Il rapporto delle Nazioni Unite smonta le rassicurazioni dell’Unione europea e del governo italiano sulla sicurezza della Tunisia come Paese sicuro per le persone migranti. Non si tratta di opinioni, ma di fatti documentati: espulsioni forzate verso zone di conflitto, condizioni disumane nei campi di detenzione e violazioni sistematiche dei diritti fondamentali. Tra gennaio e luglio 2024, si contano almeno 265 morti durante le operazioni di intercettazione in mare, senza contare le migliaia di vite sospese tra maltrattamenti e sparizioni forzate.
“Garantire il diritto alla vita significa proteggere i diritti fondamentali, oltre il mero pericolo fisico”, sottolinea il rapporto, evidenziando come la nozione di “luogo sicuro” richieda condizioni ben lontane dalla realtà tunisina. Eppure, Bruxelles insiste con il memorandum, finanziando un sistema che amplifica sofferenze e abusi, in barba ai principi di non-refoulement sanciti dal diritto internazionale.
Giorgia Meloni, che presenta la Tunisia come baluardo della stabilità nel Mediterraneo, deve confrontarsi con queste verità. Difendere un accordo del genere non è solo una scelta politica, è un fallimento morale. Ai posteri, la domanda: quante vite ancora dovranno essere spezzate prima che qualcuno ammetta l’errore? Quanto ancora dovremmo sentire negare la realtà prima che diventi storia e ci venga sbattuta in faccia L’empietà di questo tempo ha colpevoli di cui conosciamo i nomi e i cognomi.
Buon mercoledì.
Nella foto: la presidente del Consiglio Giorgia Meloni incontra il presidente tunisino Kais Saied, Tunisi, 17 aprile 2024