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Volevano essere sovranisti, sono solo familisti

Come ha osservato l’ex parlamentare Elio Vito nel mondo solo due leader politici e capi di governo hanno affidato alla sorella la gestione del loro partito: Kim Jong-un, dittatore a capo della Corea del Nord nonché segretario generale del Partito del Lavoro di Corea e Giorgia Meloni, presidente del Consiglio dei Ministri in Italia e presidente di Fratelli d’Italia. Inutili i guaiti degli accoliti meloniani: questo è un fatto incontestabile, sotto gli occhi di tutti. Nemmeno Silvio Berlusconi – che della proprietà privata del suo partito ne ha fatto una religione – era mai arrivato a tanto. 

Che poi Arianna Meloni sia anche la moglie del ministro Francesco Lollobrigida rende le loro vacanze estive insieme (seguite con audace riverenza da cronisti politici prestati al familismo d’avanspettacolo) il vero “luogo di potere”. In riva al mare, in barba ai luoghi istituzionali e di partecipazione democratica. 

La nomina di Arianna Meloni a cane da guardia delle intemperanze interne di Fratelli d’Italia viene difesa con forza dal responsabile dell’organizzazione del partito Giovanni Donzelli e dagli altri meloniani, nella speranza di poter familiarizzare il più possibile con Meloni per non uscire dal cerchio delle sue grazie. Eppure dovrebbero essere proprio loro i più arrabbiati: se una leader politica e capa di partito sceglie la parentela come qualità per fare carriera significa che ritiene tutti gli altri irrimediabilmente mediocri e senza possibilità di redenzione. 

È la naturale involuzione di ogni sovranismo: stringersi per paura a una cerchia sempre più ristretta per la preservazione del potere, unica vera preoccupazione. Immaginate come Kim Jong-un e Meloni possano essere spaventati dal Paese lì fuori. 

Buon venerdì. 

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