Sue, le indagini sulla Terra dei Fuochi che già alla fine degli anni ’90 dimostravano nomi e interessi di chi nascondeva morte sotto le terre campane. Sue le testimonianze preziose per la commissione parlamentare d’inchiesta sui rifiuti alla ricerca di numeri e fatti per quantificare un disastro ambientale e sociale che brucia ancora ogni giorno. Sua, la rabbia per una giustizia che non ha fermato i colpevoli in tempo. E suo, solo adesso, solo dopo la sua scomparsa nella primavera scorsa, il titolo ufficiale di “vittima del dovere” riconosciuta dal ministero dell’Interno.
Affinché la sua perseveranza, le sue ricerche, e quel tumore al sangue causato proprio dall’esposizione a sostanze tossiche e radioattive, non fossero dimenticati , era stata lanciata una petizione online . Che in poche settimane aveva raccolto 75mila firme e centinaia di messaggi di solidarietà, mossi anche dall’indignazione per uno Stato che a un suo rappresentante tenace, che pagava con la malattia il suo lavoro, non aveva riconosciuto che 5mila euro di risarcimento . Più una beffa che un premio.
Ora, dopo mesi di carte, richieste, articoli, e migliaia di firme, il ministero dell’Interno ha riconosciuto il fatto che ad ucciderlo è stato l’impegno nel servire lo Stato, e che per questo la famiglia ha diritto a un aiuto e lui alla memoria di chi è morto compiendo il suo dovere.
«Finalmente il Ministero dell’Interno ha riconosciuto Roberto Mancini come vittima del dovere», scrivono la moglie e la figlia in una nota in cui ringraziano tutti i firmatari della petizione su Change.org: «Il suo importantissimo lavoro sul traffico di rifiuti tossici è servito a molte cose e adesso questo è ufficialmente riconosciuto. Non esiste indennizzo adeguato per l’assenza di mio marito e del padre di mia figlia, tuttavia è giusto che chi ha dato la propria vita per il bene di tutti, venga almeno omaggiato dalle istituzioni»
(clic)