emiliano Fittipaldi e Gianluigi Nuzzi. I primi tre sono chiamati a rispondere del reato di cui all’art. 248 cod. pen. (quest’ultimo come sostituito ad opera dell’art. 25 della Legge n. IX dell’11 luglio 2013) «perché all’interno della Prefettura per gli affari economici e di COSEA si associavano tra loro formando un sodalizio criminale organizzato, dotato di una sua composizione e struttura autonoma, i cui promotori sono da individuarsi in Angel Lucio Vallejo Balda e Francesca Immacolata Chaouqui, allo scopo di commettere più delitti di divulgazione di notizie e documenti concernenti gli interessi fondamentali della Santa Sede e dello Stato».

Tutti e cinque gli imputati dovranno rispondere del reato di cui agli artt. 63 e 116-bis cod. pen. (quest’ultimo introdotto ad opera della Legge n. IX dell’11 luglio 2013) «perché, in concorso tra loro, Vallejo Balda nella qualità di segretario generale della Prefettura per gli affari economici, Chaouqui quale membro della COSEA, Maio quale collaboratore di Vallejo Balda per le questioni riguardanti la COSEA, Fittipaldi e Nuzzi quali giornalisti, si sono illegittimamente procurati e successivamente hanno rivelato notizie e documenti concernenti gli interessi fondamentali della Santa Sede e dello Stato; in particolare, Vallejo Balda, Chaouqui e Maio si procuravano tali notizie e documenti nell’ambito dei loro rispettivi incarichi nella Prefettura per gli affari economici e nella COSEA; mentre Fittipaldi e Nuzzi sollecitavano ed esercitavano pressioni, soprattutto su Vallejo Balda, per ottenere documenti e notizie riservati, che poi in parte hanno utilizzato per la redazione di due libri usciti in Italia nel novembre 2015».

Intanto, però, comincia anche ad uscire un ritratto più preciso di Monsignor Balda. Nei giornali spagnoli è una storia conosciuta ma evidentemente le notizie non sono filtrate fino a noi: monsignore Lucio Vallejo Balda aveva dimostrato già da tempo una certa inclinazione per le operazioni spericolate. Finanziarie, soprattutto, ma di certo ‘Padre Angelo’ (come veniva amichevolmente chiamato ad Astorga, un piccolo comune spagnolo in provincia di León) era ambizioso. Anche troppo. “Era bravo nel suo lavoro, brillante, però troppo ambizioso, se si metteva in testa un obbiettivo era capace di tutto pur di ottenerlo” ha dichiarato ad un giornale locale un suo conoscente che non ha voluto svelare il nome per la paura di ritorsioni, e questo forse rende bene l’idea. Nato da una famiglia contadina il 12 giugno del 1961 a Villamediana de Iregua (La Rioja) ad otto anni era già nel seminario di Logroño da dove poi è stato trasferito ad Astorga. Terminati gli studi i suoi superiori decidono di spedirlo a Burgos dove prende una laurea in Teologia, la prima di una serie di lauree e dottorati. Fino al 1 agosto del 1987, quando il Vescovo di Astorga Briva Mirament lo ordina sacerdote.

(continua qui)