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A proposito dei voucher

C’è un video che dura meno di tre minuti e racconta perfettamente quale sia il problema di fondo di questi nuovi voucher che il governo vorrebbe fare rientrare dalla finestra dopo averli cancellati per la paura di un referendum. È un dialogo spelacchiato tra Michele De Palma, coordinatore nazionale Fiat-auto della Fiom-Cgil e Gennaro Migliore, deputato del PD.

Non c’è bisogno di acume politico e nemmeno di studiare troppo la materia per cogliere dove stia il nodo del “lavoro nero” e quanto siano balbettanti le difese d’ufficio. Qui non si tratta di essere “contro i voucher” ma di essere contro questi voucher. Eccolo qui:

Parabita: il Comune finanzia la mafia con i voucher

(Piccole storie ignobili. Ne parla Il Fatto)

Lo strumento con cui il governo Renzi avrebbe dovuto combattere il lavoro nero, nel Salento, è finito nelle tasche delle cosche di mafia. A Parabita (Lecce) il clan Giannelli, sodalizio storico della Sacra Corona Unita, ha sostenuto nel 2015 l’ultima campagna elettorale di alcuni esponenti politici locali, ricevendo in cambio una serie di favori. Ma risalgono a prima ancora gli scambi tra l’amministrazione e il clan che in città tutto poteva: dall’assunzione di sodali nella ditta che gestisce la raccolta dei rifiuti all’occupazione abusiva di case popolari, dalla gestione di negozi per investire il denaro sporco fino, appunto, all’assegnazione (viziata) di voucher per prestazioni lavorative occasionali. È tutto documentato nella relazione che il prefetto di Lecce Claudio Palomba ha inviato a novembre 2016 al ministero dell’Interno e che ha costituito parte integrante della proposta di scioglimento del consiglio comunale di Parabita, consegnata il 15 febbraio scorso dal ministro Marco Minniti al presidente della Repubblica. Il consiglio dei ministri ha poi deliberato lo scioglimento per infiltrazioni da parte della criminalità organizzata dell’assise cittadina il 17 febbraio e Sergio Mattarella ha firmato il decreto il 4 marzo.

“Ex vicesindaco può favorire ancora il clan”. Il sindaco fa ricorso
La commissione straordinaria (composta dai viceprefetti Andrea CantadoriGerardo Quaranta e al dirigente Sebastiano Giangrande) per i 18 mesi di incarico, fino alle prossime elezioni, avrà il compito di “rimuovere gli effetti pregiudizievoli per l’interesse pubblico”, ma dalla relazione del prefetto e dalla proposta del ministro emergono nuovi dettagli. Non si parla solo dell’ex vicesindaco di Parabita ed ex assessore ai Servizi sociali Giuseppe Provenzano, lista civica Uniti per Parabita (centrodestra), accusato di concorso esterno in associazione mafiosa e già arrestato a dicembre 2015 nell’ambito della maxi-operazione “Coltura”insieme ad altre 21 persone. Se lo stesso Provenzano, infatti, come documentato dalle intercettazioni, si autodefiniva il “santo in Paradiso” del clan, è anche vero che Minniti ha ricordato come sia stata la stessa Corte di Cassazione, in una sentenza dell’aprile 2016 (quindi successiva al blitz), a sottolineare il rischio che l’ex vicesindaco “potesse continuare a favorireesponenti del sodalizio criminale, anche grazie ai contatti con amministratori ancora in carica e indicati come vicini all’associazione mafiosa”. Eppure il primo cittadino Alfredo Cacciapaglia non ci sta e, ritenendo di aver agito sempre all’insegna della legalità, già nei giorni scorsi ha annunciato ricorso contro il decreto di scioglimento.

L’indagine e i rapporti con il clan Giannelli
La maxioperazione fu l’epilogo di un’indagine condotta dai carabinieri del Ros, che fecero luce sui rapporti tra l’amministrazione e il clan Giannelli, sodalizio legato al boss storico Luigi Giannelli (condannato all’ergastolo). A gestire gli affari di famiglia era Marco Antonio Giannelli (tra gli arrestati), al secolo “il Direttore“, figlio del boss. L’inchiesta è alla base anche della relazione della commissione d’inchiesta che ha indagato proprio sul rapporto tra il clan e l’amministrazione comunale di Parabita. Nel frattempo, il 12 ottobre scorso, nel giudizio abbreviato il gup Michele Toriello ha inflitto 18 condanne (20 anni a Marco Giannelli). Provenzano ha scelto il rito ordinario. Nella proposta del ministro Minniti “si dà atto della sussistenza di concreti, univoci e rilevanti elementi su collegamenti diretti e indiretti degli amministratori locali con la criminalità organizzata di tipo mafioso e su forme di un loro condizionamento” e della capacità del sodalizio “di inquinare l’amministrazione comunale di Parabita”.

“Il patto col gruppo mafioso per la campagna elettorale”
Nella relazione del ministro si sottolinea il ruolo dell’ex vicesindaco Provenzano, come “veicolo consapevole per favorire gli interessi criminali, sulla base di un vero e proprio patto di scambio politico-mafioso”. Secondo questa tesi, “pur non essendo inserito organicamente nel sodalizio”, l’amministratore “si è dimostrato a completa disposizione del clan”. Si parte dal voto di scambio: il gruppo mafioso, infatti, “ha pubblicamente e palesemente sostenuto la campagna elettorale di alcuni esponenti politici locali”. Una vicinanza evidente anche dalle esternazioni che i vertici del sodalizio hanno pubblicato in rete sulla vittoria elettorale incassata a maggio 2015.

Voucher, rifiuti, alloggi popolari: i presunti favori
Nella proposta di scioglimento si fa poi riferimento all’assegnazione di contributi economici e voucher per prestazioni lavorative occasionali avvenuta con “procedura viziata”, ossia dopo un sorteggio pubblico che si svolgeva alla presenza di dipendenti del Comune o di soggetti non identificati. Tra i beneficiari, i soliti esponenti della criminalità organizzata, loro familiari o persone frequentate abitualmente dai sodali. Il prefetto Palomba ha descritto l’impegno dell’amministrazione ad assumere appartenenti al clan presso la ditta che gestisce la raccolta dei rifiuti solidi urbani del Comune.

Anche la commissione d’indagine ha messo in luce “le discutibili modalità di affidamento del servizio di igiene urbana” a una ditta che si è aggiudicata l’appalto alla fine di un procedimento che si era concluso a favore di un’altra impresa, la cui offerta è stata poi ritenuta anomala dalla commissione di gara. E, sempre, in tema, c’è la questione delle assunzioni del capoclan e di due sodali all’interno della stessa ditta, dal gennaio 2010 (poco prima dell’insediamento del sindaco, all’epoca al suo primo mandato). I tre sono stati poi stabilizzati il 3 aprile 2013, cosa che ha comportato “un aumento del costo annuale del servizio”. Si è passati dai 945mila euro del 2012 (con 27 dipendenti a tempo indeterminato) a un milione e 45mila euro del 2013 (con 33 dipendenti), per un costo di 100mila euro per l’ente. Tuttora l’impresa in questione svolge la propria attività grazie a diverse proroghe, disposte dal Comune con ordinanze sindacali e delibere di giunta in attesa delle procedure di gara dell’ambito.

Ma il Comune non avrebbe fatto nulla nemmeno per contrastare l’occupazione abusiva degli edifici pubblici, permettendo anzi che esponenti del clan utilizzassero senza alcun diritto gli alloggi popolari. Il sindaco avrebbe, invece, “requisito con propria ordinanza alcuni beni, destinandoli a soggetti che non rientravano nella graduatoria ufficiale degli aventi diritto”. Tra queste persone, anche un pregiudicato che era solito frequentare il clan. Ci sarebbero, poi, stati dei contatti tra l’amministrazione e il sodalizio affinché Marco Antonio Giannelli potesse riciclare il denaro sporco in attività commerciali, attraverso un prestanome.

E mentre il 10 gennaio 2016, in occasione di un incontro di calcio al campo sportivo comunale, un gruppo di tifosi ha inneggiato slogan in favore del vicesindaco che era stato arrestato poche settimane prima, il sindaco e alcuni assessori si sono guardati bene dal partecipare alla marcia per la legalità, organizzata a Parabita in concomitanza con l’incontro di calcio ed alla quale erano invece presenti i consiglieri di minoranza e tre di maggioranza.

(fonte)

«Non possiamo dire mai di no e metà del lavoro resta al nero»: una vita appesa al voucher

(di Ignazio Riccio)

Il nuovo volto del precariato ha paura a raccontarsi. Quella dei “voucheristi” è una realtà ancora inesplorata: tutti ne parlano, ma pochi li conoscono di persona. Hanno bisogno estremo di lavorare e temono di essere estromessi dal giro perverso dei “buoni lavoro”. Andrea (il nome è di fantasia) ci ha messo un po’ di tempo prima di accettare di rispondere alle nostre domande. «Vi parlo della mia vicenda, ma niente registrazione e soprattutto nessun nome o riferimento all’azienda. Mi scusi, ma meglio sfruttato che disoccupato» dice. Andrea, che abita nella periferia del Napoletano, ha trentacinque anni, una moglie, un figlio piccolo e un lungo mutuo sulle spalle. Lavora come cameriere in un importante albergo di Napoli, apparentemente con gli stessi ritmi e mansioni dei suoi colleghi con contratti di subordinazione. Ma lui è pagato con i voucher e formalmente “imprenditore di se stesso”. «Non abbiamo alcuna tutela e se perdo il posto di lavoro non saprei come vivere».

Il suo datore di lavoro è proprietario di più strutture ricettive e utilizza i voucheristi a seconda delle esigenze del momento. «Ci fa girare come trottole, per riempire i buchi lavorativi e ci chiama quando serviamo. A volte veniamo avvisati anche la sera prima per la mattina dopo e dobbiamo essere sempre disponibili, altrimenti non veniamo più reclutati». Basta un no e sei fuori dal giro. Andrea parla al plurale: nelle sue condizioni ci sono altri precari. «Non so quanti colleghi vengono pagati con i voucher, non possiamo saperlo, ma con qualcuno di loro ho fatto amicizia e parliamo. Conosco altre persone che, addirittura, vengono utilizzate da datori di lavoro diversi, d’accordo tra loro, per coprire alcuni turni. Un modo perverso di solidarizzare tra imprenditori, sfruttando le necessità dei lavoratori, disposti a tutto pur di portare soldi a casa. E quando dico disposti a tutto mi riferisco a pratiche ancora più gravi».

Andrea rivela le modalità di pagamento. «Spesso i voucher non coprono effettivamente le ore di lavoro effettuate e veniamo pagati anche in nero. I buoni lavoro servono da copertura in caso di controlli». Il voucher è utilizzato come strumento di immersione. Con questo sistema è più facile frodare lo Stato rispetto al passato, pagando il lavoratore in parte con i buoni e in parte in nero. Di contro, nonostante alcuni i accorgimenti adottati dal governo lo scorso mese di ottobre, non esiste tracciabilità, per cui anche gli ispettori Inps hanno difficoltà a far emergere le irregolarità. «Non credo di esagerare dicendo che siamo schiavizzati. Pensi che se per stanchezza commettiamo un errore e procuriamo un danno economico i soldi ci vengono scalati dalla paga. Poche sere fa, nel portare l’immondizia all’ingresso dell’albergo, ho fatto cadere la busta sul tappeto sporcandolo in diversi punti. Sa cosa mi tocca?». Ad Andrea verrà sottratto il costo della lavanderia dai voucher e lui non potrà dire nulla, ingoierà il rospo come sempre, poiché a casa ci sono suo figlio e sua moglie.

(la storia è sul numero di Left in edicola, o in digitale qui)

V come voucher: ecco i numeri (ragionati)

Un lavoro enorme di Davide Serafin per Possibile. Una risposta a chi dice che per valutare i voucher bisogna aspettare i numeri. Come scrive Davide (qui):

I numeri, alcuni, importanti, ci sono già. Non serve aspettare. Avete qualche dubbio, cari ministri? L’INPS ha già fatto un importante lavoro di raccolta e analisi dei dati. Li abbiamo messi insieme e interpretati.

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(potete scaricarlo qui)

 

I Voucher. E quei dati che gridano Vendetta.

Tanto per essere un po’ più precisi del ministro Poletti e delle bugie di governo. 

La corsa dei Voucher continua indisturbata. La dinamica di crescita è sempre più sostenuta: a Luglio è stata superata la quota di 14 milioni di buoni venduti (nell’arco di un solo mese). Se continua così, a fine anno saranno ben 2,2 milioni i lavoratori coinvolti.

Nel corso del Consiglio dei Ministri n. 131 dello scorso 23 Settembre, sono state approvate le modifiche alla disciplina contenuta nel Decreto Legislativo n. 81/2015, altrimenti noto come Jobs Act: le prestazioni di lavoro accessorio devono essere comunicate all’Inail, tramite SMS o email, almeno sessanta minuti prima della loro erogazione. Dovranno essere scambiate alcune informazioni circa il lavoratore coinvolto, i suoi dati anagrafici o il codice fiscale, il luogo, il giorno, l’ora di inizio e fine della prestazione lavorativa.

Nessuna restrizione circa il settore di applicazione, o la durata complessiva del rapporto di lavoro. Nessuna revisione circa il limite retributivo annuo, lasciato inalterato a 7 mila euro complessivi.

Abbiamo raccolto alcuni numeri fondamentali che testimoniano la crescita esponenziale di questo fenomeno, a tutti gli effetti frontiera del precariato. Sì, perché, sebbene le intenzioni fossero quelle di far emergere il sommerso, lo strumento ha finito per fallire l’obiettivo iniziale. Secondo Tito Boeri, se consideriamo gli uomini in età centrali, solo lo 0,2% di essi emerge da rapporti di lavoro nero (cfr. XV Rapporto Annuale INPS).

Accedono ai voucher soprattutto giovani (Il 43% ha meno di 29 anni) e donne (il 51% dei prestatori d’opera). Escludendo i pensionati (che incidono per l’8% sulla platea complessiva), l’età media scende a 30 anni! Nel 23% dei casi, si tratta di lavoratori alla loro prima esperienza. Il Voucher è lo strumento della prima socializzazione al lavoro per i ventenni. Ricevono pochissimo: circa 500 euro l’anno. In tre casi su dieci, il percettore di voucher è un lavoratore dipendente, part-time. Solo lo 0,4% guadagna più di 5 mila euro l’anno mediante i buoni.

(continua qui)

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Provare, con pazienza artigianale, a ricostruire i fatti

Sì lo so che rischia di sembrare noioso e inascoltato. Ma a noi piace così. Come dice Pippo (qui):

«Il lavoro di un anno ha dato ottimi frutti di analisi e di decostruzione (debunking) delle cose fatte in questi mesi e in questi anni dal governo italiano.

Qui di seguito una breve rassegna, in costante evoluzione, grazie soprattutto al lavoro di Davide Serafin:

Per incominciare, la Gattoparda, ovvero un’analisi sugli 80 euro e sulla disuguaglianza.

Poi i voucher e la loro crescita senza limiti.

Ancora, sulla decontribuzione, le anatre di Poletti, il doping (che non fa più effetto) e i suoi costi.

Infine, sull’accoglienza, le parole del premierquelle di un suo fan e la ruspa che cozza con i dati

Prendere la politica terribilmente sul serio. Ad esempio.

«I voucher non funzionano»: lo dice anche Boeri

precarietà

Quello che si dice da tempo da queste parti ora lo ripete a chiare lettere anche Tito Boeri e forse sarebbe il caso di riflettere, senza fare gli offesi:

“I voucher sono nati per regolarizzare il lavoro accessorio, creare opportunità di lavoro e integrazione per le fasce più marginali del mercato del lavoro, ma hanno avuto uno sviluppo diverso: in alcuni casi abbiamo una precarizzazione evidente, con lavoratori a tempo indeterminato o determinato che adesso hanno i voucher, e in questo senso sono anche controproducenti”.

Lo afferma Tito Boeri, presidente dell’Inps, in un’intervista al Tg Zero di Radio Capital. “L’altro grande obiettivo – prosegue Boeri – era quello dell’emersione del nero, e per il momento non sembra esserci grande evidenza: quello che viene fuori è che non sono tanti i lavoratori nelle fasce centrali d’età, si vedono poche persone che prima non lavoravano che di colpo prendono voucher. Il livello dei contributi che raccogliamo è basso, circa 150 milioni, lo 0.2% dei contributi totali dei lavoratori dipendenti, mentre i lavoratori che percepiscono voucher sono l’8%: è molto meno di quello che si potrebbe pensare alla luce del numero delle persone coinvolte”

(fonte)