Sono molti e diversi i motivi per cui Brancher ministro dovrebbe accendere rigurgiti insopportabili e non sopportati da un Paese che ha perso il gusto del risveglio: la storia di Brancher, innanzitutto, è un sentiero di ombre che mette le radici nelle pieghe di quella Prima Repubblica che è stata “riciclata” piuttosto che essere confiscata e riassegnata ad uso sociale.
Aldo Brancher è sempre stato ad un soffio dalla quasi condanna grazie all’uso spregiudicato delle pieghe “garantiste” e rassicuranti della politica dell’impunità: detenuto per 3 mesi nel carcere di San Vittore, fu uno dei pochissimi inquisiti di Mani pulite a ricevere solidarietà dall’ambiente esterno: lo rivelò il suo datore di lavoro Silvio Berlusconi raccontando che “quando il nostro collaboratore Brancher era a San Vittore, io e Confalonieri giravamo intorno al carcere in automobile: volevamo metterci in comunicazione con lui”. Scarcerato per decorrenza dei termini di custodia cautelare, è stato condannato con giudizio di primo grado e in appello per falso in bilancio e finanziamento illecito al Partito Socialista Italiano. In Cassazione il secondo reato va in prescrizione, mentre il primo è stato depenalizzato dal Governo Berlusconi II, del quale faceva parte. Viene indagato a Milano per ricettazione nell’indagine sullo scandalo della Banca Antonveneta e la scalata di Gianpiero Fiorani all’istituto creditizio: la Procura ha rintracciato, presso la Banca Popolare di Lodi, un conto intestato alla moglie di Brancher con un affidamento e una plusvalenza sicura di 300mila euro in due anni.
Oggi il neo ministro del neonato e patetico “Ministero per il federalismo” decide di sfoderare il “legittimo impedimento” per l’udienza prevista domani mattina. Deve organizzare il proprio ministero, dice sornione. Primo buco libero nella fitta agenda del servile ministro è per il prossimo 7 ottobre. In un Paese civile si scenderebbe in piazza, si chiamerebbe la rivoluzione della dignità che viene fatta marcire sotto le suole di un Governo che ha superato il limite dell’oltraggio non solo alla democrazia ma anche alla Costituzione, ai cittadini, alle Istituzioni, alla Giustizia e alla decenza.
Ecco, se si dovesse trovare un aggettivo per abbigliare questo momento politico, “indecente” sarebbe il più calzante. L’indecenza di un ministero lanciato come una ciambella di salvataggio. L’indecenza di un potere che usava l’impunità per preservarsi e ora pornograficamente nomina potere per impunirsi. L’indecenza di un sorriso che sta sulla faccia di un presunto ladro mentre sfugge al giudizio e tutto intorno gli arredi di palazzo della Repubblica Italiana, i fotografi delle grandi occasioni, il Presidente che stringe la mano, le congratulazioni del Governo, la compostezza dei messi, i flash da cerimonia, gli uffici stampa che hanno raccontato sessant’anni di storia, i braccioli dei padri costituenti.
In mezzo, un ministro in calzamaglia e senza maschera come la pagina di un giornaletto erotico incollata a forza in mezzo ad un manuale di Storia. Come un pacchetto scagazzato lasciato a tutti i cittadini, al mattino presto, fuori dalla porta. Un ministro indecente. L’ennesimo e non l’ultimo. Di una rivoluzione che russa.