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vittoria

E insomma galleggiano

I partiti e i leader dopo le elezioni regionali. E i cittadini italiani dopo il referendum costituzionale, in attesa delle riforme che sono state promesse

Primo dato, appariscente e importante: questo refrain che gli italiani non vedessero l’ora di andare a votare per prendere a calci i partiti del governo e per incoronare la destra di Salvini e di Meloni è una bufala pazzesca. Nei giorni scorsi qualcuno, Salvini in testa, sognava e sparlava di una vittoria clamorosa e invece quel turbine sovranista che latra sui social, sui giornali e in televisione è solo un ruttino. Matteo Salvini ha voluto trasformare questo voto in un voto nazionale e ha sbagliato. A proposito: la Lega stravince in Veneto ma la lista di Zaia stravince relegando la lista ufficiale del partito a percentuali per niente eclatanti. Per intendersi: ha stravinto Zaia, più della Lega e presto farà valere il suo peso politico anche sul resto del partito. Il centrodestra galleggia.

Il Partito Democratico tiene, vince in Toscana e si afferma come partito, vince in Puglia con candidato che non voleva nessuno (Emiliano) e stravince in Campania con De Luca (ma quella è una vittoria di De Luca). Zingaretti ha rischiato ma è riuscito a rimanere in piedi. C’è da dire che nessuno dei candidati è un “suo” uomo. Ora chissà se riuscirà a fare il segretario e a governare con decisionismo il partito. Si rimane in attesa, come sempre. Una notazione: Zingaretti in conferenza stampa è riuscito a proporsi come rappresentante di chi ha votato Sì e anche di chi ha votato No al referendum, come se con un po’ di retorica si potesse tenere i piedi in tutte le scarpe. Il Pd galleggia.

Il Movimento 5 Stelle si sa che avrebbe deluso e infatti Di Maio corre in conferenza stampa intestandosi la vittoria del referendum e poi lascia agli altri l’incombenza di analizzare i deludenti risultati delle regionali. Ora si giocherà la battaglia interna nei prossimi Stati Generali e lì si capirà di più. Insomma il M5S galleggia.

Matteo Renzi si è tolto la soddisfazione di esistere solo per fare perdere il centrosinistra e non ci è riuscito. Incassa un risultato patetico ma non se ne renderà conto. Sono anni che non riesce a fare i conti con la realtà. E quindi galleggerà continuando a pestare i piedi.

Intanto per il taglio dei parlamentari stravince il Sì ma verrebbe da chiedersi chi rappresenti quel 30% di No. Ora tutti ci promettono che faranno le riforme. Restiamo in attesa di sapere quali siano le idee. Insomma, galleggiamo anche noi.

Buon martedì.

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Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Orfini a TPI: “Lamorgese non fa la ministra. I flussi di migranti sono gestibili, ma preferiamo finanziare i torturatori libici”

Se c’è una figura nel Partito Democratico che invoca una svolta, quanto alla gestione dei flussi migratori, già dall’epoca di Minniti, si tratta sicuramente di Matteo Orfini. Il tema dei migranti è ormai tornato al centro del dibattito politico, con l’aumento degli sbarchi, Salvini che ha ripreso la sua propaganda a tamburo battente e la maggioranza in pieno stallo, incapace di cambiare rotta. TPI ha intervistato il deputato del Pd per capire quali sono gli scenari futuri e quali decisioni prenderà la maggioranza di governo su una questione non più differibile.

Tre migranti sono stati uccisi dalla Guardia Costiera libica, e non erano passate nemmeno 24 ore dalla manifestazione che si teneva per contestare il rifinanziamento da parte del governo italiano. La notizia tra l’altro non sembra avere nemmeno indignato più di tanto.

Questa purtroppo è la storia di questi mesi, di questi anni. Non è una notizia, succede quasi tutti i giorni e fuori da ogni forma di ipocrisia e di circostanza è la ragione per cui paghiamo la Guardia Costiera libica: trattenere i migranti con ogni strumento e con ogni mezzo mettendo in conto che possono essere chiusi in un lager, torturati, seviziati e anche uccisi. Se tu finanzi torturatori e assassini, quelli torturano e assassinano.

Ci siamo abituati all’orrore?

C’è un’amnesia collettiva di fronte a un qualcosa di enorme che è e sarà una delle pagine più vergognose del nostro Paese nei libri di storia. Tutto questo oggi, purtroppo, non solleva una discussione adeguata nell’opinione pubblica e nella politica.

Ma qual è il blocco che impedisce di cambiare rotta nel governo? L’alleanza con il Movimento 5 Stelle o vogliamo ammettere che c’è anche un serio problema all’interno del Partito Democratico?

È ovvio che c’è un problema anche dentro al Partito Democratico, che per altro è ancora più incomprensibile quando addirittura Minniti è oggi su una linea differente, tanto che nelle ultime interviste ha definito “inapplicabile” quella politica che ha disegnato e concepito nelle ultime interviste. Siamo di fronte a un accanimento incomprensibile da parte della maggioranza e quindi anche del Pd. Questo atteggiamento è figlio della difficoltà a misurarsi con con una strategia radicalmente alternativa e della paura di una battaglia difficile. Mettere in discussione radicalmente quell’impianto significa affrontare uno scontro culturale e politico molto duro nel Paese e in Parlamento. Evidentemente spaventa.

Il Movimento 5 Stelle da questo punto di vista è più coerente: quell’impianto lì l’hanno sempre avuto e sono i coestensori dei decreti sicurezza. Io ricordo sempre che il secondo decreto sicurezza fu peggiorato dagli emendamenti del M5S rivendicati da Di Maio. Loro sono in continuità. È mancata la volontà del PD.

Carmelo Miceli in un’intervista a Il Foglio dice: “Io non ci sto a dire che l’immigrazione non è un problema. E dico anche, con buona pace dei buonisti, che bisogna rimpatriare chi non ha diritto di rimanere in Italia”. Se lo aspettava di sentire la parola “buonisti” usata come roncola da un suo compagno di partito?

Ormai mi aspetto di tutto. Non mi sorprendo più di nulla. Che vada rimpatriato chi non ha diritto mi pare un’evidenza. Il problema è se l’Italia sia in grado di garantire salvataggio nel Mediterraneo, accoglienza dignitosa e un percorso di integrazione. Di questo stiamo parlando: rinunciamo a salvare, paghiamo la Libia per respingimenti che sono illegali, nel momento in cui qualcuno arriva non siamo in grado di gestire l’accoglienza. In queste ore la ministra degli Interni continua a fare dichiarazioni ma non fa la ministra degli Interni: noi siamo di fronte a flussi ampiamente gestibili che diventano un’emergenza perché non c’è un piano.

Che gli sbarchi aumentino d’estate è così da sempre e di solito si dispone un meccanismo adeguato, non si chiudono 600 persone in un tendone sotto al sole in un posto che ne dovrebbe ospitare solo cento. Non è questo il modo. Caricare la pressione solo su alcune comunità locali non è una soluzione. Noi dovremo essere in grado di organizzarci, vedere chi ha diritto di restare e chi no e mettere in campo un processo di integrazione e invece tutto questo è stato smontato in larga parte dai decreti sicurezza e non c’è stato nessun tentativo di ricostruire un meccanismo complessivo.

Ma come può cambiare la linea del PD? Con la vittoria di una corrente interna, visto che la pressione degli elettori non sembra funzionare?

Io penso che servano entrambe le cose: deve crescere una battaglia interna nel Pd che si deve incrociare con una mobilitazione nel Paese. È chiaro che noi abbiamo perso. Il voto sulla Guardia Costiera libica è una sconfitta. L’assemblea del PD aveva votato contro il rifinanziamento e questa decisione non è stata rispettata: abbiamo anche un serio problema di democrazia interna.

Se Orfini potesse cosa cambierebbe, subito?

Intanto abrogherei le norme che ci sono. Dobbiamo abrogare (e non modificare) i decreti sicurezza, abrogare la Bossi-Fini e ricostruire da un punto di vista complessivo le norme che gestiscono i flussi migratori e che aprono canali legali. Poi abbiamo bisogno di una politica differente dall’altra parte del Mediterraneo che smonti quel meccanismo di sostegno ai respingimenti illegali e che ripristini ciò che accadeva con Mare Nostrum: ricerca e salvataggio di concerto con le Ong e le navi della Marina e della Guardia Costiera.

L’articolo proviene da TPI.it qui

Chiedere semplicemente scusa

Pensate come sarebbe facile, chiaro, lineare:

«Scusatemi, no, non è vero che sono stato frainteso, ho detto così perché sono stato vigliacco, capita a tutti di essere vigliacchi e a volte di non volere riconoscere i propri errori, sarà che in fondo siamo tutti figli di quest’epoca in cui l’errore è un’onta da cui sembra impossibile riabilitarsi, sarà che ci vorrebbero convincere tutti che la vera vittoria sta nel non sbagliare mai quando invece sbagliare è nell’ordine naturale delle cose, sbagliare e rialzarsi e poi una volta in piedi sbagliare di nuovo e anche se ci mettiamo in testa di imparare dai nostri errori è talmente ampio il ventaglio degli sbagli possibili nella vita che alla fine non li impareremo mai tutti e ogni mattina ci sarà uno sbaglio nuovo che ci aspetta dietro la porta, che ci frega di nuovo e forse sarebbe il caso che la smettessimo di voler apparire invincibili e che dicessimo, che ce lo dicessimo, che sbagliamo e continueremo a sbagliare. Semplicemente sbaglieremo meglio, promesso».

Pensate che rivoluzione.

Pensate se Bocelli ci dicesse che è stata una tentazione irresistibile andare a fare la sua comparsa in Senato e poi è successo come succede a tutti di farsi trascinare un po’ troppo dalla compagnia dal bar ed è finito a fare il gradasso. «Ho sbagliato e occhio alle cattive compagnie», potrebbe dire. E chiusa lì.

Pensate se Salvini confessasse di dire semplicemente il contrario di quello che dicono gli altri perché gli conviene ed è per questo che dice tutto e il contrario di tutto: «Ogni tanto mi sbaglio perché anche quelli dicono tutto e il suo contrario e io per fare il contrario inevitabilmente mi contraddico». Bon, finita lì.

Pensate se i direttori di Libero e de Il Giornale avessero il coraggio di ammettere di cercare ogni giorno di vincere la gara a chi la spara più grossa e per questo spesso finiscono nell’incredibile. Bene, lo sappiamo, discorso chiuso.

Immaginate Zingaretti se avesse il coraggio di dire che i Decreti Sicurezza non li può cancellare perché il suo presidente del Consiglio li presentava in pompa magna con i clap clap del Movimento 5 Stelle e adesso non può rimangiarsi tutto. Lo sappiamo, bene, ok.

Immaginate se la Meloni dicesse che deve fare la fascista ma prova a farla in modo più furbo di Salvini senza esporsi troppo ma leccando i fascisti di nascosto. A posto così.

Chiedere semplicemente scusa.

Dico, sarebbe un mondo bellissimo, no?

Buon mercoledì.

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19 anni dopo, i temi del G8 di Genova sono più attuali che mai

Chissà quando avremo gli occhi per rivederlo, quel G8 a Genova, quella manifestazione che certa retorica squadrista continua a raccontare come un’orrida sequela di tafferugli (dimenticandone chirurgicamente le responsabilità), raccontando di una città messa a ferro e a fuoco e proiettando un film che non rispetta la realtà. Andrebbe rivisto, quel G8, per raccontare come una grave sospensione della democrazia (parole usate dall’Onu e riprese da importanti organizzazioni internazionali) possa passare sotto traccia ed essere normalizzata negli anni successivi.

Ma, no, questo non vuole essere un pezzo sui picchiatori seriali ben ammaestrati in divisa e nemmeno sulle forze di pubblica sicurezza che fabbricano prove false per giustificare la propria violenza. Dico, ve li ricordate i temi di quel G8? C’erano qualcosa come 300mila persone (che non sono i like su Facebook) che avevano preso i mezzi da tutto il mondo per arrivare a Genova a evidenziare una serie di problemi che per loro sarebbero stati lo scacco matto del futuro del mondo.

A Genova si contestavano il neoliberismo furioso, la concessione di veri e propri paradisi fiscali, la vittoria della finanza sull’economia, l’aumento della disuguaglianza sociale e soprattutto dell’ingiustizia sociale, l’impoverimento irrefrenabile delle classi medie, la sbagliata e ingiusta distribuzione di ricchezze nel mondo, la visione privatistica del mondo al danno del pubblico, il consolidamento delle lobby di potere e delle grandi multinazionali come inquinamento delle decisioni politiche, la redditizia instabilità del mondo mediorientale. Si parlava dell’ambiente prostituito al profitto e delle enormi conseguenze che ci sarebbero state a livello planetario, si parlava dell’aumento della diffusione di xenofobia e di razzismo.

Avevamo ragione noi, a Genova. Aveva ragione quel documento finale del Social Forum di Porto Alegre (lo trovate qui) del 2002 che oggi risuona ancora come agenda assolutamente contemporanea del mondo in cui siamo. Sono passati quasi 20 anni e i mali del mondo sono ancora gli stessi.

Quei temi non sono stati sfondati dai manganelli (a differenza delle teste e dei denti) e dimostrano che, no, non era violenza sistematica per zittire qualche contestazione ma era un pugno di ferro contro un cambiamento di un mondo che non vuole cambiare e che continua a crollare ogni giorno dei medesimi mali. Avevamo ragione noi, a Genova, in piazza, e oggi i grandi del mondo parlano quella stessa lingua. Solo che qualcuno ci ha rimesso qualche osso.

Leggi anche: 1. In Italia 13mila infetti, ma gli “untori” sono i migranti: signori, gli sciacalli sono tornati (di G. Cavalli) / 2. Caro Conte, l’unica opera strategica per l’Italia è investire nella scuola. Che cade a pezzi (di G. Cavalli)

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“Addio Benetton. Il governo ha vinto. E anche l’Italia”: Giarrusso (M5S) a TPI

Dino Giarrusso è europarlamentare del Movimento 5 Stelle ma sempre molto attento alle dinamiche nazionali che riguardano il governo Conte. Si dice soddisfatto per l’accordo trovato su Autostrade e fiducioso per la tenuta del governo in futuro.
Onorevole Giarrusso, come valuta l’accordo con i Benetton preso dal governo?
Lo valuto molto positivamente perché per una volta un governo non cede al capitalismo di relazione che secondo me ha inquinato completamente la società italiana negli ultimi decenni, legando grandi capitali a vecchi partiti e sistema dell’informazione. Non era facile estromettere Benetton dal controllo delle Autostrade e questo governo ce l’ha fatta, la ritengo una vittoria per i cittadini.

Qualcuno però fa notare, anche all’interno del Movimento 5 Stelle, che la soluzione sia una revoca dolce e ci vorrà molto tempo prima che la soluzione si realizzi…
Io non la ritengo una revoca dolce. Per la prima volta in Italia chi ha commesso delle gravi mancanze (oltre ad avere fatto morire 43 persone, il crollo di un ponte è in sé una ferita per Genova e per l’Italia) non riceve sconti, cosa che ci è stata riconosciuta anche dalla Corte Costituzionale quando abbiamo deciso di non far partecipare la società alla ricostruzione del ponte. Poi…
Cosa?
Poi per i cittadini il pedaggio diminuirà significativamente e anche questa la ritengo una vittoria civile, un lavoro ben fatto. Inoltre ci sarà il risarcimento di 3,4 miliardi di euro, quindi chi ha sbagliato pagherà. Tra l’altro l’accettazione di queste condizioni fa sì che non ci siano contenzosi, ciò che in Italia può durare decenni e far permanere la concessione “in attesa di sentenza definitiva”. Abbiamo anche casi di contenziosi finiti economicamente molto male per lo Stato e quindi per le tasche di tutti noi: questa volta non accadrà.

Tutto bene quindi?
La ritengo una soluzione positiva ed anche un buon esempio per il futuro: val la pena sottolineare anche che scendendo sotto il 10% i Benetton non siederanno nemmeno più nel Consiglio di Amministrazione.
Come legge le fibrillazioni di Italia Viva, di alcuni del PD e addiritutra dello stesso M5S?
I mal di pancia di Italia Viva e minima parte del PD li leggo allo stesso modo in cui leggo che Prodi e De Benedetti insieme propongono di fare entrare Berlusconi nel governo: sono i colpi di coda di un sistema che non ha funzionato, non ha fatto il bene degli italiani eppure non vuole cedere per fini di potere. Nostalgie trasversali in tutti i vecchi partiti (tutti, nessuno escluso, purtroppo, compresi quelli che stanno e che stavano al governo con noi) di esponenti che fanno parte del vecchio sistema e che non vogliono cambiarlo. Per questo ci sono tante resistenze, il cambiamento scontenta molti. Nel M5S non ho sentito voci dissonanti sulla vicenda Autostrade.

Come valuta le tenuta di questo governo alla luce dei retroscena sull’ingresso di Forza Italia e i mal di pancia di Renzi?
Penso che questo governo abbia innegabilmente portato un cambiamento. Poi, per carità, può piacere o non piacere ma il cambiamento in Italia è una dinamica molto difficile. Ci sono state molte persone per bene che nei decenni scorsi hanno fatto battaglie anche importanti in formazioni “pulite”, ma purtroppo non hanno portato nessun risultato concreto se non quello della semplice testimonianza: il Movimento ha invece cambiato delle cose concrete -con tutti i nostri limiti – e questo crea problemi a chi vorrebbe che le cose non cambiassero mai. Il fatto che molti sedicenti antiberlusconiani – e persino storici nemici di Berlusconi come Prodi e De Benedetti – abbiano rivalutato la figura di Berlusconi “pur di togliere Conte e M5S dal governo” la dice lunga su quanto fastidio diamo al vecchio sistema. Questo valeva durante il contratto di governo con la Lega e vale adesso: abbiamo perseguito i nostri obiettivi e il nostro programma politico (penso alla legge Spazzacorrotti, al reddito di cittadinanza, al taglio dei vitalizi…) cercando di tenere la barra di governo quanto più vicina al nostro programma.

Intanto il Movimento ha trovato l’accordo sulla Liguria con il Partito Democratico candidando Sansa…
Non mi risultano accordi chiusi. Ciò detto: io penso che il Movimento sia alternativo a tutti gli altri partiti, dunque riguardo eventuali alleanze vanno valutate solo se rispettano i nostri valori. Ci sono regioni come la Sicilia in cui abbiamo sfiorato il 40% e non governiamo. Prima di parlare di accordi bisogna però decidere insieme programma, valori di riferimento e candidato presidente. In Campania, ad esempio, dove c’è De Luca per quel che mi riguarda non c’è nemmeno da discutere. Altrove si può discutere, ma tenendo sempre la barra dritta. Peraltro son cose che poi decideranno i nostri iscritti come abbiamo sempre fatto.
Ma il nome di Sansa la soddisfa?
C’è un tavolo in corso: se gli attivisti liguri e il capo politico stringono un accordo alle nostre condizioni, potremmo mettere fine alla disastrosa gestione Toti.

Leggi anche: 1. Autostrade: chi ha vinto e chi ha perso. Tra Conte e i Benetton, passa la linea Gualtieri / 2. Autostrade: dopo il Cdm vicina l’intesa finale. Niente revoca, ma Atlantia sotto il 10%: entra lo Stato

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I candidati del centrodestra alle prossime elezioni regionali: pessime notizie per il Sud e per il Paese

Lo chiamano “accordo nel centrodestra” ma i nomi che sono usciti per le prossime elezioni regionali dicono chiaramente che Salvini ha perso al tavolo delle trattative con Silvio Berlusconi e Giorgia Meloni e che, probabilmente, non è più l’indiscusso leader che sembrava in grado di dettare legge all’interno della sua coalizione se non addirittura di poterne fare a meno.

Giorgia Meloni riesce a candidare Francesco Acquaroli nelle Marche e l’inossidabile Fitto in Puglia lasciando al leader leghista la sola Toscana dove Susanna Ceccardi sembra non avere praticamente nessuna possibilità di vittoria. In Campania, ancora una volta, a sfidare De Luca sarà quello Stefano Caldoro che Salvini ha osteggiato fino all’ultimo minuto e che invece è riuscito a spuntarla. Si sa, del resto, che fu proprio Salvini a promettere mano libera agli alleati in cambio della candidatura delle Bergonzoni in Emilia su cui aveva scommesso tutto. Aveva scommesso tutto e ha perso. Ora paga pegno.

La politica è fatta di rapporti, rapporti che devono essere consolidati, nutriti, curati con attenzione e Salvini fin dall’inizio ha deciso di presentarsi come colui che poteva fottersene di tutto e di tutti, alleati compresi, per figurare come l’uomo forte che non aveva bisogno di nessuno. La sua pessima comunicazione in tempi di pandemia e la sua arroganza hanno finito per facilitare la crescite della sua alleata Giorgia Meloni e non è un caso che anche la sua leadership in vista delle prossime elezioni politiche sia già stata messa in discussione: “vedremo”, ha detto serafica la leader di Fratelli d’Italia.

Ma le candidature del centrodestra alle prossime elezioni regionali ci dicono anche altro: passano i decenni ma i capibastone sui territori rimangono sempre gli stessi, le elezioni sono una fotocopia di quelle precedenti come se non fosse accaduto nulla e come se non si fosse mosso il mondo intorno. La classe dirigente della Lega al sud è praticamente disastrosa ma anche gli altri partiti di centrodestra non trovano di meglio che proporre le stesse facce, con gli stessi modi, con gli stessi cognomi. E questa, comunque la si pensi politicamente, è una pessima notizia per il Paese, mica solo per il sud.

Leggi anche: De Luca vi fa ridere? La sua violenza verbale fa male alla sinistra ed è un regalo a Salvini

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Scandalo molestie, respinta archiviazione per Tavecchio: “Una piccola vittoria”


Niente archiviazione per Carlo Tavecchio a seguito della denuncia dell’ex presidente della Lazio femminile per molestie sessuali. Il GIP di Roma oggi ha ordinato “l’effettuazione delle indagini indicate nell’opposizione di archiviazione”. «È una piccola vittoria – dice Elisabetta Cortani – ma soprattutto è uno spiraglio per un processo che stabilisca le reali responsabilità».
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“Ecco cosa succede a Vittoria, il mix perfetto di mafia e politica” (di Paolo Borrometi)

(un articolo di Paolo Borrometi sul recente scioglimento per mafia di Vittoria, fonte)

Vittoria è la nona città per popolazione della Sicilia e ospita il Mercato ortofrutticolo più importante del Sud Italia, il secondo d’Italia. Una polveriera, l’ho più volte definita. Baricentrica per molteplici interessi che abbracciano l’intero Paese.

Da qui, da questo splendido lembo di terra, vengono immesse nella filiera nazionale frutta e verdura che poi arrivano sulle nostre tavole, tramite il “triangolo dell’ortofrutta” dei mercati, Milano, Fondi e Vittoria.

Grazie a questa “triangolazione” arriva un pomodoro ciliegino, una melanzana o un frutto, sulla tavola di un milanese, di un veneto, di un romano. Indistintamente.

Provengono dal lavoro e dal sudore della fronte di imprenditori e di braccianti agricoli che, per la stragrande maggioranza, sono onesti lavoratori, ma la contaminazione mafiosa inizia dalla base, sin dalla raccolta, con i caporali.

Il patto che reggeva la pax mafiosa

Le mafie fanno “squadra” e non si fanno la guerra. Così nel ragusano – ed a Vittoria in particolare – si è passati da centinaia di morti ammazzati negli anni novanta, agli accordi di ferro dei nostri anni. Sono diventate una vera e propria holding: stidda e cosa nostra si dividono gli affari locali, la ‘ndrangheta gestisce la cocaina e la camorra (sarebbe più giusto parlare dei casalesi) gestiscono i trasporti (come dimostrano le recenti operazioni di polizia.

L’attenzione delle istituzioni per questo territorio è stata ad “ondate”, così si è passati dal negazionismo o, ancor peggio, dal riduzionismo, fino alla grande attenzione a seguito della strage di San Basilio (2 gennaio 1999). Poi, passati quegli anni, nuovamente poco o nulla. Negli ultimi tre anni, dopo le condanne a morte dei clan vittoriesi nei miei confronti, una nuova ondata di arresti. Ogni operazione aveva sempre come protagonisti i mafiosi inseriti fra la filiera del mercato e la politica, un bubbone che tardava ad esplodere.

La pace viene rotta. Dalla Dia

Tutto cambia nel bel mezzo delle ultime elezioni Amministrative del 2017 quando, dopo il primo turno e prima del ballottaggio, la Finanza di Catania irrompe nella tranquillità del ragusano. Ad essere interessati dagli avvisi di garanzia l’ex sindaco Giuseppe Nicosia, il fratello Fabio (già consigliere provinciale e primo degli eletti al Comune), i due candidati alla carica di primo cittadino, Francesco Aiello (che poi verrà archiviato dalle accuse) e l’attuale sindaco, Giovanni Moscato. Oltre a loro i boss Giovambattista Puccio e Venerando Lauretta, entrambi già condannati per associazione mafiosa, e due pluripregiudicati considerati “vicini al clan” dagli inquirenti.

I pentiti raccontano: c’è un accordo con la politica

Dal lavoro dei finanzieri, per delega della Distrettuale Antimafia di Catania, è emerso con chiarezza l’intreccio affaristico-politico-mafioso. “Ha condizionato e orientato le scelte elettorali anche prima delle elezioni amministrative del 2016”. Si leggeva nel decreto del Giudice delle Indagini Preliminari. A suffragare il quadro, le parole di alcuni collaboratori di giustizia.

I fratelli Nicosia avrebbero ricevuto a Vittoria il sostegno elettorale della “Stidda” sia nelle amministrative del 2006 e 2011, sia nelle regionali e nazionali del 2008 e 2012. Il convogliamento dei voti, secondo quanto venne accertato dalle indagini, sarebbe stato ricompensato con l’assegnazione di appalti e posti di lavoro. Soprattutto negli affari della nettezza urbana e nella filiera del Mercato.

A volte sbagliano. Ma avviene di rado

Un “patto scellerato”. Così che venne definito dagli inquirenti quello con la politica. Mafia che, negli ultimi anni, ha sempre favorito le elezioni dei diversi candidati: prima con Giambattista Ventura e Venerando Lauretta (i due reggenti del clan che mi volevano morto e per questo condannati), poi con Giambattista Puccio (detto “Puccio u ballarinu”). In elezioni in cui venivano candidati proprio i pregiudicati, come il caso di Raffaele Giunta che si ritirò dall’ultima contesa per il consiglio comunale dopo una mia inchiesta giornalistica. Eppure nelle intercettazioni Giunta, nonostante il ritiro, tranquillizzava l’ex sindaco che non avrebbero perso i suoi voti: “per votare a Nicosia io gli do anche il culo… e te lo dico ora… e lo dico sempre”. E Nicosia, indirizzandolo verso il fratello candidato in una lista civica, gli spiegava “dillo che devono votare Nuove idee, no Partito democratico… a volte sbagliano”. A volte sbagliavano, appunto. Ma non sbagliarono.

Il primo sindaco di destra

Vinse il primo sindaco di destra della storia della città, Giovanni Moscato, che per telefono rassicurava gli “amici” dei Nicosia. “Tu gli puoi dire ai picciotti che in questo momento votare me non è tradire i Nicosia è solo stare tranquilli con la famiglia punto e basta”. Con la famiglia, appunto.

Ed infatti i Nicosia, secondo l’accusa, “avrebbero appoggiato Moscato in virtù di un accordo politico con lo stesso, al fine di mantenere la propria egemonia sulle decisioni amministrative”.

Lo scambio politico-mafioso

Tutto fino a giugno di quest’anno quando arrivò l’avviso di conclusione indagine per gli indagati: confermata l’ipotesi di reato relativa allo scambio elettorale politico-mafioso per tre degli indagati fra cui il fratello dell’ex sindaco della città.

Per gli altri politici coinvolti, ovvero l’ex sindaco Nicosia, l’attuale sindaco Giovanni Moscato e due dirigenti del Pd locale, furono contestati episodi di corruzione elettorale. E con l’avviso di conclusione indagini si concluse anche il lavoro della commissione d’accesso al Comune che, nella relazione finale, chiese lo scioglimento per l’ente.

Oggi arriva una risposta

Troppo forti le collusioni con politici che avevano fatto patti con il diavolo, cioè i clan mafiosi. Quei politici che spesso hanno attaccato il lavoro giornalistico di chi cercava di fare solo il proprio dovere. Troppo spesso in solitaria.

Si, perché la mafia in quella zona della Sicilia, la più ricca, non esiste. Quindi come può fare accordi con la politica?
Una domanda che trova la risposta oggi, con la notizia dello scioglimento del Comune, “in ragione delle riscontrate ingerenze da parte della criminalità organizzata”. Così come recita il comunicato stampa ufficiale del Consiglio dei Ministri.

Vittoria, arrestato l’ex sindaco PD. Quello che parlava di “macchina del fango”.

Ne scrive (tra gli altri) La Spia ma sono molto contento per chi, da tempo, denunciava i fatti ed è stato isolato. Un abbraccio a Paolo. Lui sa.

 

Mafia: sindaco di Vittoria indagato per corruzione elettorale =

 (AGI) – Catania, 21 set. – E’ indagato anche l’attuale sindaco di Vittoria (Ragusa), Giovanni Moscato, nell’ambito dell’indagine “Exit poll” della Guardia di finanza, coordinata
dalla Procura di Catania. Il primo cittadino, per il quale non e’ prevista misura cautelare, risponde di corruzione elettorale. Moscato, 40 anni, avvocato, con la sua elezione nel
giugno 2016, a capo di liste civiche ed esponente del centrodestra, aveva fatto segnare una svolta storica a Vittoria, un comune che per 70 anni e’ stato retto da un esponente della sinistra. Secondo gli inquirenti, l’ex sindaco Giuseppe Nicosia e il fratello consigliere Fabio, tra i sei arrestati di oggi per scambio elettorale politico-mafioso, nel turno di ballottaggio si sarebbero schierati per Moscato, il quale avrebbe promesso la stabilizzazione dei 60 dipendenti della ditta che si occupa dei rifiuti.
Un patto scellerato che ha gestito le sorti elettorali, politiche e amministrative di Vittoria,
grosso centro della provincia di Ragusa, per almeno un decennio, garantendo appalti, affari, lauti profitti alle organizzazioni mafiose. Una regia sciagurata che ha dato
sostanza all’inquietante e consolidato intreccio tra politica e boss.
E’ quello che emerge dall’operazione “Exit Poll” della Guardia di finanza, coordinata dalla Procura di Catania, culminata con l’arresto per scambio elettorale politico-mafioso, di sei persone, tra amministratori e boss, per fatti collegati alle elezioni comunali di Vittoria del
giugno 2016. 
Ovvero: Giuseppe Nicosia e il fratello Fabio, attuale consigliere comunale, Giovambattista Puccio e Venerando Lauretta, entrambi gia’ condannati per associazione mafiosa, Raffaele Giunta e Raffaele Di Pietro.
UN EX SINDACO ARRESTATO, UNO IN CARICA INDAGATO 
Tra i destinatari della misura cautelare degli arresti domiciliari l’ex sindaco del Pd Giuseppe Nicosia, primo cittadino per due mandati consecutivi dal 2006 al 2016; e il fratello Fabio, 51 anni, eletto consigliere comunale a Vittoria nella tornata elettorale del 2016. E risulta indagato per corruzione elettorale l’attuale sindaco Giovanni Moscato.
Il primo cittadino, avvocato di 40 anni, per il quale non e’ prevista misura cautelare, con la sua elezione, a capo di liste civiche ed esponente del centrodestra, aveva fatto segnare una svolta storica a Vittoria, un comune che per 70 anni e’ stato retto da un esponente della sinistra. Secondo gli inquirenti, l’ex sindaco e il fratello, nel turno di ballottaggio si
sarebbero schierati per Moscato. 

Applicata, inoltre, la misura interdittiva della sospensione dai pubblici uffici nei
confronti dell’assessore al Bilancio dell’epoca, Nadia Fiorellini, per falsificazione delle autenticazioni delle sottoscrizioni delle liste elettorali.
Le indagini, coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia di Catania, sono state svolte dal Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza che ha eseguito gli arresti
anche a carico di Giombattista Puccio, 57 anni, detto “Titta u ballerinu”, di cui e’ stata accertata nel 2003 la contemporanea appartenenza a Cosa nostra e Stidda, coinvolto in diverse operazioni contro il clan stiddaro “Dominante – Carbonaro” (Operazioni Squalo nel 1994 e “Flash Back” nel 2006) ed e’ indicato da piu’ collaboratori di giustizia quale attuale
esponente di spicco della Stidda; Venerando Lauretta, 48 anni, gia’ condannato per la sua appartenenza al clan “Dominante – Carbonaro”; Raffaele Di Pietro, 55 anni, e Raffaele Giunta, 55 anni, entrambi con vari precedenti penali; i due risultano aver svolto un ruolo di intermediazione attiva nell’accordo criminale stretto tra politica e mafia.

LO SCELLERATO INTRECCIO LUNGO UN DECENNIO
Le Fiamme Gialle hanno effettuato intercettazioni telefoniche, perquisizioni, sequestri e acquisizioni documentali. Un contributo notevole e’ stato fornito anche dalle dichiarazioni
di alcuni collaboratori di giustizia da cui e’ emerso con chiarezza l’intreccio affaristico-politico-mafioso che, nella citta’ di Vittoria, sostengono gli inquirenti, “ha condizionato e orientato le scelte elettorali anche prima delle elezioni amministrative del 2016”. Il quadro delineato dai collaboratori di giustizia e’ infatti molto ampio ed evidenzia come i fratelli Nicosia abbiano ricevuto a Vittoria il sostegno elettorale della “Stidda” sia nelle amministrative del 2006 e 2011, sia nelle regionali e nazionali del 2008 e 2012. Il
convogliamento dei voti, secondo quanto accertato, e’ stato ricompensato dal sindaco Giuseppe Nicosia con l’assegnazione di appalti e posti di lavoro a favore degli attuali coindagati Giunta e Di Pietro. In questo inquietante scenario le attivita’ dei finanzieri del Gico del Nucleo di Polizia Tributaria di Catania hanno consentito di tracciare i contatti tra i fratelli Nicosia ed esponenti di vertice della Stidda, particolarmente attiva in area vittoriese nella gestione economica di interi settori quali la raccolta della plastica e la produzione degli imballaggi per i prodotti ortofrutticoli.