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Un anno dopo la sua morte si può dire che Michela Murgia aveva ragione sul fascismo di ritorno – Lettera43

Controllo dei corpi, discriminazione delle minoranze, restrizione delle libertà personali: tutto ciò che la scrittrice aveva paventato sull’avvento di una strisciante autocrazia culturale si sta verificando. Per onorarla, bisogna denunciare e resistere come avrebbe fatto lei. Sta a noi decidere se essere oppositori o complici di quest’epoca cupa.

Un anno dopo la sua morte si può dire che Michela Murgia aveva ragione sul fascismo di ritorno

Un anno dopo che non c’è più Michela forse i precipitati siamo noi. Siamo noi che ci siamo spesi a difenderla e avremmo potuto ascoltarla di più, siamo noi che già al primo anno dalla sua scomparsa ci ritroviamo a commemorarla con quel misto di vergogna che accompagna certe celebrazioni che danno le vertigini per l’indolenza. Io li ricordo bene quelli che la dileggiavano quando parlava di fascismo di ritorno. Non dico tanto i fascisti, gli accoliti o i compari di questo governo Meloni, per quelli Michela Murgia è la criptonite per Superman, vomitano bile perché non riescono a trovare le parole. Ricordo bene però quelli che sono considerati progressisti, che oggi la piangeranno e allora pensavano che l’allarme fosse ingiustificato.

Qualcuno aveva liquidato le sue parole come eccessivo allarmismo

Michela ci aveva avvertito. Con lucidità chirurgica aveva diagnosticato i sintomi di un fascismo strisciante, un’autocrazia culturale che si insinuava nelle pieghe della nostra democrazia. Qualcuno ha fatto spallucce. Abbiamo liquidato le sue parole come allarmismo, come iperbole retorica di un’intellettuale troppo sensibile. Oggi, a un anno dalla sua scomparsa, ci ritroviamo a fare i conti con una realtà che sembra uscita dalle sue più cupe previsioni. Il controllo dei corpi, la discriminazione delle minoranze, la restrizione delle libertà personali: tutto ciò che Michela aveva paventato si sta materializzando sotto i nostri occhi, con la nonchalance di chi pensa di agire per il bene comune.

Un anno dopo la sua morte si può dire che Michela Murgia aveva ragione sul fascismo di ritorno
Michela Murgia (Getty).

Hanno trasformato la paura in politica, l’ignoranza in virtù, l’intolleranza in patriottismo

Non è arrivato con stivali e manganelli, questo nuovo fascismo. È arrivato in giacca e cravatta, con il sorriso sulle labbra e la retorica del “prima gli italiani“. Si è infiltrato nei media, nelle istituzioni, persino nel linguaggio quotidiano. Ha trasformato la paura in politica, l’ignoranza in virtù, l’intolleranza in patriottismo. E noi, che facciamo? La commemoriamo, Michela, perché è così facile, mica come raccogliere il testimone della sua lotta. Ci culliamo nell’illusione che basti un post sui social, una fiaccolata, un minuto di silenzio. Ma il fascismo, quello vero, quello che Michela ci ha insegnato a riconoscere, non si combatte con i like o con le candele accese. Si combatte con l’azione quotidiana, con la resistenza culturale, con il rifiuto di normalizzare l’inaccettabile.

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Un cartello di ringraziamento durante il funerale di Michela Murgia (Imagoeconomica).

Il fascismo si nutre dell’indifferenza e della rassegnazione

Michela ci ha lasciato gli strumenti per decifrare questa deriva autoritaria. Ci ha mostrato come il fascismo si nutra dell’indifferenza, della rassegnazione, della convinzione che «tanto non cambierà mai nulla». Ci ha insegnato che il fascismo non è solo un sistema politico, ma un metodo, un modo di pensare e di agire che può infiltrarsi anche nelle democrazie più consolidate. E allora nell’anniversario, invece di piangerla, onoriamola davvero. Facciamo nostre le sue battaglie, la sua intransigenza morale, la sua capacità di chiamare le cose con il loro nome. Non lasciamo che il suo pensiero diventi un’icona inoffensiva, un santino da esporre nelle librerie dei salotti buoni.

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Un’illustrazione dello street artist Claudiano.jpeg, “Michela Murgia Bonaparte”, a Milano (Getty).

Cosa farebbe Michela Murgia se fosse qui? Alzerebbe la voce

Ricordiamoci delle sue parole: «Voi vi aspettate che il fascismo vi bussi a casa con il fez e la camicia nera e vi dica: “Salve, sono il fascismo, questo è l’olio di ricino“? Non accadrà così». No, non è accaduto così. È accaduto in modo subdolo, graduale, quasi impercettibile. Ma non per questo meno pericoloso. Oggi, mentre i tributi si sprecano, chiediamoci: cosa farebbe Michela Murgia se fosse qui? Sicuramente non si accontenterebbe di parole di circostanza. Alzerebbe la voce, denuncerebbe, lotterebbe. E soprattutto, ci spingerebbe a fare altrettanto.

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Una donna con un cartello per Michela Murgia durante la manifestazione dell’8 marzo (Getty).

Serve un futuro di libertà, di uguaglianza, di diritti per tutti

Perché il vero omaggio a Michela Murgia non è celebrare il suo passato, ma costruire il futuro che lei ha immaginato. Un futuro di libertà, di uguaglianza, di diritti per tutti. Un futuro in cui il fascismo, in tutte le sue forme, sia relegato nei libri di storia e non nelle cronache quotidiane. Questo è il compito che ci ha lasciato. Questa è l’eredità che dobbiamo raccogliere. Non possiamo permetterci il lusso dell’indifferenza o della rassegnazione. Un anno dopo, il modo migliore per ricordare Michela è essere Michela. Alzare la voce, denunciare, resistere. Perché, come ci ha insegnato, ogni epoca ha il suo fascismo. Sta a noi decidere se esserne oppositori o complici.

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