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Le Regioni in ritardo sui vaccini sono tutte guidate dalla Lega

Le Regioni in ritardo sui vaccini sono tutte guidate dalla Lega

La bellezza dei numeri è che stanno là, non si possono piegare, ed è sempre buffo quando qualcuno prova a invertirli come se fossero propaganda, malleabili alle bugie. I numeri della Lombardia sulla capacità di contenimento del virus e sulla capacità di vaccinazione sono sotto gli occhi di tutti, erano settimane che lampeggiavano evidenti nonostante il clan di Fontana fosse concentrato a impantanarli con quintali di fondotinta, e non è un caso che alla fine la narrazione “vincente e operosa” usata come scudo sia crollata sotto gli strilli di Bertolaso, di Letizia Moratti e infine di Fontana stesso.

Una bugia non può durare per sempre: prima o poi ci si infiltrano i numeri e alla fine crolla. In Lombardia la Giunta regionale ha puntato il dito contro una partecipata voluta dalla Giunta stessa, sperando di scaricare la propria responsabilità su conto terzi.

Non sta funzionando, non funzionerà e non sarà un successo nemmeno il finto pugno di ferro di Salvini che promette punizioni esemplari che si sono risolte nella morbida richiesta ai vertici di Aria di dimettersi. Non li hanno nemmeno cacciati, questi che vorrebbero essere i giustizieri della notte: hanno detto loro “Per favore ve ne andate? Che dite? Vi sembra una buona idea?”.

Ma i numeri dicono che la media nazionale delle somministrazioni dei vaccini è all’82,4% delle dosi che sono state consegnate. E i numeri dicono che le Regioni governate dalla Lega di Salvini sono di fatto tutte sotto la media nazionale.

Insomma, non è questione solo di Lombardia ma qui sorge più di un legittimo dubbio che si tratti proprio di un’incompetenza diffusa: la Sardegna di Solinas (indipendente ma sostenuto dalla Lega e sponsorizzatissimo da Salvini) brilla all’ultimo posto con il 70,5% delle dosi somministrate, la Liguria di Giovanni Toti (un altro che Salvini ci pone da sempre come esempio di capacità amministrativa) si attesta più o meno sulla stessa percentuale, la Calabria di Spirlì (che Salvini vorrebbe addirittura come candidato presidente) sta al 71,5%, al 78,3% la Lombardia, 80,1% per il Veneto di Zaia, 81,6% per l’Umbria di Donatella Tesei e 82% per Fedriga in Friuli Venezia Giulia.

Sono tutti, tutti, sotto la media nazionale. Sarà sfortuna? È un terribile complotto ordito dai poteri forti? Le fiale del vaccino sono comuniste e scappano dalle mani degli infermieri nelle Regioni governate dalla Lega? Su questo sarebbe bello sentire la risposta di Salvini. Ma Salvini, vedrete, non risponderà. Al massimo twitta la foto di lui con un panino.

Leggi anche: È ora di commissariare la Sanità lombarda: lettera al ministro Speranza

L’articolo proviene da TPI.it qui

La mattanza non percepita

Provate a immaginare cosa scriverebbero certi giornali se dei terroristi, meglio ancora se islamici ché funzionano meglio, ogni 5 giorni ammazzassero qualcuno in Italia…

Provate a immaginare se dei terroristi, meglio ancora se islamici ché funzionano meglio, ogni 5 giorni ammazzassero qualcuno in Italia. Ogni 5 giorni esce una notizia sulle pagine di cronaca contro questa violenza che, sono sicuro lo scriverebbero così, “mette in pericolo il nostro Paese”. Oppure immaginate un’etnia, preferibilmente nera ché funziona meglio, che ogni 5 giorni uccida una donna, una “nostra” donna come scriverebbero sicuramente certi giornali e provate a prevedere cosa direbbe la politica, certa politica. Oppure immaginate di mettere certe morti tutte in fila, una dopo l’altra. Così:

11 gennaio: Sharon ha 18 mesi e vive a Cabiate, in provincia di Como. Muore per una stufa che le cade addosso in casa. La Procura di Como scopre che la bimba però era stata maltrattata e violentata e ha disposto l’arresto del compagno della madre, Gabrile Robert Marincat, che ora si trova in carcere. La madre nutriva dei sospetti.

16 gennaio: Victoria Osagie, 34 anni, è stata uccisa dal marito nel tardo pomeriggio all’interno della propria abitazione a Concordia Sagittaria in provincia di Venezia. L’uomo l’ha colpita più volte con un coltello al termine di un litigio. I tre figli hanno assistito alla scena.

24 gennaio: Roberta Siragusa. Il corpo della diciassettenne al momento del rinvenimento si presentava parzialmente carbonizzato e nudo nella parte alta, con i pantaloni abbassati, il volto tumefatto, il cranio ferito e parte dei capelli rasati (da stabilire se di proposito o a causa delle bruciature).‍ Per recuperare i resti della ragazza sono dovuti intervenire sul posto i Vigili del fuoco. È stato arrestato Pietro Morreale, 19 anni, fidanzato della vittima. I due litigavano spesso: un mese prima la vittima aveva un occhio tumefatto.

29 gennaio: Teodora Casasanta, 39 anni e il figlio Ludovico di 5 anni sono stati uccisi dal marito e padre Alexandro Vito Riccio a Carmagnola. Il gesto sarebbe stato premeditato, poiché sul posto è stato ritrovato un biglietto su cui il trentanovenne avrebbe espresso l’intenzione di togliere la vita alla coniuge e al bambino. Lei aveva espresso la volontà di separarsi. L’esame autoptico ha rilevato circa 15 fendenti sul corpo della moglie e 8 su quello del figlio. L’aggressore avrebbe prima accoltellato le vittime nel letto, poi si sarebbe accanito su di loro pestandoli con diversi oggetti presenti in casa, tra cui il televisore.‍

1 febbraio: Sonia Di Maggio, 29 anni, è stata uccisa a Minervino di Lecce. La vittima si trovava in strada, nella frazione di Specchia Gallone, insieme al fidanzato quando all’improvviso è stata aggredita da un individuo: era Salvatore Carfora, 39 anni, ex compagno della giovane. Armato di coltello, ha sferrato numerosi fendenti alla ventinovenne. Il fidanzato ha tentato di difenderla, ma nulla ha potuto contro la furia dell’aggressore. Sonia si è accasciata al suolo in un lago di sangue. Vani i tentativi dei sanitari giunti sul posto che hanno provato a rianimarla, ma le lesioni erano troppo gravi.

7 febbraio: Piera Napoli, cantante di 32 anni e madre di tre figli, è stata uccisa la mattina del 7 febbraio 2021 all’interno dell’abitazione in cui risiedeva a Palermo, nel quartiere Cruillas. Il marito della donna, Salvatore Baglione, 37 anni, dipendente di una ditta che trasporta carni, intorno alle ore 13.00 si è costituito dai Carabinieri alla caserma dell’Uditore per confessare il delitto. Circa un mese prima la donna aveva richiesto l’intervento della Polizia dopo un’ennesima lite in casa con il coniuge, ma alla fine non se l’era sentita di sporgere denuncia.

7 febbraio: Luljeta Heshta, 47 anni, è una donna originaria dell’Albania, da 10 anni in Italia e regolare sul territorio, morta nel pomeriggio del 7 febbraio 2021 all’ospedale Humanitas di Rozzano in provincia di Milano. È stato arrestato il convivente della donna. Il gesto sarebbe stato compiuto a causa della presenza di un presunto amante nella vita della donna. La stessa nei giorni precedenti avrebbe lasciato l’abitazione che condivideva con il compagno per separarsi da lui.

12 febbraio: Lidia Peschechera, 49 anni, è stata trovata morta durante il pomeriggio del 17 febbraio 2021 all’interno della sua abitazione in zona Ticinello a Pavia. In carcere c’è il suo ex convivente Alessio Nigro. Il ventottenne, senza fissa dimora, si definiva un clochard e aveva problemi legati alla dipendenza dall’alcol. La donna si era offerta di aiutarlo, ospitandolo anche in casa, ma l’individuo non aveva fornito segnali di ripresa, anzi, in un’occasione lei aveva anche dovuto chiamare la Polizia per sedare una lite, al termine della quale non se l’era sentita di denunciare. Successivamente però la stessa aveva intimato al giovane l’intenzione di volerlo mandare fuori dall’abitazione a causa dei suoi comportamenti violenti, sfociati poi nell’omicidio.

19 febbraio: Genova. Clara Ceccarelli, 69 anni, è stata uccisa dall’ex compagno Renato Scapusi, 59 anni. Si parla di circa 100 coltellate. La donna è stata uccisa al termine del proprio turno di lavoro. All’inizio del 2020 si erano lasciati e da quel frangente sarebbero iniziate una lunga serie di aggressioni e persecuzioni messe in atto dall’uomo. La donna da giorni si era pagata il funerale e aveva provveduto a organizzare l’assistenza per il padre anziano e il figlio disabile. Sapeva di morire.

Ieri, 22 febbraio: Deborah Saltori, 42 anni, è stata uccisa in località Maso Saracini a Cortesano, frazione della città di Trento. La vittima sarebbe stata colpita con un’accetta dall’ex marito Lorenzo Cattoni, 39 anni, in una zona di campagna dove lui stava lavorando. Ad allertare i soccorsi sarebbe stato un passante che, durante il pomeriggio, ha notato i corpi esanimi dei due ex coniugi, riversi al suolo (l’uomo avrebbe infatti tentato di togliersi la vita). Secondo le prime ricostruzioni, Cattoni era già stato ammonito due volte dal questore della città per violenza domestica, anche verso la sua precedente compagna. Lo stesso era sottoposto agli arresti domiciliari a casa dei genitori nel comune di Terre d’Adige (Trento) perché, nel corso degli ultimi anni, era ricorso più volte a violenze fisiche e psicologiche nei confronti della vittima.

Sempre ieri, 22 febbraio: Rossella Placati, 51 anni, è stata trovata morta e sanguinante nel suo appartamento di Bondeno, Ferrara. Per ora non ci son arresti ma il suo compagno si è presentato in caserma raccontando di una discussione avvenuta la sera precedente e di essersi allontanato.

Questo è il punto in cui siamo.

Buon martedì.

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Fingeranno sempre di passare lì per caso

Il governo ha deciso di chiudere le piste da sci sulla base dei dati del Cts sui contagi. Apriti cielo. Da Salvini a Zingaretti si levano voci sdegnate. E a parlare così sono i politici di quegli stessi partiti che hanno ministri nell’esecutivo Draghi. Ecco cosa c’e dietro il “governo dei sogni”

Giornata interessante, quella di ieri. Giornata significativa anche per quelli che da qualche giorno sospirano petali di rosa sognanti per un Draghi taumaturgo che avrebbe il potere di cancellare i partiti, la politica, la mediocrità di certi leader e soprattutto i normali meccanismi democratici di un Parlamento.

Accade che il governo decida di chiudere le piste da sci che invece avrebbero dovuto aprire. Accade che lo faccia all’ultimo momento: l’ultimo momento del resto è il primo momento utile con i nuovi dati che arrivano dal Comitato tecnico scientifico e volendo ben vedere anche il primo giorno utile da un governo che è naufragato per regalarci il governo dei sogni, il governo dei migliori, il governo che avrebbe cambiato tutto. Accade che di fronte i dati dei nuovi contagi (perché la curva non si abbassa più e anzi in modo preoccupante tende a rialzarsi probabilmente a causa delle varianti del virus) si decide di tenere chiuse le piste sciistiche. Apriti cielo: ogni volta che qualcuno tocca un settore qualsiasi ovviamente (e giustamente) si levano voci sdegnate. Ma badate bene, qui non si tratta delle voci dei lavoratori, che si sono ritrovati nella pessima situazione di dover cancellare una riapertura programmata che è costata organizzazione, soldi, fatica e che inevitabilmente costa moltissimo in termini economici e di spirito. No, qui si levano le voci sdegnate dei politici.

«I ministri hanno la nostra fiducia. ma serve cambiare qualche tecnico – ha avvertito Salvini – La comunità scientifica è piena di persone in gamba». Il presidente di Regione Lombardia, il leghista Fontana dice: «Trovo assurdo apprendere dalle agenzie di stampa la decisione del ministro della Salute di non riaprire gli impianti sciistici a poche ore dalla scadenza dei divieti fin qui in essere, sapendo che il Cts aveva a disposizione i dati da martedì, salvo poi riunirsi solo sabato». «Sono allibito da questa decisione che giunge a poche ore dalla riapertura», dice il presidente della Regione Piemonte, Alberto Cirio. Piste da sci aperte in Friuli Venezia Giulia dal 19 febbraio anche per gli sciatori amatoriali. Il governatore Massimiliano Fedriga ha firmato l’ordinanza urgente n. 4/2021 con cui apre anche agli sciatori amatoriali, a decorrere dal 19 febbraio e fino al 5 marzo, gli impianti nelle stazioni e nei comprensori sciistici. «Per noi viene prima di tutto la salute dei cittadini ma è raccapricciante e imbarazzante vedere un’ordinanza che proroga la chiusura degli impianti da sci pubblicata 4 ore prima di mezzanotte», dice il presidente veneto Luca Zaia. Ma badate bene, non è mica solo la Lega: «Il danno per l’economia dello #sci e della #montagna è davvero immenso. Il Governo si adoperi subito per indennizzi e ristori a chi è stato colpito. Questa è la priorità assoluta», spara il segretario del Pd Zingaretti. «Non posso non esprimere stupore e sconcerto, anche a nome delle altre Regioni, per la decisione di bloccare la riapertura degli impianti sciistici a poche ore dalla annunciata e condivisa ripartenza», dice il presidente dell’Emilia-Romagna e della Conferenza delle Regioni, Stefano Bonaccini. Italia Viva (figurarsi) chiede “un cambio di passo”. E via così.

Tant’è che a un certo punto si diffonde l’opinione che la decisione sia stata presa dal ministro Speranza, da solo rinchiuso nella sua stanzetta e che loro non ne sapessero niente. Peccato che a metà giornata Palazzo Chigi (quindi Draghi) fa sapere all’Agi che la decisione sugli impianti sciistici è stata adottata in base alle informazioni fornite dal Cts e condivisa dal governo e dal presidente del Consiglio Mario Draghi. Cioè la decisione è stata discussa con tutti i ministri e quindi si presume che i ministri abbiano avvisato i segretari del proprio partito e quindi si presume che sia tutta una posa, una finta sorpresa, un giochetto facile facile: questi fingeranno sempre di essere presi alla sprovvista perché appoggeranno il governo nella comoda posizione di chi comunque si sente un battitore libero. E continueranno a sparare cannonate perché Draghi potrà (forse) riuscire a tenere a bada i ministri e non i partiti, com’è normale che sia.

Ora capite perché la favola del “governo tecnico” è una bufala? Questi continueranno a fingere di passare di lì per caso, in Consiglio dei ministri, rimanendo stupiti tutte le volte, ognuno per proprio tornaconto elettorale. Il “governo dei sogni” è un governo che ha messo sul palcoscenico tutte le mediocrità, nessuna esclusa, e che rende facilissima la vita agli “oppositori interni”, quelli che sfasciano tutto per sentirsi vivi. Un capolavoro, insomma.

Buon martedì.

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Eccoli “i migliori”

Cosa hanno fatto e detto in passato alcuni ministri del nuovo esecutivo guidato da Mario Draghi, il cosiddetto governo dei migliori

Renato Brunetta in un Paese normale, in un Paese capace di esercitare il muscolo della memoria almeno per qualche anno, sarebbe considerato un politico “finito”, uno di quelli che incassa con dignità le sue sconfitte e silenziosamente si ritira a fare altro. In Forza Italia, nella Forza Italia che si è sgretolata in questi ultimi anni, lui ha mantenuto invece la qualità politica che più conta da quelle parti, la fedeltà al capo e ad esserne lo scherano e così ce lo ritroviamo estratto dal cilindro. Brunetta fu già ministro nel terzo governo Berlusconi, proprio alla Pubblica amministrazione, ve lo ricordate? Fu quello che si presentò additando come «fannulloni» i dipendenti pubblici (e se ci fate caso quel vento sta tornando di moda, bravissimo Draghi a fiutarlo, chapeau) e pensò bene di installare dei tornelli negli uffici (voleva metterli anche nei tribunali) per risolvere il problema dell’assenteismo. Capite vero? Il governo dei migliori che dovrebbe farci dimenticare i banchi con le rotelle ha ripescato dal cassetto dei giocattoli rotti il ministro dei tornelli. Fu il Brunetta che si scagliava contro i magistrati che «lavorano due e tre giorni alla settimana» (ma per difendere Berlusconi bisogna per forza odiare i magistrati) e che aveva definito alcuni poliziotti dei «panzoni passacarte». La sua riforma che avrebbe dovuto rivoluzionare la pubblica amministrazione non ha cambiato nulla, nulla. In compenso Brunetta fu quello che accusava le donne di usare «gli ammortizzatori sociali per fare la spesa» e che, tanto per farsi un’idea dello spessore culturale, disse: «Esiste in Italia un culturame parassitario vissuto di risorse pubbliche che sputa sentenze contro il proprio Pae­se ed è quello che si vede in que­sti giorni alla Mostra del Cine­ma di Venezia». Un migliore, senza dubbio.

Mariastella Gelmini fu la ministra all’Istruzione che per quelli della nostra generazione ha lasciato come ricordo le macchie di un incubo. Tanto per stare sui numeri: un taglio in tre anni di 81.120 cattedre e 44.500 Ata (il personale non docente). È la sforbiciata complessiva di 125.620 posti dal 2009 al 2011 che avrebbe dovuto far risparmiare all’Erario poco più di otto miliardi di euro. Otto miliardi e 13 milioni, per la precisione, stima il Tesoro nel «Def 2011». Parte di queste risorse, il 30%, servivano a recuperare gli scatti stipendiali bloccati nel luglio 2010 da Giulio Tremonti. Da buona efficiantista non sognava una scuola migliore ma ambiva a tagliare “gli sprechi”. Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, di fronte ai tagli alla ricerca, era però dovuto intervenire a gamba tesa nel 2009 invitando la ministra a «rivedere alcuni tagli indiscriminati». Delle donne disse che sono delle «privilegiate» se scelgono di assentarsi dal lavoro dopo la gravidanza. Nel 2009 pensò anche a un tetto del 30%, per ridurre il numero degli stranieri in classe. Una migliore, applausi.

Erika Stefani è ministra alle disabilità. Già il fatto che per le disabilità venga messo in piedi un ministero senza sapere e senza capire che il tema attraversi tutte le competenze ha la forma di un’elemosina, lo ha spiegato benissimo Iacopo Melio in questo articolo per Repubblica, ma uno si aspetterebbe che in quel ministero lì ci sia una persona empatica, inclusiva, con testa e cuore larghi. Erika Stefani è stata ministra con il primo governo Conte ma se la ricorda solo Wikipedia. Fino a qualche giorno fa aveva come copertina della sua pagina Facebook la sua foto in Parlamento mentre strillava con un cartello “No ius soli”. Era una di quelli che proponevano le gabbie salariali ovvero «alzare gli stipendi al Nord e abbassarli al centro-Sud». Una migliore, complimenti.

Poi c’è Giorgetti, sempre della Lega, come Stefani. Giorgetti è in Parlamento dal 1996 e ha il grande “pregio” di aver sempre seguito i potenti, passando indenne da Bossi a Maroni fino a Salvini. Parla poco perché quando parla dice cose che rimangono impresse a fuoco come quella volta che disse che i medici di famiglia non servono più. Infatti nella sua Lombardia i medici di famiglia sono stati disarticolati e la Covid ha preso piede con grande libertà. Un capolavoro. Giorgetti è uno di quelli stimati perché non parlano mai e rischiano di sembrare intelligenti, come Guerini nel Pd, sempre pronti ad attaccarsi alle braghe del potente giusto per risultare pontieri mentre invece sono solo camerieri. Giorgetti era uno di quelli che ci spiegò che i mercati europei attaccavano la Lega perché «i mercati sono popolati da affamati fondi speculativi che scelgono le loro prede e agiscono», disse proprio così. Ora è europeista. Che migliore, davvero.

Questo è solo un assaggio. Nei prossimi giorni li raccontiamo per bene tutti. Evviva i migliori. Evviva.

Buon lunedì.

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È la Lega, bellezza

Lombardia in zona rossa: nonostante una mail che conferma l’invio di dati errati da parte della Regione, anche Matteo Salvini, dopo il presidente Fontana, dà la colpa al ministro Speranza. E lo seguono i governatori leghisti che chiedono una «revisione immediata delle procedure». Che finora hanno sempre funzionato

Altra giornata convulsa ieri per Attilio Fontana, presidente della Regione Lombardia, il suo capo Matteo Salvini e la distintissima Moratti, assessora al Welfare che non sta per niente bene dalle parti della Lombardia. Mentre Salvini si sbraccia e arranca e si affanna per dare la colpa dei dati sballati della Lombardia al governo nazionale ora ci sono anche le mail che testimoniano come proprio la Regione non avesse compilato tutti i campi che doveva compilare nei moduli da inviare all’Istituto superiore della sanità, esattamente come quelli che non leggono le noticine dei contratti che firmano e poi si ritrovano la casa debba di enciclopedie.

Il 22 gennaio il direttore generale del Welfare in Regione Marco Trivelli invia una mail all’Iss che dice chiaramente:

«Gentilissimi, tenuto conto della integrazione nel flusso dati trasmesso mercoledì 20 us rispetto al flusso trasmesso mercoledì 13 us, effettuata a seguito del confronto tecnico tra Iss e Dg Welfare e relativa alla riqualificazione del campo stato clinico da assenza di informazioni in merito alla presenza di sintomi in stato asintomatico nei casi con data inizio sintomi, si chiede la rivalutazione dell’indice Rt sintomi per la settimana n.35 ora per allora. Cordiali saluti».

Quella che Trivelli chiama “riqualificazione” è semplicemente un errore. E a causa di quell’errore l’Rt della Lombardia risultava 1,4 invece che 0,88 poiché a causa del mancato aggiornamento dello stato clinico risultavano molti più sintomatici.

In un Paese normale il presidente di una Regione che commette un errore del genere (l’erronea zona rossa sarebbe costata 600 milioni alla Lombardia, di cui ben 200 solo a Milano) avrebbe provocato le immediate dimissioni dei cialtroni al governo. E invece?

Invece la Lega, per bocca del suo prode Salvini, decide di buttarsi sulla strada della menzogna e addirittura rilancia. Sentite cosa ha detto Salvini ieri: «C’è stato un clamoroso e drammatico errore di calcolo sulla pelle dei cittadini fatto dal ministero della Salute. Speriamo che Speranza sia ministro ancora per poco. Di danni ne ha fatti abbastanza». Tutto falso, ovviamente, nessuna prova a supporto della tesi, niente di niente. E se pensate che sia un comportamento solo del segretario vi sbagliate di grosso: ieri tutti i presidenti di Regione leghisti sono accorsi al fischio del padrone firmando tutti insieme una lettera in cui chiedono una «revisione immediata delle procedure» per determinare il colore dei territori in modo da «affrontare con serenità maggiore una grave situazione». Fa niente che quelle stesse procedure funzionino dall’inizio della pandemia, fa niente che solo la Lombardia abbia sbagliato mentre le altre regioni non hanno avuto problemi. Niente di niente. Massimiliano Fedriga (Friuli Venezia Giulia), Christian Solinas (Sardegna), Nino Spirlì (Calabria), Donatella Tesei (Umbria), addirittura Fontana (Lombardia) e Luca Zaia (Veneto) hanno deciso di esporsi al pubblico ludibrio. Ah, a proposito: proposte? Nessuna.

È il metodo leghista: dire una bugia, ripeterla, farla ripetere a tutti gli scherani, gridarla in coro, insistere fino a ammaestrare i propri elettori; ridurre una questione tecnica a una barzelletta di propaganda; non entrare mai nel merito delle questione ma rilanciare sempre un nuovo nemico da additare, senza nemmeno passare dalla verifica dei fatti. Poi c’è il viscido gioco delle loro amicizie perverse: Matteo Salvini, quello che indossa la mascherina che raffigura il giudice Borsellino, ha avuto il coraggio di proporre Berlusconi presidente della Repubblica. Per dire cosa riescono ad essere, dove riescono ad arrivare. Ora chiudete gli occhi e immaginate al governo delle persone così.

Buon martedì.

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Ritorno a scuola, è caos totale: il governo litiga e ogni regione fa come gli pare…

Ora almeno ci sono anche dei numeri, pochi, pochini e perfino poco chiari. Dopo mesi in cui tutti chiedevano aggiornamenti l’altro ieri l’Istituto superiore di sanità ha pubblicato il suo rapporto per il periodo dal 31 agosto al 27 dicembre sui contagi a scuola mettendo nero su bianco che si tratta di 3.173 focolai di coronavirus pari al 2% del totale. Si tratta di bambini e ragazzi in età scolare (dai 3 ai 18 anni): la maggior parte dei casi, ben il 40%, si è verificata negli adolescenti dai 14 ai 18 anni. Si potrebbe partire da qui ad aprire un serio dibattito sul futuro, sul presente e sul passato recente delle scuole italiane in tempo di pandemia se non fosse che l’Iss non sa dire nulla sul fatto che il contagio avvenga in classe oppure nei (troppo pochi) trasporti prima e dopo le ore di lezione. Il nodo dei mezzi pubblici rimane un grosso punto interrogativo. Stesso discorso sulla reale efficacia della chiusura delle scuole per frenare la diffusione del Covid: «Tuttavia, l’impatto della chiusura e della riapertura delle scuole sulle dinamiche epidemiche rimane ancora poco chiaro», si legge nel rapporto.

E quindi? E quindi sulla scuola si continua con l’indecente balletto di favorevoli e contrari, di opposte tifoserie che si scontrano per opposte fazioni spesso dimenticando di proporre soluzioni. In mezzo un governo che sulla questione continua a balbettare e appare piuttosto disunito: la ministra alla scuola Lucia Azzolina pretenderebbe un rapidissimo rientro in presenza mentre altri membri del governo, Dario Franceschini in testa, propendono per la linea della cautela a oltranza. La sintesi non c’è. Meglio: la sintesi è una sbiadita mediazione che per ora dal Consiglio dei Ministri dà il via libera in presenza al 50% per le scuole secondarie di secondo grado dal prossimo lunedì 11 gennaio mentre per le scuole primarie e secondarie di primo grado fissa la ripresa dal 7 gennaio in presenza. Peccato che intanto le Regioni vadano ognuna per conto suo con la Liguria che annuncia che non aprirà, la Sardegna che posticipa al 15 gennaio, il Veneto che rimanda al 31 come Calabria, Friuli Venezia Giulia e Marche, tutte in ordine sparso. La sensazione diffusa è che il molto probabile aumento dei contagi nei prossimi giorni cambierà di nuovo le carte in tavola.

«Le Regioni riflettano bene sulle conseguenze per studenti e famiglie», avverte Azzolina ma che il peso della ministra sia debole all’interno dell’esecutivo è molto più di una sensazione.
Poi ci sarebbe anche il pensiero degli studenti, raccolto da un’indagine Ipsos per Save The Children tra ragazzi dai 14 a 18 anni che racconta di come il 42% di loro ritenga ingiusto che agli adulti sia permesso di andare al lavoro mentre loro non possono frequentare la scuola. Il 46% considera quello trascorso finora “un anno sprecato”. Save the Children stima che almeno 34mila studenti delle superiori, a causa delle assenze prolungate, potrebbero trovarsi a rischio di abbandono scolastico. Il 28% degli studenti dichiara che almeno un loro compagno di classe ha smesso di frequentare le lezioni. Ad oggi, più di uno studente su tre (35%) si sente meno preparato di quando andava a scuola in presenza.

Poi si potrebbe parlare dei trasporti che ancora mancano, del tracciamento e dei presidi sanitari e dei tamponi che avrebbero garantito sicurezza e soprattutto di un sistema di ventilazione nelle aule che avrebbe potuto garantire più sicurezza. Ma di visoni strutturate e lunghe sulla scuola non se ne vede l’ombra. Intanto il personale scolastico si arrabatta e resiste, in attesa della prossima decisione poche ore prima di aprire i cancelli.

L’articolo Ritorno a scuola, è caos totale: il governo litiga e ogni regione fa come gli pare… proviene da Il Riformista.

Fonte

Maltempo? No, si chiamano cambiamenti climatici: così in Italia muoiono bambini e sprofondano città

In Liguria ci sono state città attraversate da fiumi d’acqua. Verona è stata martoriata. Su Milano circolano le foto degli alberi caduti per il forte maltempo, una RSA è stata scoperchiata, il tetto è volato via come uno straccio e tutti gli ospiti sono stati trasferiti d’urgenza. Nel cremonese la grandine ha devastato il territorio e si sta facendo ancora la conta dei danni. Moltissime le strade bloccate. E poi la notizia di ieri di due sorelle morte per un pioppo alto quattro metri sradicato dal fortissimo vento che le ha schiacciate mentre dormivano nella loro tenda, una tromba d’aria atipica l’hanno definita gli esperti, a Marina di Massa.

Sembrano incidenti, scherzi della natura e del destino, finiscono nelle discussione e nella cronaca come se fossero sfortunati episodi eppure i numeri dicono altro, lo dicono da tempo e lo dicono in modo chiarissimo: gli eventi meteorologici estremi nel 1999 in Italia sono stati in tutto 17, nel 2019 abbiamo avuto 1668 casi (fonte l’European Severe Weather Database) e probabilmente questo 2020 segnerà un altro record. Continuare a credere (e raccontare) che ciò che accade sia frutto di casualità senza vederne invece la sistematicità causata dal cambiamento climatico è l’atteggiamento più vigliacco e pericoloso.

Un’inchiesta dello European Data Journalism Network diffusa da stopglobalwarming.eu racconta che l’Italia potrebbe perdere qualcosa come 1.030,5 chilometri di spiagge nei prossimi 80 anni. Spiegato semplice: se si continua così da qui al 2100 una spiaggia su tre non esisterà più, non ci sarà la spiaggia di San Teodoro in Sardegna e nemmeno quella di Lignano Sabbiadoro nella laguna di Venezia, nella zona di Rimini le spiagge arretrerebbero di almeno 40 metri, solo per far qualche esempio.

Eppure un sondaggio realizzato da Ipsos qualche settimana fa dice che il 72% degli italiani è convinto che il cambiamento climatico sia addirittura un problema più serio della pandemia e l’80% ritiene che il governo dovrebbe ripartire proprio da qui anche per rilanciare l’economia della Paese. Otto italiani su dieci sono convinti che il cambiamento climatico sia dovuto alle attività umane e che si prospetti un disastro ambientale se non ci sarà un cambiamento di abitudini. Bisognerebbe avere il coraggio di dire che no, che non si tratta di sfortuna, che non serve più la solidarietà dopo una tromba d’aria e un acquazzone: ci sono responsabilità precise, nomi e cognomi, comportamenti che valgono come soluzioni e decisioni che devono essere messi in cima all’agenda. Intervenire in tempo è impegnativo ma non provarci sarebbe un suicidio.

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