Scritto per Il Fatto Quotidiano
Nino Di Matteo cammina per Palermo con la scorta rafforzata che sembra un film degli anni ’80. Siamo un Paese che ultimamente ha ingoiato scorte patetiche dei signorotti o dei lacchè del re, che ha fantasticato sulle scorte “poetiche” da farci un film con un pizzico di commozione e che ha subito le sirene per un comizio in piazza di qualche Ministro. Di Matteo no: Di Matteo ha intorno il rischio a forma di paura, quello che a Palermo non si annusava dagli anni bui di una mafia che si lasciava andare con facilità alla polvere da sparo.
Forse non è un caso che Nino Di Matteo sia anche il magistrato che si occupa del delicato processo sulla trattativa Stato-Mafia, che prima è esploso in faccia ai negazionisti furibondi da talk show e oggi si è risotterrato tra le “cose che riguardano il passato”. Un processo che nell’informazione sta diventando un argomento per collezionisti e non importa se alla sbarra ci siano (alla stessa sbarra) politici e boss mafiosi che insieme disegnerebbero una foto devastante per la credibilità della democrazia italiana degli ultimi vent’anni.
Quando Salvatore Borsellino parlava di trattativa nei suoi incontri pubblici (lui e pochi altri “forsennati”) era facile relegarlo tra gli “allarmisti professionisti”. L’allarmista ha sostituito negli ultimi tempi il “professionista dell’antimafia” nel computo degli insulti istituzionali volti a delegittimare le battaglie antimafia. Allarmisti, rimestatori nel torbido, esagitati e visionari: chiunque parlasse di trattativa veniva fatto salire in fretta e furia nella “nave dei folli”.
Ora che quella perversione è diventata un processo sarebbe da tenere tra le mani con la cura di un buon padre di famiglia, sarebbe da osservare con l’attenzione di uno Stato che vuole essere garante della consapevolezza collettiva ed è, soprattutto, da proteggere.
Per questo la paura intorno a Nino Di Matteo è soprattutto la paura che si vorrebbe iniettare negli ultimi decenni politici per smussare la curiosità che ci dobbiamo e il vuoto intorno a Di Matteo sarebbe la latitanza più grave.
Per questo forse sarebbe meglio evitare gli editoriali sui pisolini in Parlamento e dedicarsi a questo vuoto istituzionale che si finge stretto intorno a Di Matteo. C’è un’aria grigia giù a Palermo. E una politica che può smettere di essere uguale a sé stessa.
(Ps per i fans delle “larghe intese con il Pdl: un’alleanza oggi con un processo del genere in corso è “concorso politico esterno”. Per dire.)