Su Repubblica di oggi un pezzo di Roberto Esposito che merita una riflessione politica ed è il punto di partenza del ripensare la Lombardia:
L’aumento della disuguaglianza globale – appena temperata dalla straordinaria performance di Paesi fino a poco fa poveri come la Cina e l’India – è il prodotto della sovrapposizionetra il dislivello interno ai singoli Stati e quello relativo al loro confronto, anch’esso aumentato, già a partire dalla rivoluzione industriale e poi sempre di più. Al punto che, se nel 1820 la distanza tra i Paesi più ricchi e quelli più poveri era di 3 a 1, oggi è di 100 a 1 o che, per guadagnare quanto un privilegiato guadagna in un anno, un disagiato dovrebbe lavorare due secoli. Ciò significa che i più indigenti degli Americanistanno meglio dei più abbienti dei due terzi della popolazione mondiale. Tutt’altro che restringere questo gap, come ci poteva aspettare, la globalizzazione lo ha ulteriormente allargato, perché gli operatori dei Paesi ricchi tendono ad investire in altri Paesi ricchi e perché la tecnologia avanzata non si distribuisce in maniera omogenea e gratuita.
La domanda che a questo punto si pone è relativa da un lato alla sostenibilità e dall’altro all’accettabilità di tale stato di cose. L’ondata immigratoria dei “dannati di mare”, che si sono aggiunti a quelli della terra, fornisce una risposta inquietante, anche in considerazione del numero spaventoso delle vittime. È possibile che in un mondo in cui circolano liberamente capitali, informazioni, tecnologie, gli esseri umani siano gli unici a non potersi spostare? Se la situazione non è ancora esplosa è perché manca una connessione mondiale tra i vari tipi di povertà. Ma non può reggere a lungo, sdoppiandosi in due possibilità alternative. O attraverso nuove politiche ridistributive si tornerà a far crescere il reddito dei poveri del mondo o una massa sempre più ingente di persone si riverserà in quello dei ricchi. Ma al di là della sostenibilità del sistema, si apre una questione etica, ormai ineludibile, per ciascuno di noi. A partire da quei ceti medi, in procinto di essere trascinati in basso, da cui dipende spesso l’esito delle elezioni politiche nei Paesi democratici.