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Il senso del lavoro di Sgarbi

Vittorio Sgarbi, da sempre incapace di entrare nel merito nelle sue baldanzose e sconclusionate uscite in cui attacca gli avversari politici di turno, ha pensato bene di criticare Virginia Raggi con una bella provocazione classista delle sue, dicendo: «Secondo me prima di fare il sindaco era una cameriera nell’ufficio di avvocati e guadagnava 600 euro al mese». Essere cameriera e guadagnare 600 euro al mese evidentemente per il critico d’arte è elemento di vergogna e di inettitudine. Del resto, mica per niente, Sgarbi da sempre è l’assiduo frequentatore di immorali imprenditori. Virginia Raggi, da canto suo, ha risposto parlando della dignità dei camerieri e tutto il resto, seguita a ruota da Di Maio.

Ma c’è un aspetto interessante in tutto questo: Sgarbi ha pronunciato la sua infelice frase mentre si candidava come sindaco di Roma (e già cerca di attaccarsi ai pantaloni di Calenda) e praticamente in contemporanea ha annunciato la sua candidatura in Calabria. Del resto che Sgarbi sia terrorizzato dall’idea di dover lavorare senza politica lo racconta benissimo la sua storia politica che Fondazione Critica Liberale ha messo tutta in fila e che letta tutta d’un fiato fa parecchio spavento:

«1) Unione monarchica italiana; 2) Partito comunista italiano, accettando la proposta di candidarsi al consiglio comunale di Pesaro, nel 1990, candidatura poi fallita per avere contemporaneamente accettato anche la proposta di candidato per il Psi; 3) Partito socialista italiano, per il quale è stato eletto nel 1990 consigliere comunale a San Severino Marche; 4) Dc-Msi, alleanza con la quale è stato eletto sindaco di San Severino Marche nel 1992; 5) Partito liberale italiano, per il quale è stato deputato nel 1992; 6) Forza Italia, con la quale è stato eletto deputato nel 1994, nel 1996, nel 2001 e 2018; 7) Partito federalista, che ha fondato nel 1995 e poi lasciato per aderire alla 8) Lista Pannella-Sgarbi; 9) “I Liberal – Sgarbi”, movimento da lui fondato nel 1999; 10) Polo laico, movimento effimero esistito nel 2000 per garantire una rappresentanza alle elezioni dell’anno successivo ai Liberali e ai Radicali Italiani; 11) Lista consumatori, con la quale si è candidato, per le Politiche del 2006, senza essere eletto; 12) Udc-Dc, alleanza con la quale è stato eletto sindaco di Salemi nel 2008; 13) Movimento per le autonomie con il quale è stato candidato alle elezioni europee del 2009 nel cartello elettorale L’Autonomia nella Circoscrizione Isole; 14) Rete Liberal Sgarbi-Riformisti e Liberali nelle elezioni regionali 2010 del Lazio; 15) Partito della Rivoluzione-Laboratorio Sgarbi, movimento politico fondato dallo stesso Sgarbi ufficialmente il 14 luglio 2012; 16) Intesa popolare, partito fondato nel 2013 assieme a Giampiero Catone; 17) i Verdi, in occasione delle elezioni comunali a Urbino del 2014, hanno sostenuto la sua iniziale candidatura a sindaco e poi la proposta al sindaco eletto di nominarlo assessore alla Cultura del Comune di Urbino, a seguito dell’alleanza tra i Verdi e la coalizione di Centrodestra, guidata da Maurizio Gambini; 18) Rinascimento, partito da lui fondato con Giulio Tremonti nel 2017 con il quale inizialmente si candida come governatore alle Regionali in Sicilia; in seguito appoggerà la candidatura di Nello Musumeci per la coalizione di centrodestra, che risulterà eletto. In vista delle elezioni politiche del 2018 il partito si federa con Forza Italia; 19) Alleanza di centro, il 12 dicembre 2019, nel gruppo misto della Camera, sei giorni dopo che Sgarbi ha lasciato il gruppo di Forza Italia, si costituisce la componente “Noi con l’Italia – Usei – Alleanza di Centro”, poi divenuta, il successivo 18 dicembre, “Noi con l’Italia – Usei – Cambiamo! – Alleanza di Centro”».

Eccolo il senso del lavoro per Sgarbi: navigare da un partito all’altro in cerca di un ruolo pubblico. Poi si potrebbe ricordare la condanna in via definitiva a 6 mesi e 10 giorni per truffa aggravata e continuata e falso ai danni dello Stato, per produzione di documenti falsi e assenteismo nel periodo 1989-1990, mentre era dipendente del ministero dei Beni culturali.

Poi, oltre a quello che fa, c’è quello che dice e come lo dice. Ma qui si cadrebbe in un dirupo, sarebbe troppo, anche per un buongiorno.

Buon giovedì.

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“No al Sala bis”: il M5S Lombardo chiude le porte alla ricandidatura del sindaco di Milano

Il sindaco di Milano Beppe Sala annuncia la sua candidatura per il secondo mandato alla guida del Comune di Milano ma dal Movimento 5 Stelle in Regione Lombardia arriva subito una netta e decisa presa di distanze. TPI.it ha intervistato Dario Violi, consigliere regionale del M5S e candidato presidente nel 2018.

Violi, Beppe Sala annuncia la sua candidatura…
“Ah. Quindi alla fine non ha trovato niente di meglio?” (Sorride)
In che senso?
“È un’evidenza dei fatti: Sala ha preso tempo solo perché gli andava stretta la sua candidatura a sindaco. Qui a Milano lo sanno tutti.”.
E voi come Movimento 5 Stelle cosa ne pensate della sua ricandidatura?
“A noi cambia davvero ben poco. I gruppi locali stanno lavorando da mesi a un programma con tanti punti importanti, per una città che sia più verde e molto diversa da quella che ha in testa Sala. I gruppi locali lavoreranno sicuramente in quella direzione”

Però al governo nazionale siete con il Partito Democratico, perché non dovrebbe ripetersi quello stesso paradigma anche su una città importante come Milano?
“Io sono autonomista nell’anima, soprattutto in queste cose. Va rispettato il territorio e le decisioni che prendono i gruppi del territorio. Con Sala abbiamo discusso politicamente e in modo acceso per l’opera di cementificazione che ha in mente in zona Porta Romana, sarebbe incoerente: lo contestiamo fino a un giorno prima e poi ci andiamo insieme? E poi anche se coì fosse la scelta deve essere dei territori e non deve essere una scelta di comodo e di Palazzo che arriva da Roma”.
Quindi voi avete un giudizio negativo sull’operato di Sala come sindaco?
“Questo andrebbe chiesto ai consiglieri comunali, io direi molto negativo. Le nostre sensibilità su ambiente, sviluppo sostenibile, mobilità sono molto distanti”.

Calenda e Richetti hanno fatto gli auguri a Sala chiedendo al PD di non allearsi con voi. Che ne pensa?
“Quelli dello zero virgola devono parlare male del Movimento 5 Stelle per esistere. Se dicessero “in bocca al lupo a Sala” e basta non se li filerebbe nessuno”.
Quindi nessuna possibilità nemmeno di trattativa con il Partito Democratico?
“Per me è un tema di territorio e non un tema di persone e di partiti. Per me e per tanti di noi. Noi non “trattiamo” con nessuno ma al massimo valutiamo la condivisione dei programmi. Sala l’abbiamo contrastato per 5 anni. La vedo dura. Anche se non sono mai stato uno che dice di no a prescindere”.
E se da Roma vi chiedessero di farlo per la tenuta del governo?
“Sarebbe ridicolo che un governo dipenda da un’alleanza in un comune, anche se importante come Milano. Quel governo non avrebbe senso di esistere”.
A proposito, e gli accordi per le elezioni su Roma?
“Noi andiamo avanti con Virginia Raggi. A quanto pare il PD non vuole. Quegli altri (Calenda e soci) vogliono che vadano con loro. Per noi Virginia Raggi ha lavorato bene in una città in cui si fa molta fatica e con molti interessi anche esterni. Noi abbiamo cercato di portare la città e i suoi conti sulla buona strada”.

Leggi anche: 1. Beppe Sala a TPI: “Se tornassi indietro, parlerei di meno. Non so se mi ricandido a sindaco di Milano” / 2. Esclusivo TPI – Beppe Sala risponde alla lettera del M5S: “Dialoghiamo per la Milano del futuro” / 3. Esclusivo TPI – Milano, la lettera del M5S a Sala: “Confrontiamoci sui programmi contro le destre”

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Fontana vuole che tutta Italia paghi la zona rossa in Lombardia con un lockdown

Fontana vuole che tutta Italia paghi la zona rossa in Lombardia con un lockdown

Ma esattamente cosa vuole Attilio Fontana? Qualcuno dovrebbe spiegarcelo. L’ideale sarebbe che ce lo spiegasse lui, ma forse è chiedere troppo a qualcuno che ancora ci deve spiegazioni sulle mancate chiusure in Val Seriana, sull’accordo tra Fondazione San Matteo e Diasorin per i test sierologici e il conseguente divieto imposto a tutti i sindaci del territorio, sui vaccini antinfluenzali ordinati poco e male, sui camici acquistati e poi regalati, sulle cose non fatte finora e su tutto il resto.

Eppure Fontana che si schianta contro il governo nazionale perché la sua Regione è infilata fino al collo nella seconda ondata e si lamenta per un lockdown che viene richiesto praticamente da tutta la comunità scientifica è qualcosa che sfocia nell’insondabile, nel magico. Si tratta del presidente di quella stessa Regione che ha ormai perso qualsiasi possibilità di tracciamento, qui dove – come già a marzo – accade che si aspetti un tampone che non arriva mai, qui dove ormai sono saltati anche i tamponi a rapporti stretti di chi è risultato positivo al virus, qui dove anche gli ospedali ormai sono in situazione critiche e lavorano in situazioni critiche, qui dove le RSA sono ancora sotto assedio anche alla seconda ondata.

Esattamente Fontana che vuole? Vorrebbe tenere aperto? No, pare di no, oppure non ha il coraggio di dirlo chiaramente. Vorrebbe, questo l’ha detto bene, che chiudessero anche gli altri. E perché? Anche questo non si capisce, è di difficile comprensione. E perché Fontana non risponde a tutti gli errori commessi fin qui? Perché non ci spiega come abbia potuto accadere che siano state pubblicate solo da pochi giorni le gare per assumere medici e infermieri che mancano? Perché non ci spiega come mai sia saltata la medicina di base che avrebbe dovuto essere il primo argine contro il virus? Perché non ci dice e non ci risponde sulla disastrosa situazione dei mezzi pubblici?

“È un dato di fatto. Ma ciò non toglie che per la Lombardia, dati alla mano, il lockdown deciso ieri dal premier Giuseppe Conte e dal ministro Roberto Speranza sia necessario. Il problema semmai è che è in ritardo di due settimane”, dice oggi il dirigente dell’Ats Milano Vittorio Demicheli. Fontana era lo stesso che si lamentava con Conte perché non chiudeva. E ora? Cosa è cambiato? Scorrete le sue dichiarazioni e vi accorgerete che il presidente della Lombardia ha un solo interesse: andare contro il governo nazionale. Solo quello. Solo propaganda.

Leggi anche: 1. Il Covid e lo spaventoso aumento dei casi di usura: quel dramma nascosto di cui nessuno parla / 2. Dpcm, ecco la suddivisione delle Regioni in zona rossa, arancione e gialla / 3. Nuovo Dpcm, Conte: “Il virus corre forte, dobbiamo intervenire. Italia divisa in tre aree di rischio, regole in vigore da venerdì”

4. Covid, la sindaca di Roma Virginia Raggi: “Sono positiva ma non ho sintomi” / 5. Covid, zone rosse, arancioni e gialle: cosa si può fare dopo il nuovo Dpcm / 6. Covid, una nuova variante del virus è responsabile della seconda ondata europea: “Partita dalla Spagna in estate”

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Tutti a litigare su Virginia Raggi, ma nessun partito ha delle proposte serie per risollevare Roma

Mi piacerebbe avere la metà dell’autostima di Virginia Raggi e anche solo uno spicchio di incoscienza del Movimento 5 Stelle. La prima decide di ricandidarsi a sindaco (legittimamente, sia chiaro) fingendo di non sapere l’aria che tira sulla capitale (e quello che dicono i sondaggi, praticamente tutti) e si prepara a una campagna elettorale che sarà “merda e sangue” come nella peggiore tradizione politica italiana.

Devo ammettere che ne ammiro il coraggio: o Virginia Raggi sa qualcosa dei suoi anni di amministrazione che noi ancora non sappiamo, per evidenti problemi di distrazione e di comunicazione, e quindi ha intenzione di ribaltare tutto durante la campagna elettorale oppure (e potrebbe essere) anche la Raggi, come molti di noi, sta notando compiaciuta l’inerzia con cui tutti i suoi avversari politici (non) stanno affrontando la questione romana, tutti concentrati a prendersi gioco della Raggi piuttosto che raccontarci come hanno intenzione di risolvere i problemi della città.

Poi c’è il Movimento 5 Stelle che con molta fluidità decide di soprassedere alla regola del doppio mandato (quella stessa regola per cui la Raggi non potrebbe nemmeno candidarsi) aprendo così le porte a tutti i parlamentari terrorizzati dal non potersi ricandidare alle prossime elezioni. Perché in fondo la candidatura della Raggi è il sintomo di una battaglia interna nel Movimento che si gioca con chi da una parte confida nell’allargamento delle regole (detta semplice semplice: tutti quelli che si ritrovano al secondo mandato in Parlamento) e quelli invece che si ritrovano al loro primo mandato e sperano, proprio in base alle regole interne del Movimento, di trovarsi la strada libera per le prossime elezioni.

Poi ci sono gli altri, tutti gli altri. E anche qui il quadro è confuso. Il Partito Democratico (o meglio, quella parte del Partito Democratico che confida in un accordo nazionale con il Movimento 5 Stelle che sopravviva a questa esperienza di governo) si ritrova spiazziato. Qualcuno bisbiglia che potrebbe candidare un candidato debole (sai che novità) e sarebbe il suicidio perfetto. Dalle parti del centrodestra qualcuno (soprattutto i leghisti) confida ancora di potersi liberare della Meloni con le elezioni cittadine (non accadrà) mentre Fratelli d’Italia ha intenzione di imporre la propria guida, che vorrebbe proporre anche a livello nazionale, partendo dalla capitale.

Insomma, tutti a parlare di Virginia Raggi ma intorno non sembra che i suoi avversari siano così pronti. E in tutto questo spariscono le esigenze di una città che fatica a rialzarsi e ancora una volta si perde l’occasione di sapere come la vedrebbero quegli altri, Roma, cosa vorrebbero farne, quali sono le soluzione che hanno intenzione di proporre.

Leggi anche: Il problema non sono i furbetti dei 600 euro, ma i leader che li hanno portati in Parlamento 

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Uno vale uno ma congresso lo stesso

Ma chi dovrebbe volere un congresso, la scelta di un capo in un partito in cui gli unici capi avrebbero dovuto essere gli elettori e in cui semplicemente serviva un garante per il rispetto del regolamento interno? A proposito di regolamento interno: perché Di Maio avrebbe dato il via libera all’abolizione della regola dei 2 mandati (in particolare alle sindache Virginia Raggi e Chiara Appendino), in quale veste. E poi: chi c’è dietro l’estromissione di Casaleggio dagli ultimi movimenti interni al Movimento 5 Stelle? Oltre al non invito agli stati generali dell’economia a Casaleggio ormai ben pochi parlamentari versano i 300 euro mensili per l’Associazione Rousseau. A proposito di soldi: che fine hanno fatto i tagli agli stipendi degli eletti (fatevi un giro sul sito tirendiconto.it per verificare con i vostri occhi) e i famosi mega assegni che Beppe Grillo mostrava (giustamente) soddisfatto con tutte le restituzioni?

E poi: Beppe Grillo? Del Movimento 5 Stelle (a parte quelli comodamente seduti al governo) si sente solo la voce di ritorno di Alessandro Di Battista che ora torna alla carica per riprendersi in mano il Movimento (con posizioni completamente opposte ai suoi compagni di partito sul Mes che “non rispetterebbe gli interessi nazionali”, detto come un Salvini qualunque, e contro Conte che se vuole fare il leader “deve iscriversi al M5S”, come se non sapesse che il progetto di Conte è tutt’altro). Quelli che “uno vale uno” ora vogliono fare un congresso perché uno valga più degli altri, un altro dopo Grillo, dopo Casaleggio e dopo tutti quelli che in realtà valevano di più ma non avevano il fegato di ammetterlo.

Allora facciamo una cosa, cari amici del Movimento 5 Stelle: riconoscete che la maturazione di un movimento in forma-partito è la naturale sequenza delle cose in politica, riconoscete che molta dell’innovazione che avete sventolato è stata perlomeno annacquata (per usare un eufemismo) e mettetevi a fare politica con gli organi democratici che la Costituzione prevede. Semplicemente. Avrebbero dovuto aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno e ora sono i tonni pronti a farsi pescare dal nuovo leader all’orizzonte. È normale, accade sempre così. E chissà se qualcuno nel Partito Democratico comincia a capire che questa alleanza (e questo governo) poggia su un Movimento che non è mai stato in movimento com’è adesso.

Buon lunedì.

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Cosa ha scritto Marco Travaglio su Virginia Raggi. Oggi.

(Marco Travaglio, Il Fatto Quotidiano. Oggi.)

L’arrivo a Roma del quarto assessore al Bilancio in un anno, senza contare i valzer all’Ambiente, all’Urbanistica, all’Ama (rifiuti) e all’Atac(trasporti) è l’ennesima prova del dilettantismo, del pressappochismo, dell’improvvisazione e dell’inesperienza con cui non solo Virginia Raggi, ma tutto il M5S hanno affrontato un’impresa già di per sé disperata: governare Roma. E questo lo sappiamo, ma repetita iuvant, visto che i 5Stelle si candidano nientepopodimenoché a governare l’Italia. Ciò che pochi notano, in un panorama informativo a senso unico, è che ai fallimenti grillini nella Capitale s’aggiungono quelli della “società civile” che avevano coinvolto nell’avventura romana. Fra i tanti errori, la Raggi ne aveva evitato almeno uno: quello di chiudersi nel recinto grillino con un monocolore pentastellato. A parte un paio di nomi, aveva pescato il grosso degli assessori, collaboratori e manager all’esterno, tra figure indipendenti “di area”, alcune brave e titolate. Ed è proprio da queste – tranne il vicesindaco e assessore alla Cultura Luca Bergamo e pochi altri – che ha subìto le più cocenti delusioni.

Paola Muraro, fra i massimi esperti di compostaggio-rifiuti, ha pagato suo malgrado un’inchiesta della Procura poi finita quasi nel nulla (a parte un’infrazione al Testo Ambientale oblabile con pochi euro) e un massacro mediatico mai visto per così poco, che infatti s’è interrotto il giorno delle dimissioni. L’urbanista Paolo Berdini, icona della sinistra ambientalista, aveva collaborato col M5S negli anni dell’opposizione in Campidoglio e aveva finalmente l’occasione di fare ottime cose: purtroppo l’ha persa, con pochi fatti e troppe parole, dalle continue giravolte sullo stadio della Roma e persino sulle Olimpiadi all’intervista-harakiri sugli amori (peraltro inventati) della sindaca. All’Atac, dopo vari sommovimenti, era giunto per concorso un fuoriclasse come Bruno Rota, risanatore dell’Atm milanese: la Raggi gli aveva dato carta bianca sul concordato preventivo, ma un po’ la paura di finire nei guai con la giustizia per qualche firma di troppo in quel verminaio, un po’ le resistenze dell’assessore Mazzillo, l’hanno indotto a fuggire dopo pochi mesi. Il primo assessore al Bilancio era Marcello Minenna, tecnico Consob di indiscusso prestigio, che però se ne andò in due mesi perché la sindaca aveva seguito il parere Anac sull’illegittimità del contratto d’ingaggio della giudice Carla Raineri come capo-gabinetto. Minenna fu sostituito con Raffaele De Dominicis, ex Pg della Corte dei Conti, che però era indagato e non aveva avvertito la sindaca.

Fu così che la Raggi optò per un grillino doc, Andrea Mazzillo. Che ha lavorato benino, ha superato i rilievi dei revisori su un bilancio che tutti giuravano impossibile far quadrare. Poi, ai primi caldi, ha sbroccato: interviste a raffica per attaccare la sindaca, Grillo e Casaleggio sui “manager dal Nord Italia” (manco portassero la peste), lanciare bizzarri “allarmi sui conti” (e a chi, se l’assessore era lui?), sparare sul concordato preventivo di Atac e addirittura sposare il referendum radicale per privatizzare la municipalizzata. Una bestemmia per un Movimento nato nel 2009 proprio per difendere i servizi pubblici (una delle cinque Stelle era proprio il trasporto comunale) e in prima linea per il referendum 2011 suibeni comuni. Se voleva farsi cacciare, Mazzillo non poteva scegliere parole migliori, infatti era noto a tutti che dopo le ferie sarebbe stato sostituito con uno che condividesse il programma M5S. Cosa che, mentre Mazzillo bloccava alcuni pagamenti ad Atac mettendo a rischio gli stipendi, è avvenuta l’altroieri con l’ingaggio di Gianni Lemmetti, l’assessore uscente della giunta Nogarin che in tre anni ha risanato i conti di Livorno e gestito il concordato preventivo della municipalizzata dei rifiuti Aamps. Quest’operazione gli ha procurato, in tandem col sindaco, un avviso di garanzia per concorso in bancarotta fraudolenta, abuso d’ufficio e falso in bilancio tuttora pendente dopo due anni e probabilmente destinato all’archiviazione: non solo l’Aamps non ha fatto bancarotta, ma non è neppure fallita. Se la Raggi e i vertici M5S pensano che Lemmetti replicherà a Roma il piccolo miracolo livornese, possono pure assumersi il rischio di arruolare un indagato. Ma devono spiegare perché ciò che valeva per Muraro e De Dominicis non vale per Lemmetti. Ne va della trasparenza: spetta ai partiti valutare il merito di un “avviso” e deciderne le conseguenze politiche; ma se poi, anziché l’archiviazione, arrivasse il rinvio a giudizio, bisognerebbe cercare il quinto assessore. E supererebbe il ridicolo.

Intanto Mazzillo, come tutti gli ex della giunta Raggi, è stato prontamente adottato dai giornaloni, Repubblica in testa, come mascotte. Era già accaduto a Raineri, Minenna, Muraro e Rota: quando la Raggi li nominava, erano dei deficienti o dei delinquenti; quando se ne andavano o venivano cacciati, diventavano dei geni e dei gigli di campo da usare contro la putribonda sindaca. Quando Rota arrivò a Roma, i giornaloni gli diedero il benvenuto spacciandolo per un arraffa-poltrone imposto da Casaleggio (mai conosciuto) e superpagato dalla Raggi. Poi, quando se ne andò, ne magnificarono il sacrosanto concordato Atac ostacolato dal pessimo Mazzillo. Ora che l’ex incompetente Mazzillo si fa cacciare, diventa il competentissimo martire che vuole salvare l’Atac dall’assurdo concordato dell’ex incompetente ed ex genio Rota. Ora, la Raggi ha commesso un’infinità di errori. Ma è improbabile che sbagli sia quando sostiene il concordato, sia quando caccia Mazzillo perché si oppone al concordato. A meno che il vero errore della Raggi non sia quello di esistere.

Di Battista e Di Maio intanto cominciano a mollare la Raggi

«Mi aspetto che dal secondo anno si mettano in atto quegli interventi che diano percezione del cambiamento», dice Di Maio su Virginia Raggi.

«L’errore più grave di Virginia sono state le nomine. Glielo abbiamo detto tutti, ma lei è andata avanti comunque», dice Di Battista sulla Raggi.

Tutte e due le dichiarazioni sono virgolettate mica per caso ma perché sono state dette esattamente così dai due “leader” del Movimento 5 Stelle. E, avviso per i tifosi sfegatati, non sono nemmeno frase decontestualizzate: sono due frasi dette esattamente per il senso che hanno. Compiuto.

Ma non è questo il punto. Virginia Raggi probabilmente verrà rinviata a giudizio per le spericolate nomine da sindaca di Roma; quando non si ha una classe dirigente purtroppo si deve pescare tra quello che c’è e “quello che c’è” a Roma era il percolato di Alemanno, evidentemente.

Virginia Raggi rinviata a giudizio (mica indagata per le calunnie di qualcuno, no, rinviata a giudizio) sarebbe una vicenda normale per chi non ha costruito su indagini e Procure lo spessore della propria vendetta ma risulta inesorabile per chi, come molti del M5S, sulle indagini ha piantato il timone della propria critica politica.

Dice la Raggi che Beppe Grillo “l’ha incitata a andare avanti” e, secondo lei, noi dovremmo essere a posto così. Ah beh, se lo dice Grilo,

E invece Grillo, anche sulla Raggi, sarà pronto a cambiare idea come successo sullo ius soli: Beppe ha già mostrato di avere imparato la resilienza politica. Si cambia idea quando serve. Si scrive qualcosa quando serve. Si scarica qualcuno se serve.

 

(continua su Left)

Libero? Cacata carta, avrebbe detto Catullo

Libero me lo ricordo quando mi ha sbattuto in prima pagina (il mio post di quel periodo è qui) insieme ai consiglieri regionali in Lombardia indagati per lo scandalo dei finti rimborsi. Io non era indagato. Eppure ero lì. Ricordo esattamente, ce l’ho ancora nelle orecchie, il frignio di questi machi del giornalismo che mi imploravano di non querelarli: il giorno dopo la smentita era un riquadro piccolo piccolo a fondo pagina. Piccolo come loro, pensai. Non ne feci niente perché si rischia di legittimare un giornalismo che non è giornalismo: ha la forma di un quotidiano, ne ha la forma ma è quella che Catullo chiama “cacata carta” nel suo Carme 36 delle Nugae. Non credo serva traduzione.

Però quello che Libero ha pornograficamente metaforizzato nella sua prima pagina di oggi è un prurito che da qualche giorno si sente sorridere durante gli aperitivi, nei corridoi dei cronisti politici e tra la gente: il maschilismo è un gene antico che va estirpato con un lavoro culturale di generazioni, purtroppo. Poi c’è chi lo pensa e non lo dice; c’è chi ne sorride tra pochi fidati amici in casa; c’è chi se ne nulla al bar; c’è chi ferocemente lo sparge su Facebook fino a chi (ahimè direttore) lo spalma in prima pagina. E Feltri sa bene che con quel titolo parla a loro: la tribù dei machi fieri che vigliaccamente esulta (senza farsi sentire) quando qualcuno scrive quello che loro hanno pensato senza il coraggio di dire.

Insomma: Libero è un pessimo giornale letto da pessimi machi. Il tema è molto più complesso di quel che sembra. Per quel conta, la mia solidarietà alla Raggi.

(ed è un peccato per i giornalisti in gamba che lì dentro sono comunque costretti a ubbidire)

I successi della Raggi: Grillo risponde a Repubblica

E, non so voi, ma una discussione nel merito non può fare che bene. E come ho riportato qui il fact checking conviene leggersi anche la risposta di Grillo:

1) “La diminuzione della Tari era già prevista a partire dal 2015”: MEZZA BUFALA
Esisteva l’impegno di procedere a una progressiva riduzione della Tariffa sui rifiuti (Ta.Ri.), nella misura dell’1,5% l’anno, ma la conferma di tale impegno non era affatto scontata vista la situazione disastrosa in cui le precedenti amministrazioni hanno lasciato l’azienda. E va sottolineato che l’amministrazione Raggi ha innalzato il risparmio previsto in bolletta all’1,6%.

2) “I progetti finanziati con 18 mln del Bando Periferie sono ripresi dalle precedenti amministrazioni”: BUFALA
Considerando che sono stati presentati a fine agosto, a poco più di un mese dall’insediamento della nuova giunta, è chiaro che si è lavorato sui progetti con il più alto grado di avanzamento. Si tratta comunque di opere utili per la città e l’importante è saperle portare avanti: se così non fosse, andrebbero tralasciati anche altri interventi già avviati in passato come la Metro C o lo stadio della Roma. Portando alle estreme conseguenze questa bizzarra teoria, non dovremmo gioire neppure per l’aumento di visitatori del Colosseo, perché inaugurato dall’imperatore Tito! Inoltre, il Campidoglio viene accusato di non aver già avviato la riqualificazione delle periferie con quelle risorse, ma si tralascia di spiegare che l’esito del bando è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale solo a inizio anno e che quei fondi non sono stati ancora erogati dal Governo.

3) “430 MLN PER il Tpl sono il corrispettivo del contratto di servizio Atac”: BUFALA
Sono i fondi previsti nel piano triennale degli investimenti 2017-2019, incluso nel Bilancio di previsione appena approvato. Il costo del contratto di servizio Atac, che non c’entra nulla, è invece inserito tra le spese correnti, come dovrebbero sapere gli esperti di bilancio e di fact-checking.

4) “I 10 mln ai Municipi per la manutenzione stradale sono pochi e diminuiscono rispetto al passato”: BUFALA
Si fa grande confusione: 10 milioni è la cifra stanziata tra gli investimenti previsti dal bilancio di previsione 2017-2019 e destinata ai Municipi per la manutenzione della viabilità di loro competenza. Queste risorse si vanno ad aggiungere a tutte le altre già previste per la manutenzione della grande viabilità e di quella municipale, che fanno parte del “Piano buche” che verrà presentato a breve. Quindi non si spende di meno ma si investe di più rispetto al passato, con interventi strutturali e di qualità.

5) “La spesa per gli incarichi esterni assegnati dalla giunta Raggi si riferisce solo ai primi mesi di amministrazione e non tiene conto degli incarichi futuri”: BUFALA
Chi appare in video dovrebbe sapere che i contratti di collaborazione esterna prevedono un impegno di spesa per l’amministrazione che riguarda l’intero anno. Per essere ancora più precisi, l’amministrazione Raggi ha stipulato contratti per una spesa ANNUA pari a poco più di 3 milioni di euro. Molto meno rispetto a tutte le altre amministrazioni precedenti, che si voglia fare la media o meno: per esempio, Alemanno nel 2012 ha speso quasi 12 milioni di euro; Marino, nel 2014, ha speso 5 milioni e 600mila; e il commissario Tronca non è stato da meno con ben 5 milioni nel 2015. I collaboratori assunti dalla Giunta Raggi sono poco più di 40. Le Giunte Alemanno e Marino dal 2012 al 2015 hanno stipulato 311 contratti. Una cosa però è vera: nessuno può sapere quanti contratti verranno siglati nel corso del mandato, né chi vincerà lo scudetto o se finalmente a Pasquetta, quest’anno, ci sarà il sole.

6) “Il servizio di raccolta dei rifiuti ingombranti, elettrici ed elettronici già esisteva e la giunta Raggi aveva dimenticato di rinnovare il bando”: MEZZA BUFALA
Non è vero: la gara non si era conclusa per l’inidoneità della documentazione presentata dai concorrenti. L’attuale amministrazione ha avuto il merito di riattivare il servizio nel più breve tempo possibile.

7) “La lotta all’abusivismo è un’attività di ordinaria amministrazione”: BUFALA
È vero, ma ai controlli ordinari sono stati affiancati maggiori verifiche che hanno riguardato aree a vocazione turistica e commerciale. Quindi l’incremento degli interventi sul territorio non può che essere salutato come un successo per questa amministrazione, che ha predisposto le linee guida del nuovo ‘piano sicurezza’ della Capitale intensificando il contrasto ai fenomeni dei parcheggiatori abusivi, della sosta selvaggia, delle doppie file e dell’abusivismo commerciale. Ricordiamo, tra le altre cose, che l’utilizzo degli agenti in borghese per la lotta ai parcheggiatori abusivi è una novità assoluta. Inoltre, l’amministrazione capitolina non si è assolutamente dimenticata di rinnovare il bando per il servizio carro attrezzi, come si dice erroneamente: dal 2015, anno in cui è stata annullata la gara d’appalto, il servizio viene svolto avvalendosi dell’elenco di ditte della Prefettura. Il Campidoglio sta lavorando per inserirlo all’interno di Atac e si sono avviate tutte le procedure per realizzare questo iter.

8) “I fondi per le scuole sono dedicati dal Governo nell’ambito del piano di attuazione della Buona Scuola”: BUFALA
La giunta Raggi ha aperto una linea di finanziamento con Cassa Depositi e Prestiti di oltre 47 milioni di euro, per la messa in sicurezza e l’adeguamento alla normativa anti-incendio degli edifici scolastici. Questa operazione, quindi, non ha nulla a che vedere con i fondi stanziati dal Governo nell’ambito della sedicente “Buona Scuola” di Renzi.

9) “Anche i bilanci delle precedenti amministrazioni sono stati presentati nei termini di legge e quindi non c’è alcuna novità rispetto al recente passato o alla giunta Marino”: BUFALA
È scontato che il Bilancio di un qualsiasi Comune vada approvato entro i termini di legge, altrimenti quello stesso Comune verrebbe commissariato dal Prefetto (e neppure Alemanno, di cui si sottolineano i ritardi, arrivò a tanto). La giunta Raggi ha semplicemente e orgogliosamente rivendicato di aver approvato il bilancio preventivo 2017-2019 con due mesi di anticipo sulla scadenza fissata dal Governo e prima delle altre grandi città italiane. Confermiamo che per la prima volta, almeno negli ultimi dieci anni, il Comune di Roma da via libera al bilancio di previsione così presto rispetto ai termini di legge. Nel recente passato l’approvazione in Consiglio è avvenuta non prima della fine di marzo (Bilancio di previsione 2015 con Marino sindaco).