C’è qualcosa di poeticamente nostalgico nella “gioia” di Andrea Delmastro. Non quella gioia banale dei comuni mortali – un tramonto, un abbraccio, una vittoria della nazionale. No, la gioia del nostro sottosegretario alla Giustizia è più selettiva: si accende quando può vantarsi di “non far respirare” i detenuti nelle auto della penitenziaria. Del resto, cosa c’è di più eccitante per un uomo di governo che poter togliere il fiato a qualcuno? È la versione ministeriale del bullo di quartiere, solo che invece della giacchetta firmata ha la delega alla Giustizia. E mentre nelle carceri si muore (ottanta suicidi quest’anno, ma chi li conta più?), lui si crogiola nel sua esibizione muscolare.
La verità è che Delmastro non ha confuso solo il ministero della Giustizia con quello della Vendetta di Stato. Ha proprio sbagliato secolo. Si è svegliato una mattina convinto di essere nel 1924, quando certi metodi erano non solo tollerati ma applauditi. Peccato che nel frattempo sia passata una Costituzione, qualche convenzione sui diritti umani, e persino l’abolizione della pena di morte. E mentre l’Anpi parla di “deliri da macellaio sadico” e molti chiedono le dimissioni, il nostro continua imperterrito e ben protetto. Ma forse dovremmo ringraziarlo. In un governo che cerca disperatamente di darsi una verniciata di rispettabilità, Delmastro ci ricorda chi sono davvero. Quella “gioia” nel far soffrire vale più di mille analisi politiche. È la fotografia perfetta di chi confonde la forza con la violenza, la giustizia con la vendetta, il dovere istituzionale con il sadismo da quattro soldi.
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