Vi prego basta, per favore basta con i profumi e i vestiti di Matteo Messina Denaro. Nemmeno i tre giorni che ormai sono passati sono serviti per raddrizzare il tiro e focalizzarsi su ciò che di più conta: alcuni degli amici, anche potenti, di Matteo Messina Denaro li conosciamo già. Sappiamo i loro nomi e i loro cognomi e sarebbe il caso di scriverli, ripeterli, dirceli, almeno per smontare questa assurda narrazione del boss utile per farci un film o un libro ma alieno in questo nostro Paese.
Basta con i profumi e i vestiti di Matteo Messina Denaro. Alcuni nomi e cognomi ci sono già
Parliamo ad esempio di ciò che raccontano il collaboratore di giustizia Vincenzo Sinacori e l’ex senatore Vincenzo Garraffa, che nel 1994 Messina Denaro si attivò per far votare Antonio D’Alì (rampollo della famiglia D’Alì Staiti per la quale il padre aveva lavorato), candidato nelle liste del Popolo della Libertà, per l’allora nuovo movimento politico “Forza Italia”: infatti alle elezioni politiche del marzo quell’anno D’Alì risultò eletto al Senato con 52mila voti nel collegio senatoriale di Trapani-Marsala, e venendo rieletto per altre tre legislature.
D’Alì nel 2001 venne nominato sottosegretario di Stato al Ministero dell’interno nei Governi Berlusconi II e III fino al 2006. Raccontiamo di Giuseppe Grigoli, proprietario dei supermercati Despar nella Sicilia orientale, condannato per mafia e riciclaggio (erano i soldi di Messina Denaro) e a cui hanno confiscato qualcosa come 700 milioni di euro. Raccontiamo di un elettricista diventato imprenditore in brevissimo tempo, Vito Nicastri, che tra il 2002 e il 2006 aveva ottenuto il più alto numero di concessioni in Sicilia per costruire parchi eolici e riciclare il denaro di Messina Denaro.
Raccontiamo di Carmelo Patti, proprietario di Valtur considerato anch’egli favoreggiatore e prestanome di Messina Denaro: il sequestro di oltre un miliardo e mezzo di euro è stato eseguito nel novembre 2018. Ricordiamo che esponenti di una cosca vicina a Messina Denaro sono stati arrestati per aver trasferito in Sicilia una somma di denaro guadagnata con l’allestimento di alcuni stand dell’Expo di Milano del 2015.
Le indagini in quel caso hanno portato a indagare anche il vicepresidente di Unicredit Fabrizio Palenzona. Anche a San Marino si è trovato un legame: un professionista ha avuto contatti email con uno stretto collaboratore di Messina Denaro. E ancora. La Direzione Investigativa Antimafia ha sequestrato nel 2017 alcune società riconducibili a Gianfranco Becchina, che era stato indagato per traffico di reperti archeologici, che avrebbe avuto legami con lui.
Tra i beni sequestrati risulta anche un’ala del castello di Castelvetrano di Federico II del 1239, divenuto Palazzo ducale dei principi Pignatelli. Poche ore dopo il sequestro, scoppia un incendio nell’ala del palazzo appena sequestrato e alcuni documenti vengono distrutti. In seguito a ciò è stata avviata un’indagine.
Ancora: il 15 dicembre 2020 vengono arrestate 13 persone, molti dei quali fiancheggiatori di Messina Denaro tra cui Salvatore Barone, ex direttore dell’azienda dei trasporti Atm di Trapani, compresi numerosi imprenditori e uomini appartenenti alle famiglie mafiose di Alcamo e Calatafimi.
Tra gli indagati anche il sindaco di Calatafimi Segesta, Antonino Accardo, per corruzione elettorale. E poi c’è la massoneria: logge coperte come la “Scontrino”, di cui facevano parte persone di ogni livello sociale. Lo stesso si può dire per “La Sicilia”. Questi sono i nomi da fare. Di questo dobbiamo discutere. Un bel pezzo della rete di Messina Denaro è già sotto i nostri occhi. Ed è molto più importante dei profumi.
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