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vincenzo de luca

Salvini contro i vaccini ai detenuti in Campania e Lazio, ma dimentica che va così anche nelle Regioni leghiste

Ogni giorno Matteo Salvini si sveglia e, dopo essersi fatto una bella foto moscia con Nutella o cibarie varie da spiattellare sui social, decide di sputare contro qualcuno. Capitan Vigliacco ha una predilezione per i deboli, per gli invisibili, per quelli che viene facile mettere nel sacchetto dell’umido delle priorità: lui è fatto così, debole con i forti ma fortissimo con i debolissimi, come nella migliore tradizione di quelli che simulano il pugno di ferro ma poi sono pronti a stringere mani piuttosto losche, se torna utile per il loro tornaconto personale.

Nel mattino di oggi, lunedì 12 aprile 2021, Salvini ha deciso di usare i detenuti come roncola per attaccare Nicola Zingaretti e Vincenzo De Luca (e quindi di sponda il Pd, con cui tra l’altro sta governando) e si è tuffato con la bava alla bocca a twittare: “Lazio e Campania vogliono vaccinare i detenuti prima di anziani e persone disabili. Roba da matti”.

Non perdete troppo tempo a cercare un qualsiasi spessore politico in questa critica, che sembra una frase sputazzata di spritz al bar. “Roba da matti”, “buon senso” o “padre di famiglia” sono i concetti elementari su cui Salvini si basa per esprimere qualsiasi concetto, la banalità è il suo marchio di fabbrica e ogni sua osservazione non punta a niente di più nobile degli sfinteri.

Però, nelle poche miserabili parole di quel tweet, c’è tutto il salvinismo nel suo splendore.

Il ritenere “gli altri” (come sono i carcerati oppure i neri oppure i gay oppure qualsiasi altro tipo che non rientri nel prototipo dell’omaccione italico medio) una categoria che non si deve mai permettere di avere nessuna esigenza, nessuna.

Lo scambiare l’autorevolezza per il tintinnare di manette che Salvini continua a fare annusare ai suoi sostenitori, nonostante diventi poi una pecora se a compiere i reati è qualche colletto bianco.

Il ritenere le carceri il percolato della società in cui rinchiudere tutti i problemi illudendosi (e illudendo) di risolverli.

In più, il prode Salvini, riesce anche a rimediare una delle sue proverbiali figure di palta che costellano la sua misera traiettoria politica, poiché in Lombardia e Veneto (Regioni che stanno al guinzaglio del leader leghista) le vaccinazioni in carcere sono già iniziate da un bel po’, con la differenza che in Lombardia intanto si dimenticano gli anziani.

E, a proposito di condannati (che lui chiamerebbe “criminali”), sarebbe da chiedere a Salvini allora cosa ne pensi del suo quasi suocero Denis Verdini, che proprio per un focolaio di Covid a Rebibbia a gennaio (90 contagi in pochi giorni tra i detenuti) è stato (giustamente) scarcerato. Ma non dirà niente, vedrete, niente.

Leggi anche: Diceva “prima gli italiani” ma ha preferito “prima la famiglia”: sindaco arrestato per migliaia di mascherine sottratte alle Rsa (di Giulio Cavalli)

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Ieri sera a Napoli, lo Stato dov’era?

Tanto tuonò che piovve. Metteteci dentro i toni non certo concilianti di un presidente di Regione come Vincenzo De Luca, sempre troppo abituato a gigioneggiare sfidando tutto e tutti, metteteci dentro lo scontro sociale che covava da mesi, aggiungeteci la paura e infine condite tutto con le solite frange di estrema destra, dei gruppi ultras e di criminalità organizzata che da sempre sfruttano la disperazione e la violenza per ottenere un po’ di consenso e eccoci alle vie di Napoli di ieri sera dove la protesta contro il lockdown annunciato dal presidente della Regione è sfociata in una deriva criminale che appare troppo bene organizzata per essere considerata semplicemente l’espressione dell’esasperazione.

Che la pandemia sia nata come semplice problema sanitario, poi problema sanitario e economico e che infine sarebbe sfociata in un problema sanitario, economico e di ordine pubblico era facilmente prevedibile: già nel pomeriggio di ieri Roberto Fiore, pregiudicato leader di Forza Nuova, aveva annusato l’aria e aveva capito di potersi travestire da malcontento per menare un po’ le mani, annunciando la discesa in piazza del suo partito “al fianco degli esercenti napoletani”. Che poi di “esercenti napoletani” ce ne fossero pochissimi e che il nucleo della protesta fosse il frutto di un’organizzazione che solo i clan e i gruppi ultrà possono redigere in modo così strutturato non è cosa da poco.

L’organizzazione della protesta è avvenuta nel pomeriggio attraverso i canali Telegram che da giorni organizzavano assedi e aggressioni: che la cosa sia sfuggita alle Forze dell’Ordine e non a certi giornalisti pone anche degli inquietanti interrogativi sulle capacità dello Stato di prevenire la violenza. Le immagini di ieri ci raccontano di poliziotti assolutamente impreparati a contenere quell’onda d’urto.

Spostare tutto sulla violenza e banalizzare il malcontento però è un esercizio pericoloso, soprattutto in vista di scelte ancora più stringenti sul territorio nazionale: non è possibile pensare alle chiusure totali senza immaginare un welfare con degli ammortizzatori sociali che accompagnino le decisioni. Forse sarebbe il caso che i politici lancino meno strali e spieghino, passo per passo al giusto tempo, quali siano anche le forze messe in campo per garantire che gli eventuali lockdown non diventino sinonimo di fame e fallimento. Se preservare la salute pubblica costa (eccome se costa) lo Stato se ne deve fare carico. Altrimenti l’assist ai violenti che aspettano l’occasione è subito servito.

L’INCHIESTA DI TPI SUI TAMPONI FALSI IN CAMPANIA: Esclusivo TPI: “Che me ne fotte, io gli facevo il tampone già usato e gli dicevo… è negativo guagliò”. La truffa dei test falsi che ha fatto circolare migliaia di positivi in Campania

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De Luca vi fa ridere? La sua violenza verbale fa male alla sinistra ed è un regalo a Salvini

Sì, fa un sacco ridere Vincenzo De Luca e tutta la rete è inondata dei suoi video che ormai funzionano come passatempo e sfogatoio. Quello in cui definisce più volte “Neanderthal” Salvini e lo apostrofa con “ha la faccia come il suo fondo schiena per altro usurato” ha fatto il giro del mondo. Bravo De Luca: ottimi tempi teatrali, ottima mimica del disgusto, ottima finzione di non essere volgare pur riuscendo a essere volgare e tutta quella posa da attore consumato di chi sa benissimo che la sua conferenza stampa è il cartoccio in cui infilarci quel minuto buono per essere ritagliato e diventare terribilmente popolare.

Dall’altra parte quell’altro, Salvini, ovviamente si butta nel fango e risponde colpo su colpo, la guerra di bassezze è il suo habitat naturale, l’ha reinventato lui in questi ultimi anni di social come ring e quindi non serve nemmeno citare il fatto che l’ex ministro dell’interno contrapponendo i “napoletani” agli “italiani” e a suo seguito Giorgia Meloni che risponde con un agguerittisimo “vispa Teresa” ai danni di De Luca. Sì, fa un sacco ridere da fuori vedere questi leader che si comportano come la gente della strada (che è la formula magica con cui in questi anni si giustifica la merda verbale che siamo costretti a sopportare) ma se gratti sotto sotto ai siparietti di De Luca, se gli togli i suoi “cinghialoni” e i “lanciafiamme” che vorrebbe usare per difendersi dal virus (con le solite iperboli guerresche di matrice trumpiana che solleticano meravigliosamente gli intestini degli incazzati), scopri che al di là della simpatia manca la politica.

Che manchi la politica, pensandoci bene, è anche uno degli aspetti secondari: intossicare e abbassare il livello di ecologia lessicale significa soprattutto costruire l’ambiente perfetto perché certa politica continui a essere così bassa, così fetida, così vuota da continuare a allevare tutto il veleno che continua a colarci addosso. De Luca è il prototipo perfetto di nemico di Salvini perché Salvini continui a esistere e prosperare e soprattutto perché il salvinismo possa trovare sfogo in tutte le sue diverse declinazioni (più forbito quello di De Luca, più crasso quello di Matteo) annullando di fatto il dibattito leale e pulito che dovrebbe concorrere a migliorare la vita dei cittadini, al di là degli slogan. E quindi un bravo a De Luca, lanciato nella sua seconda carriera di influencer. Chissà se si rende conto di quanto costino in termini di vivibilità del dibattito politico le sue bravate lessicali.

Leggi anche: 1. Calenda a TPI: “Gli Stati Generali sono inutili. Il piano Colao era buono, il governo l’ha svalutato senza motivo” (di Luca Telese) / 2. Mancata zona rossa, Crisanti sarà il super consulente della procura di Bergamo: “Ora voglio scoprire la verità” (di Francesca Nava e Veronica Di Benedetto Montaccini) / 3. Esclusivo TPI: Fontana e Gallera in centro a Roma senza mascherina. “Cancellate quelle foto” (di Selvaggia Lucarelli)

4. Nelle acque di scarico di Milano e Torino c’erano già tracce del Coronavirus a dicembre 2019: lo studio dell’Iss / 5.  I pronto soccorso in Sicilia? Da oggi li gestisce la Lombardia. Alla faccia del flop sul Covid / 6. Esclusivo: per un vuoto normativo il Governo ha “regalato” 1.800 euro di bonus ad arbitri volontari non professionisti

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«De Luca parla come un camorrista»

“De Luca parla come un camorrista: credo che il suo partito si sarebbe dovuto interrogare tempo fa sulle discutibili qualità umane e gli eccessi verbali di questo personaggio”: lo dice in un’intervista pubblicata su Il Dubbio Claudio Fava, vicepresidente della Commissione Antimafia e attento osservatore dei linguaggi e dei modi mafiosi. E aggiunge: «sarebbe pericoloso derubricare il tutto come semplice ironia».

E nelle osservazioni di Fava ci sta tutta l’indignazione che manca e che oggi risulta sempre più fuorviata: ci si inalbera per un tweet di un anonimo commentatore (la vicenda di Beatrice Di Maio che doveva essere Spectre e invece è la moglie di Brunetta la dice lunga) e si lascia passare il comportamento lessicalmente paramafioso di un presidente di regione. Anzi, peggio, lo si premia poco dopo con una furbata (ne ho scritto qui) che lo rimette in sella per il controllo della sanità nella sua regione.

De Luca è quello che intercettato disse “a quello gli scipperei la testa”, è quello che elogia le clientele, lo stesso che disse della Bindi “infame” e “da uccidere”. Chi difende De Luca (o ne sminuisce le colpe culturali) è in concorso esterno al favoreggiamento culturale alla mafia. Piaccia o non piaccia. E va detto, va scritto, dappertutto.

Vincenzo De Luca: il Governo prigioniero di un Ras

La furbata è servita. Il presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca potrà diventare commissario della Sanità della sua regione. Ma per fare passare questa norma senza provocare troppe polemiche, si è trovato un escamotage. Il commissario della Sanità sarà infatti soggetto a verifiche ogni sei mesi: insomma, una specie di tagliando. È questo il contenuto del testo riformulato dell’emendamento alla manovra presentato in commissione Bilancio alla Camera, accantonato martedì in seguito a numerose critiche. Emendamento che è stato approvato con 18 voti favorevoli e 12 contrari, con l’assenza di Forza Italia.

La formula è quella di consentire al presidente della Regione di diventare commissario della propria sanità regionale ma a patto che ogni sei mesi si verifichi che il suo operato sia conforme ai piani di rientro e che la performance sui livelli essenziali di assistenza sia positiva.

Il testo precisa che “i tavoli tecnici, con cadenza semestrale, in occasione delle periodiche riunioni di verifica, producono una relazione ai ministri della Salute e dell’Economia e delle finanze, da trasmettersi al Consiglio dei ministri, con particolare riferimento al monitoraggio dell’equilibrio di bilancio e dell’erogazione dei livelli essenziali di assistenza”.

Molto critica con l’emendamento, la grillina Silvia Giordano, che intervenendo in commissione Bilancio alla Camera ha detto: “Questa è una marchetta bella e buona perché i voti di De Luca vi fanno di un comodo impressionante, abbiate l’onestà di ammettere che volete solo i suoi voti”. C’è poi la Lega Nord che ha minacciato, per voce di Barbara Saltamartini, di occupare la sala del Mappamondo, dove si sono svolti i lavori.

Il cosiddetto emendamento De Luca ha fatto infuriare le opposizioni perché in questo si è visto un favore politico del governo al presidente della Regione Campania in cambio di un appoggio robusto al Sì in vista del referendum del prossimo 4 dicembre. Proprio nel Sud infatti il Sì risulta in difficoltà.

Di fatti, dopo una battaglia in commissione, e dopo che il ministro Beatrice Lorenzin aveva espresso parere contrario, l’ordine è stato diramato da palazzo Chigi: forzate, fatelo passare. L’ordine dei lavori ha poi previsto una discussione serale, dopo i tg, quando i riflettori sono spenti. Basta un sì, insomma, a Roma sull’emendamento, in Campania nelle urne.

E i pezzi da novanta piombano, per l’ultimo miglio, nel feudo del governatore. Giovedì Luca Lotti è a Salerno mentre il ministro del lavoro Giuliano Poletti si confronterà con Stefano Caldoro a Napoli. A Napoli invece arriva sabato il fiore dei sindaci di fede renziana: Dario Nardella, Matteo Ricci, Giorgio Giuseppe Falcomatà e Antonio Decaro, il sindaco di Bari diventato presidente dell’Anci proprio per rastrellare voti al Sud. Il Mattino parla anche di un’altra tappa di Matteo Renzi, di qui al 4 dicembre, sempre nella Campania di De Luca.

(fonte, Huffington Post)

Vincenzo De Luca, lo sceriffo d’argilla

(di Stefano Tamburini per la Città di Salerno, qui)

Là dove c’era il mare a un certo punto si son messi a scavare facendo finta di non sapere che avrebbero fatto un buco nell’acqua e, soprattutto, nelle casse pubbliche salernitane. Acqua torbida, dunque, come uno dei tanti appalti maleodoranti sul piano etico ancor prima che su quello giudiziario.
Anche se i più non lo vedono o fanno finta di non vederlo, c’è infatti qualcosa di peggio del processo che il Capo dei Capi e altre 25 persone dovranno affrontare con l’accusa di falso in atto pubblico.

I soldi di tutti e le mance per gli amici
Giorno dopo giorno, settimana dopo settimana si delinea sempre più chiaro (e non tanto limpido, per la verità) il sistema di potere che da queste parti da anni alimenta se stesso. Una vera e propria macchina del consenso armata di disinformatja e fumi dissuasori e illusori. Basta far capire che chi è dalla parte giusta ha da guadagnare e che gli altri si arrangino…
Ed è il processo al quale ogni giorno andrebbero sottoposte le coscienze di chi ha sacrificato e sta sacrificando fior di milioni (nostri, di tutti) per realizzare un ecomostro con annessa rotonda sul mare funzionale al benessere di quei pochi privati che riusciranno a tener fede, solo loro, al motto propagandistico deluchiano: «Arricchitevi!». Anche la famosa tribù degli adoranti prima o poi dovrà rispondere alla ragione con la ragione e alle argomentazioni con le argomentazioni. Dovrà pur rendersi conto che per il monumento del Capo sono andati in fumo 40 milioni di euro e alla fine, se tutto andrà bene, ce ne vorranno altri venti. E per cosa? Se non per soddisfare l’ego smisurato di Vincenzo De Luca, prima da sindaco e ora da presidente della Regione, pronto a muovere i fili come un puparo su un secondo cittadino ridotto a ventriloquo.
Al di là di come potrà finire questa vicenda giudiziaria, a preoccupare è il sottobosco di commistioni fra imprenditori e politica che fa emergere una melassa informe all’aroma di zolfo. Molti sorridono sulla figura, per certi versi anche un po’ patetica, dell’anziano ex sindaco che gira per strada a far lo sceriffo o per cantieri a recitar da capomastro. Ci scherza anche lui, ma finisce per confessare la propria indole di uomo che non si fida della propria ombra, che cambia in continuazione le pedine del cerchio magico perché alla fine basta il tinello con gli adorati pargoli ai quali trasmettere il segno del comando.
Proprio questa indole rischia di inguaiarlo, nel processo penale per falso in atto pubblico, quello di una variante che altro non è che un’aggiunta di soldi – tanti, troppi – per l’impresa che deve fare quei lavori. Aggiunta motivata dal fatto che all’improvviso ci si era accorti che, sul mare, si potevano trovare infiltrazioni d’acqua. Insomma, neanche lo sforzo di mettere a punto una scusa che potesse reggere.
Quei costi per la Procura sono «artatamente sovrastimati» e fanno parte di un intreccio di strane manovre. Che poi, in inchieste collaterali, si intersecano a loro volta con altre brutte storie. Una fra le tante è quella del titolare dell’impresa che ha beneficiato dei soldi extra e che viene sorpreso a ideare modalità per truccare le primarie del Pd (il Partito deluchiano) in favore del braccio destro di De Luca, l’attuale vice presidente della Regione, Fulvio Bonavitacola. Il magistrato che indaga su questa storiaccia, peraltro, recentemente solo per un caso non è finito allo stesso tavolo di un’iniziativa referendaria con uno dei figli del Capo, Piero , da tempo investito della figura di leaderino del fronte del Sì. Leaderino al quale piace vincere facile perché, unico in Italia, viene portato in giro di fronte a platee preconfezionate e composte solo da adoranti. Mai un confronto con i rivali, non sia che si possa andare incontro a qualche brutta figura. Perché il disegno è quello di raccattar più voti possibile e utilizzarli al bazar delle candidature blindate alle Politiche.

Salerno? No, ormai è Città del Capo (dei capi)
A questo punto manca solo l’ultimo atto: il cambio di nome, da Salerno a Città del Capo (dei capi). L’assolutismo, in questa fase dell’anno XXIII dell’era di Vincenzo De Luca, sta volgendo ormai verso il delirio di onnipotenza: all’interno del Palazzo e anche fuori, al motto di “non avrete altro Capo all’infuori di me”
È davvero difficile star dietro a questa melassa dove peraltro la platea è accecata dai soldi a pioggia distribuiti a mo’ di mancia per la propaganda: gli Abbagli d’artista. E per le voci contrarie ci sono sempre quelli della disinformatja e il silenzio recitato del Consiglio comunale. L’organo sovrano della democrazia cittadina da tempo è ridotto a un’inutile palestra del niente, convocato appena due volte in cinque mesi per discutere di fuffa o della Sagra del già deciso. Dove il presidente dell’assemblea è in balia del Capo, messo lì per chiudere ogni pertugio di discussione, blindare gli ordini del giorno sull’aria fritta e impedire, ad esempio, di far luce sugli schiaffi che girano nelle riunioni di maggioranza. È un esecutore di ordini che duramente riprende un consigliere d’opposizione che osa chieder lumi per lettere spedite dal padre (il Capo, presidente della Regione) al figlio (Roberto, il superassessore alla Cassa del Comune) dove in sostanza c’è scritto: «Che aspetti a chiedermi quei soldi che ti voglio dare per le Luci d’artista?». Per non parlare poi dell’inutile ordine del giorno sull’emergenza Fonderie Pisano e sulla contrapposizione salute-lavoro. Emergenza figlia di una ventennale malapolitica connivente.
Un organismo così rischia di essere superfluo e dannoso, perché dà la falsa impressione che una discussione ogni tanto possa esserci e invece è il luogo dove da tempo lentamente muoiono le aspirazioni di potersi sentire cittadini e non sudditi di un assolutismo che tende all’onnipotenza.

La falsa favola di Salerno città europea
Una favola fragile come un castello di sabbia, costruita su una sequenza di colossali mancate verità, un po’ festival dell’illusionismo e un po’ cabaret. È quella che da anni alimenta il falso mito di Salerno città europea. La logica del potere per il potere in qualche modo regge anche se scricchiola. Quando le crepe saranno evidenti la consapevolezza di sicuro crescerà ma potrebbe essere troppo tardi
Così, per il Capo, è anche più facile gridare alla persecuzione quando qualche magistrato osa mettere il naso negli intrecci poco limpidi tra soldi pubblici e interessi privati. Tutto questo quando dovrebbe esser chiaro che il problema è a monte, a prescindere dall’esito dei processi. Comunque vada, resta lo sperpero del danaro pubblico. Per trovare i soldi per quell’enorme mausoleo dedicato all’ego del Capo, si sono sottratti fondi ad altre necessità pubbliche e si è svenduto un gioiello di famiglia come la centrale del latte. Inoltre si è portato il drenaggio di imposte dirette (vedi tassa sui rifiuti) e indirette (ad esempio i parcheggi) a livelli tali da rendere, di fatto, il Capo dei Capi un gabelliere pronto a dar sempre a dar la colpa agli altri.
Nel frattempo, il falso mito dell’efficienza si scontra con il degrado e con migliaia di persone in coda per pochi posti di lavoro sottopagati. Una questua del precariato, l’ennesimo Disastro d’artista da tenere ben nascosto dietro allo sfavillio del falso mito di Salerno città europea, una favola fragile come un castello di sabbia. O, se preferite, come il cantiere della rotonda sul mare.

La dinastia De Luca. E i nuovi vassalli.

Basta scorrere l’elenco dei nomi della nuova giunta della città di Salerno per rendersi conto che c’è qualcosa che non torna: il neosindaco Vincenzo Napoli ha ritenuto opportuno continuare l’opera di Vincenzo De Luca (ex sindaco e oggi presidente della Regione Campania) infarcendosi di tutti i vicini dell’ex governatore. «Continuità politica» potrebbe dire qualcuno ma ciò che non torna (come anche nella classe dirigente nazionale) è che non si tratti tanto di una “squadra” di collaboratori politici che viene promossa ma banalmente di vicini.

Vicini, sì, come può essere vicino Angelo Caramanno, oggi assessore allo sport della città campana e qualche mese fa avvocato difensore dello stesso De Luca in merito all’incompatibilità del suo ruolo di viceministro nel governo Letta. “Ci siamo ispirati ai criteri della competenza e della professionalità per la creazione di una squadra che realizzerà tutti gli impegni presi con i cittadini, in continuità con il progetto di città che stiamo portando avanti” ha detto il neosindaco.

Benissimo. Allora qualcuno ci spieghi (in termini convincenti) se davvero a Salerno la delega al Bilancio e allo Sviluppo (un assessorato pesante) sia normale che venga affidata a Roberto De Luca, commercialista trentaduenne, figlio di cotanto Vincenzo.

(il mio buongiorno per Left continua qui)

Vincenzo De Luca: lo sceriffo, finito utile idiota

vincenzo-de-lucaPeggio di Ignazio Marino, Vincenzo De Luca sta riuscendo nell’impresa di agevolare il commissariamento costante di Renzi (dei governi e del suo partito): la cancellazione della classe dirigente del PD in Campania ventilata oggi dai vertici del PD è solo l’ultimo atto di una politica più tecnica dei tecnici dei tempi di Monti: commissari in ogni dove con la democrazia sospesa e, in più, i commissari sono spesso i migliori servitori del Presidente. Così l’Italia (e il PD) diventano in fretta il box dei giochi del bimbo Renzi a cui basta l’errore per potere mettere “in pausa” la democrazia. Oggi De Luca (con la frase del Presidente del Consiglio “governi se ne è capace”) comincia a sentire il tic tac che ha indolenzito Enrico Letta, Bersani, Ignazio Marino e qualche altro. La fine è già chiara, al massimo si gioca sulla durata. Doveva cambiare il mondo e invece e l’ennesimo utile idiota.

(continua qui)

Ma l’educazione?

imageHo sentito solo ora le parole di De Luca all’assemblea del PD. Ho sentito la bassezza con cui ha definito Peter Gomez nell’ordine:

“un superfluo, come lo chiamo io, un superfluo”

“un consumatore abusivo di ossigeno”

“un danno ecologico permanente”

“somaro”

Ho sentito, soprattutto, le risate unte di usa il potere come brillantina dei propri comportamenti, come se il “circolino” del PD sia il sacco dell’umido di ciò che non si deve fare davanti alle telecamere.

Non li ho visti in faccia, quelli che ridono, purtroppo. E purtroppo nessuno ce li segnalerà, sicuro, ma ho la sensazione che quelli, ad esempio, Salvini se lo meritino. Perché sognano di dire pubblicamente la grettezza che tengono solo per darsela di gomito.

 

Per De Luca la Bindi è un’infame

De Luca continua a dare il peggio di sé:

alta velocit-de luca-renzi1“Contro di me c’è stato un episodio sgradevole, quando si è dato vita ad una iniziativa che era sul piano umano volgare e diffamatoria, sul piano politico infame e sul piano costituzionale eversiva”. Lo afferma, dopo aver già criticato Bindi nei giorni scorsi, il presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca, facendo riferimento alla lista diffusa dalla presidente della commissione Antimafia, Rosy Bindi. “Ho assistito alla più violenta, infame e cinica campagna di aggressione politico-mediatica, credo che neanche Toto Riina l’abbia avuta”, aggiunge.

(fonte)