Considero il caso di Attilio Manca uno scempio istituzionale nei confronti della sua famiglia, della verità e della giustizia. Per questo credo che debba impegnarmi anch’io al limite delle mie forze. Intanto vale la pena leggere le parole della madre, Angela:
“Credo che sull’omicidio di Attilio Manca non si voglia fare luce, anzi, stanno cercando di ostacolare ogni nostra iniziativa finalizzata all’ottenimento della verità, sia sulla morte di mio figlio, sia sulla latitanza ‘dorata’ di Bernardo Provenzano, coperta per oltre 40 anni da pezzi importanti dello Stato. Si sono verificati troppi episodi strani, anche recentemente, per poter pensare a delle semplici coincidenze: dalla strano ‘suicidio’ per ‘impiccagione’ in carcere di Francesco Pastoia, braccio destro di Provenzano, agli strani lividi con i quali lo stesso Provenzano è stato trovato in carcere”.
Angela Manca non ha peli sulla lingua. Pesa le parole, ma mette in fila i fatti che riguardano la morte del figlio Attilio Manca, brillantissimo urologo di 24 anni, originario di Barcellona Pozzo di Gotto (Messina),trovato cadavere la mattina del 12 febbraio 2004 nel suo appartamento di Viterbo, città dove era in servizio da un paio di anni, Per i magistrati laziali, il decesso del medico è da attribuire a un mix micidiale di eroina, alcol e tranquillanti trovati nell’organismo della vittima; per i familiari, invece, all’operazione di cancro alla prostata subita dal boss Bernardo Provenzano nel 2003 a Marsiglia, alla quale Attilio avrebbe preso parte. La Procura di Viterbo è certa dell’”inoculazione volontaria”, in virtù di due buchi trovati nel braccio sinistro dell’urologo (quello sbagliato: Attilio era mancino puro) e di due siringhe rinvenute a pochi metri dal cadavere. La famiglia accusa i magistrati laziali di aver costruito un castello di bugie, a cominciare dal mancato rilievo delle impronte digitali sulle siringhe, effettuato solo otto anni dopo, che tra l’altro non ha dato alcun esito, per passare alle foto del cadavere scattate pochi minuti dopo dalla Polizia, che non sarebbero state tenute in considerazione: dalle immagini si vede il volto di Attilio Manca sporco di sangue, il setto nasale deviato, le labbra gonfie, i testicoli enormi, con lo scroto striato da una evidente ecchimosi, segnali questi, più compatibili con una colluttazione che con una morte da overdose. Ma in verità è l’intera l’impalcatura investigativa a non convincere.
L’on. Sonia Alfano, ex presidente della Commissione antimafia europea, nel volume “Un ‘suicidio’ di mafia”, Castelvecchi editore, dice: “Quando andai a visitare Provenzano in carcere, lo trovai pieno di botte. Gli chiesi: ‘Signor Provenzano, si rende conto che stanno facendo pagare solo lei, mentre gli altri sono fuori dal carcere?’. E lui: ‘Non possiamo parlare fuori?’. Aveva paura. Aveva punti di sutura al sopracciglio, un livido alla guancia e un livido alla mandibola”.
Signora Manca, perché collega il “suicidio” di Pastoia con l’episodio denunciato dall’on. Alfano? Che c’entrano i due episodi con la morte di suo figlio?
“Saranno anche delle coincidenze, ma Pastoia (intercettato dalle ambientali), aveva parlato di un ‘dottore’ che, oltre ad essere presente in sala operatoria a Marsiglia durante l’intervento di cancro alla prostata alla quale si era sottoposto il boss nell’autunno del 2003, avrebbe curato Provenzano prima e dopo l’intervento. Pochi giorni dopo Pastoia morì e la sua tomba venne violentemente profanata nel cimitero di Belmonte Mezzagno. Vogliamo sapere chi è questo ‘dottore’. Perché una cosa è chiara: un urologo deve aver diagnosticato il tumore a Provenzano, e deve averlo curato dopo l’operazione”.
Andiamo ai lividi di Provenzano.
“Sono comparsi dopo che Sonia Alfano aveva chiesto testualmente: ‘Signor Provenzano, ricorda il giovane medico Attilio Manca?’. Il boss non disse di non conoscerlo. Rispose: ‘Amo a mettiri mmenzu autri cristiani?’, dobbiamo mettere in mezzo altre persone?, riferendosi probabilmente a quella rete di personaggi dello Stato che lo ha protetto per tanti decenni. Se è una coincidenza, anche questa è molto singolare”.
Come giudica la clamorosa ritrattazione del boss dei Casalesi, Giuseppe Setola, che recentemente si è pentito di essersi pentito proprio nel momento in cui ha svelato ai magistrati palermitani, Nino Di Matteo e Roberto Tartaglia (che si occupano della Trattativa Stato-mafia) alcuni retroscena sulla morte di Attilio Manca?
“Un altro episodio singolare. Da maggio Setola aveva detto chiaramente quello che sosteniamo noi da dieci anni: ovvero che la morte di Attilio non è dovuta ad overdose di eroina, ma sia da collegare all’operazione di Provenzano. Attenzione: Setola non fa marcia indietro mentre sta raccontando questi retroscena. Decide di non parlare più quando le sue dichiarazioni segrete vengono rese pubbliche, Infatti non smentisce quello che ha detto, dice di temere per i suoi familiari. Evidentemente non si è sentito protetto dallo Stato”.
Eppure il capo della Direzione distrettuale antimafia di Roma, Giuseppe Pignatone, dopo le sue dichiarazioni, ha aperto un fascicolo di indagine “modello 45” sulla morte di Attilio Manca.
“Non sono un’esperta di diritto, ma so che il “modello 45” è un procedimento blando, che temo non porterà a niente. Del resto, il sostituto procuratore Michele Prestipino, da sempre in sintonia con Pignatone, ha detto che la morte di Attilio non c’entra niente con l’operazione di Provenzano. Perché Prestipino è così sicuro se non ha mai indagato su Attilio? Prestipino ha sì svolto una inchiesta, scaturita successivamente in un processo, sulla presenza di Provenzano a Marsiglia, ma non sull’eventuale intervento di Attilio nel contesto dell’operazione del boss corleonese”.
Recentemente a Viterbo la famiglia Manca non è stata ammessa come parte civile al processo che si sta celebrando contro Monica Mileti, colei che, secondo i magistrati laziali, sarebbe stata la spacciatrice che avrebbe ceduto l’eroina “fatale” a suo figlio. Il giudice monocratico ha giustificato la decisione dicendo che “la famiglia Manca non avrebbe ricevuto alcun danno dalla morte del congiunto”.
“Beh, anche in questo caso tutto sembra fin troppo chiaro”.