Per evidenti motivi personali ho vissuto e vivo la vicenda del movimento #Metoo molto da vicino. Vicinissimo, direi, visto che per mesi ho raccolto la merda in giro per casa, convivendo con gli schizzi al mattino, al pomeriggio e la sera. Ho potuto assaggiare le reazioni (quelle buone e quelle cattive) con tutta l’amplificazione con cui sono arrivate addosso alle protagoniste, insieme alle reazioni scomposte di predatori parecchio preoccupati, alle inattese vicinanze di donne e uomini che hanno colto la fatica e il dolore e alle promesse più o meno disinteressate di certa politica.
Per tutto questo l’arresto di Weinstein oggi so quanto sia una liberazione. Per Asia, ovviamente, ma anche per Miriana, per Ambra e per tutte quelle che il nome non hanno nemmeno potuto dirlo, fragili come sono in una carriera che probabilmente non inizierà nemmeno, confuse come sono in mezzo agli aiuti promessi che poi non si sono realizzati, spaventate da una fallocrazia che se le è ingoiate con ferocia.
Weinstein di fronte alla polizia è l’avvento della realtà: i racconti escono dal gossip o dalle pagine unte di certa stampa e entrano nelle stanze della legge, dello Stato. So che sembra incredibile ma è rassicurante essere verificate dalle indagini quando per mesi si è state masticate da (pessimi) editorialisti.
Ed è il passo che, vedrete, arriverà anche qui. Ed è significativo come certi dolori possano essere rassicurati dalla giustizia, quella stessa che i predoni sventolano per zittire le vittime e di cui invece hanno una paura fottuta.
È un giorno buono. Sì.
Weinstein si consegna. Ma non è un problema solo di lupi cattivi. È una favola sporca che bisogna avere il coraggio di smettere di fare e raccontare. Gli USA si muovono contro Weinstein. Qui, mi raccomando, continuate pure a mirare strabici contro le donne. #metoo @asiaargento
— Miriana Trevisan (@MIRIANA_TREV) 25 maggio 2018